Approfondimenti

Spokon: storia e declinazioni di un genere mai tramontato

Introduzione

Dal giapponese supokun, letteralmente “tenacia sportiva“, lo Spokon rappresenta quel genere di anime e manga dedicato alla narrativa sportiva. Il rapporto con lo sport del Paese del Sol Levante ha una storia lunghissima, che affonda le proprie radici nella cultura del sacrificio e del lavoro, esploso definitivamente con l’apertura al resto del mondo dopo il secondo conflitto mondiale.

Proprio come Tokyo 1964 aveva mostrato al mondo la rinascita giapponese, anche l’edizione 2020 doveva rappresentare un grande palcoscenico per rimarcare il ruolo centrale del Giappone nelle dinamiche internazionali. Sfortunatamente però la pandemia ha completamente rovinato i piani della leadership giapponese, che per anni aveva lavorato duramente a quest’evento.

Se da un lato le Olimpiadi del 2020 sono da considerarsi un inevitabile fallimento per quanto riguarda l’affluenza di pubblico, i giochi olimpici hanno comunque mostrato la forza dell’influenza nipponica nella cultura pop.

Sentire entrare gli atleti sulle note di capolavori come la Victory Fanfare di Final Fantasy o Song of the Ancients è qualcosa che, per gli appassionati, rappresenta un riconoscimento inestimabile. Vedere la cultura nerd giapponese nel palcoscenico più importante dello sport mondiale però è qualcosa che si è costruito lentamente nel corso degli anni, grazie ad una catechizzazione delle nuove generazioni portata avanti da anime e manga di ogni genere tra cui anche, ma forse il più importante in questo caso, gli spokon.

Cosa sono gli Spokon?

Come abbiamo già detto ad inizio articolo, Spokon è la traduzione di “tenacia sportiva” e lo capiamo subito quando ci imbattiamo in opere di questo genere. Gli Spokon sono spesso storie di sport che mettono al centro della narrazione la dedizione e lo sforzo per il raggiungimento dei propri obiettivi.

Questa particolare impostazione non sorprende se pensiamo alla valorizzazione del duro lavoro e dell’impegno che caratterizza la cultura nipponica. Ed ecco che ritroviamo queste caratteristiche nei tipici personaggi del manga/anime sportivo giapponese che hanno fatto della loro dedizione un mantra, idoli da mitizzare per il loro impegno quasi al pari dei veri sportivi.

I primi Spokon: Tokyo ’64, le Streghe d’Oriente e La stella dei Giants

Che il genere sia diventato famoso a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 non può essere assolutamente un caso. In Giappone sono gli anni della crescita economica esponenziale, del nuovo benessere e della modernizzazione. L’ormai ex-Impero mostra al mondo la sua nuova faccia alle Olimpiadi del 1964, fatta di modernità e tradizione, dedizione al lavoro ma soprattutto di storie meravigliose come quella delle Streghe d’Oriente, le yamato nadeshiko della pallavolo che hanno fatto innamorare un’intera nazione.

Le vittorie emozionanti della Nazionale di Pallavolo giapponese diventano istantaneamente l’ispirazione per una giovane mangaka di nome Chikako Urano, la creatrice dello storico Attack no.1, capostipite degli spokon sulla pallavolo, conosciuto da noi come Mimì e la Nazionale di pallavolo.

In questo periodo inoltre era inevitabile che si creasse intorno allo sport più seguito della nazione una prolificazione di opere, sia cartacee che audiovisive, pronte a catturare i fan più giovani. Nascono quindi serie intramontabili sul Baseball (disciplina dove i giapponesi sono anche i neo-campioni del mondo, ndr.) come Kyojin no Hoshi (noto in Italia come La stella dei Giants), il manga nato da Ikki Kajiwara e Noburo Kawasaki.

Quella disegnata da Kajiwara e Kawasaki è una storia estremamente legata al dopoguerra giapponese che mette al centro del racconto povertà, traumi e un riscatto da guadagnarsi sudando un sogno. Un mito di una generazione pronta a lottare per rialzarsi, disposta a farlo anche senza scendere a compromessi. Giovani volti al sacrificio come il protagonista di un altro classico senza tempo che vede la luce in questi anni, Rocky Joe.

