È possibile che la realtà virtuale sia anche una rivoluzione ecologica ? Un mezzo per ridurre scarti ed emissioni andando verso un futuro sostenibile ?
Ormai ovunque si guardi siamo circondati da prodotti o servizi più o meno utili. Ognuno di questi viene sostenuto dalla propria campagna di marketing che punta molto su quanto il tal prodotto o il tal servizio siano assolutamente indispensabili per migliorare le nostre vite, generalmente senza spiegare nulla delle caratteristiche di ciò che ci si vuole vendere, ma parlando al nostro io primitivo ed emotivo. Le pubblicità vanno ad agire su quelle pulsioni di base che accendono il desiderio.
Si pensa di comprare un qualcosa di utile, un upgrade volto a migliorare sensibilmente la quotidianità, ma in fin dei conti dopo circa un paio di settimane entra nella propria vita un nuovo desiderio.
Tutta questa giostra genera una mole enorme di prodotti , che a loro volta generano una mole enorme di rifiuti . E una delle cose che le pubblicità non ti raccontano, è dove vadano a finire questi scarti.
Credo che fin qui abbia parlato di cose che bene o male più o meno tutti sanno. Ma…
Cosa c’entra tutto questo con la realtà virtuale… …direte voi?
Recentemente, il caro Mark meta-fondatore Zuckerberg, ha meta-presentato il suo nuovo Meta Quest 3 durante l’evento Meta Connect (ne abbiamo parlato in una live che potete trovare qui ). Poche le novità in realtà, anche se devo dire si potrebbe tranquillamente fondare una religione su chiunque abbia proposto di usare “Snoop Dogg potrebbe farvi da Dungeon Master” come esempio delle features del nuovissimo sistema di Intelligenze Artificiali, al plurale, sì, perché sono più di una. Non mi dilungherò ulteriormente sulla terza iterazione di quello che un tempo fu Oculus. Se volete farvi un’idea più precisa, vi invito a recuperare la nostra live.
Anche Sony sembra puntare sulla realtà virtuale , visto che ha deciso di continuare il lavoro sul suo visore ed è uscita con PlayStation VR2 , per non parlare dell’Apple Vision Pro , che in cambio di soli 3500 dollari vi offre tutte le più moderne tecnologie che possano attualmente essere montate su un visore per realtà virtuale.
Insomma, nonostante non si sia ancora entrati appieno nel mercato consumer, alcune delle più grandi aziende tecnologiche stanno puntando molto sulla realtà virtuale . Ma qui non voglio parlare della tecnologia dell’hardware. Quello su cui voglio soffermarmi è un’idea che mi ha accerazzato la mente quando durante l’ultimo Meta Connect si è iniziato a parlare di Lego Bricktales .
L’azienda dei mattoncini più famosi del mondo è nota per il suo impegno nel cercare un’alternativa sostenibile all’utilizzo della plastica e sostiene di voler raggiungere l’obiettivo Zero Waste entro il 2025.
Ma ad un certo punto ho pensato: “e se un’alternativa fisica alla plastica non fosse l’unica alternativa ?”
Immaginate se l’azienda, o almeno parte di essa, venisse riconvertita per lo sviluppo software. Immaginate se Lego diventasse un software VR in cui non avere limitazioni di spazio o di numero di pezzi. Nessun uso di plastica , se non quella impegata per la realizzazione delle periferiche hardware. L’unico dispendio di energia sarebbe quello di manutenzione dei server.
La stessa Meta sta già investendo in questo concetto di costruzione virtuale con il suo Sandbox , ma per Lego si tratterebbe di riconvertire il suo mercato di riferimento generando una sensibile riduzione dell’uso di risorse e della produzione di scarti.
Dal punto di vista dell’utenza, questo potrebbe essere un modo per entrare in maniera soft nel mondo VR (virtual reality, realtà virtuale) o AR (augmented reality, realtà aumentata), dato che le minime necessità di spostamento difficilmente porterebbero motion sickness . Inoltre è seducente l’idea di poter utilizzare un infinito numero di pezzi senza doverli cercare in fondo a quel maledetto scatolone, senza dover passare venti minuti a ritirare tutto o senza dover riservare metà scrivania al nostro progetto e addio ai cassettoni pieni che puntualmente dobbiamo risistemare.
