Con The Northman, sua terza impresa cinematografica, Robert Eggers rispolvera una premessa antica quanto la narrazione stessa: la vendetta per la morte del padre. Un soggetto che, se vogliamo essere precisi, è una sceneggiatura, che è un adattamento, che è a sua volta una rivisitazione di un’altra storia.
Questo perché l’Amleto di Shakespeare, al quale si ispira il lungometraggio, è adattamento del meno celebre racconto danese di Saxo Grammaticus. La vicenda tuttavia rimane ambientata nei paesi del nord Europa. Un nord fatto di tradizioni, sangue e legami indissolubili con la famiglia e con gli dei. Basterà questa interpretazione, o re-interpretazione, dell’archetipo narrativo, unito allo stile registico di Eggers, a rendere The Northman la sua Edda?
Tra l’800 ed il 900 dopo Cristo, nelle fredde terre danesi, risuonano tre giuramenti pronunciate da un bambino in lacrime. “Ti vendicherò, padre. Ti salverò, madre. Ti ucciderò, Fjölnir”. Queste sono le tre promesse che il giovane Amleth scolpisce nella sua mente, dopo aver visto suo zio uccidere suo padre, il re Aurvandil, e rapire sua madre Gudrùn. Queste parole rimbomberanno nel suo essere come tamburi di guerra, o un giuramento perenne a sé stesso e agli dei.
Dopo anni passati a guadagnarsi la fiducia di signori della guerra nordeuropei e avidi mercenari, Amleth ha finalmente l’occasione di compiere la sua vendetta. Assieme alla druida Olga viene venduto come schiavo proprio a Fjölnir, in Islanda. Con le capacità combattive di Amleth e l’astuzia di Olga, i due alleati dovranno trovare il modo di restituire al neo reggente tutto il dolore che hanno subito. Tra impervie foreste, rituali di sangue e antiche profezie, Amleth dovrà compiere la sua vendetta e il suo destino sotto gli occhi degli dei, ma forse anche compiere scelte che lo metteranno di fronte a bivi morali per il bene di sé stesso e di coloro che lo circondano.
Viviamo in anni in cui l’ammirazione per le tradizioni nordiche sono ormai una costante. Basterebbe nominare Vikings, God of War e Assassin’s Creed: Valhalla per ricordarsi dell’impatto mediatico che i norreni hanno ancora oggi sulla narrazione mediatica. Robert Eggers ha voluto dare qui una sua versioni del folklore di quelle terre ghiacciate e ricche di storia, in uno stile che rende Northman forse il suo film più “vendibile” fino ad ora, sebbene ne abbia fatti solo tre, e non solo per la sua già citata premessa. Una specie di blockbuster autoriale, se vogliamo definirlo in termini di marketing. Tuttavia non per questo Eggers cade nel tranello comune di rendere la mitologia nordica troppo epica, o di rappresentare i rituali in maniera troppo benigna.
I miti norreni sono molto lontani dalla cristianità, e molte volte entrano in conflitto anche tra di loro: senza spiegare troppo, è interessante il modo in cui la dicotomia tra i personaggi venga mostrata in parallelo al conflitto tra credenze: Amleth e suo padre Aurvandil credono in Odino e negli Aesir, Fjölnir crede in Freyr e i Vanir. Così come vi sono diverse visioni del mito, vi sono diversi punti di vista su come comportarsi, e da ciò i personaggi compiono molte delle loro decisioni.
Come nei suoi precedenti film, Eggers tratta l’elemento sovrannaturale non come nella tradizione del realismo magico, ovvero rendendolo parte integrante del “mondo reale”, ma come qualcosa di perturbante, psicologico. Mai verrà affermato se ciò che vediamo e manifestiamo come ultraterreno sia vero o frutto della mente turbata dei personaggi.
L’elemento mistico è aumentato dalla conturbante colonna sonora di Robin Carolan e Sebastian Gainsborough, che mescola canti di gola tipici della cultura norrena ritualistica con tonante battere di tamburi, senza scadere nel metal o nel rock, che avrebbero snaturato il tono del film. Uno stile che ricorda molto il gruppo Heilung, che ha creato la colonna sonora del videogioco Hellblade.
Ci troviamo davanti ad un misto tra un racconto di formazione, una storia epica e una tragedia shakespeariana. Basti pensare al modo in cui il film inizia: un’invocazione a Odino per raccontare la storia che sta per svolgersi, il che rimanda all’invocazione alle Muse all’inizio dell’Iliade e dell’Odissea. Ciò rafforza l’idea di poema epico classico, e fa capire al pubblico a che tipo di storia sta per assistere.