Ashita no Joe è ancora oggi un’opera estremamente moderna, la storia sporca e vera come il carboncino che la disegna di un signor nessuno che viene dal nulla, piccolo e rinsecchito ma con la stoffa del campione.

Il riscatto sociale che vediamo in Rocky Joe va oltre la semplice narrazione sportiva e diventa un simbolo legato per sempre al mondo della boxe che trasforma questo sport in un mezzo per rialzarsi da situazioni infelici e vincere le difficoltà di (non)luoghi come quelli dove cresce Joe.

Anche gli spokon quindi, figli come tanti altri generi della grande rivoluzione artistica e culturare che coinvolge il Giappone tra gli anni ’60 e ’70, hanno saputo raccogliere gli stimoli della loro epoca e trasformarli in opere che potessero interpretare il loro tempo attraverso lo sport che amavano.

The People’s Game, Capitan Tsubasa e come un manga ha cambiato una nazione

Gli ultimi mondiali di calcio in Qatar, nonostante tutte le legittime critiche che sono state mosse, ci hanno ricordato ancora una volta perchè questo sport è considerato il gioco del popolo. Proprio citando il titolo provocatorio del libro-inchiesta del campione del Manchester United Gary Neville, il calcio è lo sport più seguito al mondo; una vera religione pagana in tantissimi paesi (compreso il nostro) difficilmente comprensibile per chi non lo segue.

A logica dovremmo considerare il Giappone fuori dai paesi tradizionalmente legati a questo sport vista l’influenza americana ed in generale la lontananza dalle due culle storiche della cultura del fùtbol, l’Europa e il Sud America. In realtà invece, i mondiali di calcio risquotono un successo impressionante nel Sol Levante e, a partire dal 2000, anche i risultati sportivi dei Samurai Blue hanno sorpreso chiunque.

Per un paese dove il professionismo nasce solo negli anni ’90 questi traguardi sembravano apparentemente irraggiungibili se non fosse intervenuto qualche fattore esterno difficilmente decifrabile, in grado di cambiare la percezione di questo sport per migliaia di ragazzini. Un fattore esterno chiamato Tsubasa Ozora.

Se siete figli degli anni ’90 non potete non conoscere la storia di Oliver Hutton e Benji Price; due icone dell’animazione per tutti i ragazzini in Italia, figuratevi in Giappone. Quando esce per la prima volta sulle pagine di Shonen Jump il fumetto di Takahashi nessuno si sarebbe aspettato l’impatto culturale inquantificabile che questa storia ha avuto sull’evoluzione del calcio nel paese del Sol Levante.

Dal 1981 in poi la figura di Tsubasa Ozora (per noi Oliver Hutton), diventa il punto di riferimento dei giovani giapponesi che amano il calcio. Ragazzini che non rimangono solo stregati dalle prodezze dei calciatori europei e sudamericani ma che si appassionano anche alla storia disegnata da Takahashi e che vogliono vivere il sogno del loro idolo, giocare in Europa e vincere il Mondiale.

Ed è così che i Samurai Blue nel 1992 alzano la loro prima di quattro Coppe d’Asia, gli stessi ragazzini che nel 1981 erano adolescenti e che ora sognavano il Mondiale del 2002. Come le Olimpiadi prima, organizzare il Mondiale di Corea e Giappone è un traguardo incredibile per la federazione nipponica; uno dei tanti lasciti indiretti del manga di Takahashi.

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Se è scontato che Captain Tsubasa abbia condizionato l’avvicinamento al calcio di un campione come Hidetoshi Nakata, il successo raggiunto anche in Europa da Takahashi ha toccato anche migliaia di ragazzini in occidente, portando avanti un’influenza indiretta che arriva fino ai giorni nostri.

Sulla scia di Captain Tsubasa, il Giappone ha visto tantissimi spokon legati al mondo del calcio. Da Inazuma Elven ad Ao Ashi fino al recentissimo Blue Lock, la narrazione del pallone si è evoluta come lo stesso sport ha fatto nel corso degli anni, portando il Giappone ad essere considerato una delle nazioni calcistiche più interessanti del mondo. C’è però un’opera, molto meno conosciuta, sempre legata al mondo del calcio, che racconta un tema nuovo rispetto alle altre ma estremamente legato alla storia recente del Sol Levante.