So anche che chi tra i lettori è anche genitore, probabilmente storcerà il naso pensando di mettere i propri figli davanti all’ennesimo schermo. Tuttavia, ritengo che nel 2023 sarebbe anche ora di superare il pregiudizio riguardo al mondo dei videogames e delle nuove tecnologie in generale, che possono tranquillamente coesistere con attività all’aperto e perché no, con l’arrivo della realtà aumentata diventare l’una parte integrante dell’altra.
Da un lato, la realtà virtuale può offrire un’esperienza non solo interattiva, ma anche fisicamente attiva , mente dall’altro, come per tutte le cose, la linea tra uso e abuso dipende da ognuno di noi.
Eh, ma vuoi mettere la senzazione di avere i pezzi tra le dita? Cominciamo con il dire che in tema di interfacce aptiche stiamo solo grattando la superficie e che nei prossimi anni probabilmente ridurremo in maniera drastica il gap tra i nostri sensi ed i mondi virtuali .
Detto questo, il mattoncino fisico difficilmente sparirà. Avremo comunque bisogno di soluzioni sostenibili all’impiego di plastica e potremo comunque comprare il nostro castello di Hogwarts da collezione per esporlo in bella vista sulla libreria.
Per non parlare del fatto che ovviamente tutto questo si inserisce pur sempre all’interno delle logiche di consumo proprie del capitalismo globalizzato. La tecnologia consumer comporta tuttavia problemi di obsolescenza programmata e il design dell’hardware nella maggior parte dei casi è carente proprio sul fine vita di questi prodotti.
Basicamente, siamo molto bravi a immaginarli, migliorarli, produrli e venderli, ma quando invecchiano o si rompono, non sappiamo bene che farcene in modo che non abbiano un impatto ambientale negativo . L’hardware della realtà virtuale non è un’eccezione.
Quindi, la ricerca sullo sviluppo di materiali, tecnologie e processi produttivi che riducano (e col tempo, eliminino) i problemi di smaltimento dei nostri prodotti, rimane comunque prioritaria . Considerate che secondo la Environmental Protection Agency (EPA), il riciclaggio di un milione di computer portatili farebbe risparmiare energia equivalente all’elettricità usata in un anno da 3500 abitazioni.
Perciò, questo articolo non vuole suggerire che la realtà virtuale sia la panacea al problema dell’inquinamento. Però potrebbe aiutare a ridurre l’impatto di molti prodotti e paragonabilmente alla rivoluzione che l’ebook ha rappresentato per il mondo dell’editoria, un prodotto di questo tipo equivarrebbe ad un aumento e diversificazione dell’offerta, potrebbe ampliare il mercato e raggiungere più utenti. Dopotutto anche la stessa industria del gaming sta lentamente ma inesorabilmente abbandonando il supporto fisico .
Se esiste la possibilità di fare una scelta sostenibile in favore delle generazioni future, non è forse anche responsabilità nostra prendere un certo tipo di direzione?
Quello che espongo qui è solo l’esempio di un approccio applicabile da una azienda tra le decine di migliaia di aziende per le quali varrebbe lo stesso ragionamento. Di quanto potremmo ridurre il nostro impatto ambientale riconvertendo in digitale migliaia di prodotti e servizi già esistenti?
Artigianato in realtà aumentata Se per esempio volessimo iniziare un corso di cucito? o di falegnameria? o di cucina? Potremmo imparare tutte le nozioni necessarie prima di decidere di investire in macchinari o potremmo farlo nell’ambito di una formazione lavorativa.
Potremmo prendere parte e certificare centinaia di ore di pratica in simulazioni di guida o di volo prima ancora di sederci all’interno di un abitacolo. Potremmo seguire corsi di pittura e di scultura direttamente dal museo in cui sono esposte le migliori opere di riferimento. Potremmo frequentare interi corsi universitari , anche quelli che prevedono molte ore di pratica o abbondate uso di materiali.
E tutto questo senza dover utilizzare mezzi di trasporto . Sono convinto che un’alternativa sostenibile non passerà attraverso un maggiore accesso ai mezzi di trasporto, ma da una drastica riduzione degli spostamenti di merci e persone . L’esperienza della pandemia ci ha dimostrato che in moltissimi casi, passare una o due ore in macchina quasi tutti i giorni per fare presenza in un ufficio non è indispensabile e la riduzione degli spostamenti ha mostrato un impatto tangibile sulle emissioni in soli pochi mesi.
Chissà se la realtà virtuale potrà essere un mezzo per cominciare ad invertire la tendenza.
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