D’altro canto, così come in The Vvitch o The Lighthouse, Eggers non nasconde mai le ispirazioni prese dai classici della letteratura inglese, senza per forza spiegarli apertamente al pubblico. Il nascondersi dietro un drappeggio, il parlare a un teschio o addirittura una donna che incita il suo amato ad uccidere un uomo dandogli in mano un pugnale non possono essere equivocate se non come omaggi al Bardo (William Shakespaere n.d.r.).
Nonostante sia solo al suo terzo film, Robert Eggers si riconferma un maestro nell’arte cinematografica, sia nella sua parte narrativa sia nella sua parte visiva. Numerosi saranno i piani sequenza, principalmente nelle scene d’azione, e tale azione frenetica amalgamata in queste lunghe inquadrature renderà il pubblico ancor più immerso in ciò che accade in tempo reale.
Ulteriore importanza sarà riservata alle inquadrature fisse, sempre per dare al pubblico una sensazione di “reale instabilità”, come se i personaggi nella fotografia parlassero realmente con chi sta guardando lo schermo. Il montaggio classico verrà invece riservato principalmente ai semplici dialoghi. Tali dialoghi, come nei film precedenti, sono scritti in maniera a dir poco poetica: lunghe frasi patetiche, nel senso buono, senza vocaboli moderni o monosillabici.
Proprio per rendere più godibile l’esperienza, si consiglia la visione in lingua originale, così da apprezzare le varie differenze di accenti tra nazionalità dei personaggi che, ricordiamolo, sono interpretati per la maggior parte da attori “nordici”.
Per quanto ben scritti, tali dialoghi alcune volte, e spiace dirlo, strabordano. Diverse sentenze sono quasi inutili in scene in cui basterebbe l’impeccabile e silenziosa regia di Eggers a parlare. Dopotutto il cinema è un media visivo e, come disse Hitchcock: “i dialoghi dovrebbero essere solo rumori di sottofondo”. Probabilmente Eggers ha voluto dare un’impronta più teatrale che cinematografica a questa storia, ricordando a tutti che è proprio nei teatri che ha avuto inizio la sua carriera.
Parlando di attori e teatro, non si possono non lodare le performance di tutti gli interpreti, nessuno escluso, altro punto di forza di The Northman. Gli archetipi shakespeariani vengono riportati riportati in vita in maniera moderna e altamente patetica (nel vero senso della parola), senza eccedere troppo. Questo sia per quanto riguarda Nicole Kidman, Claes Bang e Ethan Hawke nei ruoli secondari, sia per quelli principali.
Primo fra tutti Alexander Skarsgård, membro della famiglia di attori che ritroviamo più volte nel cinema e nella serialità, è un Amleth dai cui occhi traspare non solo l’ira furente di un Berserkr, ma anche il dubbio di un personaggio tormentato tra scelte morali.
Ritroviamo poi due delle “muse” dei film precedenti di Robert Eggers: Anya Taylor Joy, che il regista contribuì a lanciare in The Vvitch, nel ruolo di Olga, e il sempre carismatico Willem Dafoe, stella del precedente The Lighthouse, nel ruolo del druido Heimir.
La prima, con la sua razionalità e persuasione innata, è l’esatto opposto di Amleth, e l’interpretazione della Taylor-Joy non ci fa dubitare un attimo che una persona come lei, per quanto sia diversa dal protagonista, sia l’unica che possa “completarlo”. Dafoe, invece, per quanto appaia per un minutaggio esiguo, ci regala un’altra interpretazione volutamente estremizzata, ma senza essere sopra le righe.
Forse The Lighthouse è e rimarrà ancora per qualche anno il vero capolavoro di Eggers, ma ciò non toglie che The Northman rimanga un film grandioso, tra i migliori usciti finora quest’anno, e che probabilmente vedremo nei prossimi Oscar, sempre se l’Academy non voglia snobbarlo come fece con The Lighthouse. Una storia epica di cui avevamo un forte bisogno, seppur con una premessa semplicissima e con un tema con cui i media ci stanno ormai sommergendo.
Un film che dimostra ancora una volta come la bravura nel raccontare una storia serva ancor più di avere una storia originale. Come uno Scaldo che canta le vicende eroiche di un uomo destinato a grandi imprese, Robert Eggers ci canta la sua versione di Amleto in uno stile che, per chi lo contemplerà, sarà difficile dimenticare.
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