Nel 2016 Naoshi Arakawa, il mangaka di Your Lie in April, decide di raccontare una storia di calcio ma con protagoniste delle giovani liceali. Farewell, My Dear Cramer (per Dettmar Cramer, il padre del calcio giapponese) è l’ode che Arakawa rivolge al calcio femminile del suo paese, uno spokon che non convince come la sua opera più famosa, ma che nasce da uno dei momenti più segnati della storia recente in Giappone.

Nel 2011 un terremoto/maremoto riversa il Giappone nel caos, provocando l’esplosione di un reattore della centrale nucleare di Fukushima e quasi 20 mila vittime. Il Giappone vive la sua crisi più grande dalla Seconda Guerra Mondiale; il Paese è in ginocchio ma due mesi dopo alcune ragazze devono volare in Germania per giocare la Coppa del Mondo di calcio.

Quello che succede in quella edizione del Campionato del Mondo trascende il concetto di sogno e, guidate da un inesorabile destino, le ragazze giapponesi, soprannominate anche loro Nadeshiko come i fiori di primavera citati da Murasaki Shikibu ne La Storia di Genji, sbocciano portandosi a casa il titolo mondiale, ad oggi il più grande traguardo calcistico del Giappone.

Una storia che inverte quello che abbiamo scritto fin’ora, una realtà eroica che diventa ispirazione per l’opera di Arakawa. Difficilmente infatti qualcuno avrebbe potuto scrivere qualcosa di più affascinante della cavalcata del Giappone femminile al mondiale 2011, soprattutto se pensiamo al momento storico, alle difficoltà che quel popolo stava vivendo o al fatto che due dipendenti della TEPCO, la società che gestiva la centrale di Fukushima, dopo il disastro sono andate in Germania per giocare e vincere quel campionato del mondo.

His Airness, Slam Dunk

Abbiamo osservato insieme la storia degli spokon e la loro esplosione negli anni ’60 e ’70 fino alla definitiva consacrazione negli anni ’80. Un ulteriore evoluzione del genere investì anche i successivi anni ’90; un periodo particolare per la storia del mondo dove la tecnologia iniziava a farsi spazio nella vita quotidiana, in Europa cadeva il Muro di Berlino e tutti gli amanti dello sport, in qualsiasi parte del globo, volevano essere come Mike.

Proprio come recita l’iconico spot di una famosa bevanda energetica, negli anni ’90 tutti volevano essere come Micheal Jeffrey Jordan. Una icona sportiva e mediatica come mai si erano viste fino a quel momento, capace di portare il basket fuori dai confini degli Stati Uniti. E mentre tutti guardavano a quello che è stato il più grande giocatore di basket di tutti i tempi, Takehiro Inoue, mangaka giapponese che segnerà a lungo il fumetto nipponico con opere straordinarie come Vagabond, sulle pagine di Shonen Jump inizia a raccontare l’epopea sportiva di Hanamichi Sakuragi.

Slam Dunk diventa rapidamente una delle opere più influenti della storia, catturando l’attenzione di migliaia di giovani giapponesi che finiscono per innamorarsi del gioco, proprio come è stregato da esso Takehiro Inoue.

Non c’è bisogno di illustrare la storia del famigerato Shohoku o dei suoi iconici giocatori. Slam Dunk è la bibbia di qualsiasi appassionato di basket con un minimo interesse per il mondo nerd giapponese. Sempre dalla penna di Inoue usciranno poi anche altri lavori legati al mondo della pallacanestro (Real e Buzzer Beater, ndr.) ma scontri come Maki contro Sendo o la battaglia con il Ryonan hanno raccontato questo sport in una maniera unica e quasi poetica, tanto da rivoluzionare la vita di tantissimi giovani appassionati in tutto il mondo.

Se oggi Rui Hachimura e Yuta Watanabe giocano nella Lega cestistica più importante del mondo il merito è forse anche di Takehiro Inoue e del suo impatto culturale sul Giappone degli anni ’90. Tutto quello che è venuto dopo, da Kuroko no Basket a Dragon Jam, è figlio di Slam Dunk, il miglior spokon di tutti i tempi.

La New Wave: Haikyu! the next big thing e la nuova era degli spokon

Il nuovo millennio si apre in grande stile anche per il mondo degli spokon. Sulle orme di Ashita no Joe, George Morikawa inizia a disegnare la storia di Ippo Makunouchi nel mondo della boxe. Con oltre 100 numeri già all’attivo, Hajime no Ippo è ancora oggi una delle opere più amate in patria e tra le più longeve in circolazione.

Il successo di Hajime no Ippo è dovuto anche alla sua fortunata trasposizione animata, curata dal noto studio Madhouse, in un momento storico di particolare proliferazione per l’animazione giapponese. A partire dal 2000 infatti, il mercato degli anime si è espanso esponenzialmente, arrivando ai giorni nostri ad essere uno dei media più amati anche in occidente.

Un’esempio di un recente spokon che ha saputo cavalcare bene l’esplosione degli anime in tutto il mondo, creando un vero e proprio boom mediatico di appassionati grazie ad una storia semplice ma accantivante ed uno studio di produzione quasi sempre impeccabile è sicuramente Haikyu!.

Per oltre 8 anni il manga di Furudate è stato tra i titoli più amati di Shonen Jump e uno degli anime più seguiti sia in patria che fuori. La storia di Hinata Shoyo, Tobio Kageyama e dei corvi del Karasuno è quella del classico shonen sportivo ma esprime perfettamente tutti quei sentimenti e quelle sensazione che cerchiamo da un’opera di questo genere. Impegno, dedizione e amore per questo sport caratterizzano tutta la narrazione di Haikyu! e si valorizzano perfettamente grazie ad un cast di protagonisti impossibile da non adorare.

Hinata e Tobio diventano subito una delle coppie di protagonisti più amate e la loro corsa verso i campionati nazionali, fatta di grandi vittorie ma anche emozionanti sconfitte, tiene incollati allo schermo migliaia di appassionati della pallavolo e non solo.

Haikyu ha sicuramente riacceso la passione verso questo sport nei suoi spettatori, creando un impatto sui giovani pari solo a quello di Captain Tsubasa. E proprio come c’è un po’ di Takahashi nei successi della nazionale di calcio giapponese, anche la buona prestazione dei giovani pallavolisti giapponesi a Tokyo 2020 è figlia dell’influenza di Haikyu!. Soprattutto quando, durante alcuni punti segnati dalla nazionale di casa, venivano suonate in sottofondo le sigle di questo iconico spokon.

L’Immortale narrazione dello Sport

La narrazione sportiva è ancora un genere amatissimo in ogni sua declinazione che difficilmente vedremo sparire da un giorno all’altro. L’epico racconto delle gesta degli atleti è diventato un vero e proprio genere letterario e audiovisivo che ha superato i limiti del classico giornalismo, con esempi che spaziano da film come Invictus e serie come The Last Dance, fino a speciali amatissimi come quelli curati da Federico Buffa.

Anche il mondo dell’animazione e del fumetto giapponese, come abbiamo visto insieme in questo articolo, ha parlato sin dalla sua nascita di sport. Gli Spokon sono ancora oggi tra i prodotti più amati e hanno saputo reinventarsi sempre sotto nuove forme originali nel corso degli anni. Basta pensare a come Captain Tsubasa prima e Slam Dunk poi hanno interpretato gli anni ’80 e ’90 attraverso il loro sport di punta o casi come quello di Yuki Suetsugu che, mischiando l’amore per il karuta e una trama da puro josei, ha dato vita ad uno dei romance sportivi più avvincenti degli ultimi anni, Chihayafuru.

Gli spokon sono e rimarranno sempre un genere amatissimo, in grado di catturare gli spettatori e i lettori con storie avvincenti e personaggi iconici, in un limbo che spazia tra finzione e realtà. Se amate lo sport e la cultura made in Japan sapete già di cosa parliamo; eventualmente potete sempre provare a guardare Haikyu! anche da profani della pallavolo, consapevoli del rischio di finire qualche mese dopo abbonati della Sir Safety Volley, proprio come è accaduto a chi vi sta scrivendo.

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Matteo Tellurio

Nascere in un paesino umbro ti porta ad avere tanti hobby. Cresciuto tra console e computer, è da sempre amante di cinema, serie TV e musica, nella quale si diletta in maniera molto amatoriale. Anime e manga invece sono il pane quotidiano ma anche lo sport lo appassiona. Crede di aver visto ogni singola disciplina inserita dal CIO alle Olimpiadi.

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