La Fiera delle Illusioni, libro di William Lindsay Gresham già trasposto nel 1947, venne donato a Guillermo Del Toro dalla sua sempiterna musa ispiratrice Ron Perlman negli anni 90. Oggi quello stesso libro ha trovato un nuovo adattamento cinematografico ad opera del pluripremiato regista messicano, che qui si cimenta in un noir psicologico che molti hanno accostato sempre più a The Prestige. Tuttavia, a differenza del lavoro di Christopher Nolan, La Fiera delle Illusioni non pone tanto il dubbio se la magia esista o meno: già dall’inizio del film, o meglio, già dal titolo italiano, sappiamo che tutto ciò che vedremo è pura finzione. Resta da scoprire quanto i personaggi useranno tale finzione, come e per quali scopi. Ma soprattutto quanto a lungo e a costo di quali sacrifici possano spingersi pur di perpetrarla.
Alle soglie della Seconda Guerra Mondiale, lo squattrinato Stan Carlisle seppellisce un misterioso cadavere nelle fondamenta di una casa, in una scena iniziale che rimanda assai ad un famoso scritto di Edgar Allan Poe. Dopo questo fatto trova lavoro in una fiera itinerante come manovalanza. Lì fa la conoscenza delle numerose e sfaccettate personalità che offrono agli spettatori i più disparati spettacoli di intrattenimento. Legherà soprattutto con i coniugi Madame Zeena e Pete, i quali lo accolgono nel mondo dell’illusionismo, del quale lentamente Stan diventa un abile esperto. Ottenuta una certa dimestichezza, decide di partire assieme a Molly, la “donna elettrica” della fiera, perché crede di poter fare più fortuna da solo.
Inizia così per i due una scalata verso la fama e il successo, la notorietà che simboleggia l’epoca d’oro degli illusionisti, così come, a quel tempo, il cinema stava prendendo sempre più piede. Parallelamente alla salita della loro ricchezza, Stan causerà una ripida discesa verso l’oscurità. Perché Stan, crogiolandosi sempre di più nella cupidigia e nel piacere dei suoi successi, arriverà a distruggere molto più di tempo e denaro per ottenere i suoi scopi, e l’innocente inganno diventerà freddo sfruttamento, per mutare poi in qualcosa di peggio.
Come detto nell’introduzione, ci troviamo di fronte alla prima esperienza di Del Toro con una storia che non presenta alcun elemento surreale, ma non per questo ci viene offerta un’opera di minor qualità rispetto a Il Labirinto del Fauno o Hellboy. La Fiera delle Illusioni ricalca una delle morali più apprezzate dal regista e dalla narrativa in generale: il vero mostro è l’uomo. Una di quelle frasi che il cinema, i libri e qualsiasi altro media di finzione amano continuare a ripeterci ormai da decenni, per non dire secoli, e che è anche servita come ulteriore soggetto al film vincitore del premio Oscar come miglior film, sempre di Del Toro, La Forma dell’Acqua. Tuttavia è il modo in cui il film propone tale messaggio a rendere la storia intrigante, e la presa autoriale del regista, sempre apprezzata, le dà anche un tono esteticamente piacevole.
Sin dalla prima inquadratura, il seppellimento del cadavere, comprendiamo che tipo di uomo può essere Stan, ma il suo iniziale mutismo per i primi minuti della pellicola non ci rende effettivamente l’idea di chi ci troviamo realmente davanti: all’inizio siamo illusi dal fatto che potremmo avere a che fare con un personaggio totalmente muto, che lascia parlare i suoi gesti e le sue espressioni facciali per lui.
Poi però, ecco che pronuncia le sue prime parole, frasi quasi di conforto rivolte al suddetto Mostro della fiera, e da lì iniziamo a capire qualcosa di lui. Il primo essere con cui Stan empatizza è effettivamente un Mostro, o l’ombra di esso. Il protagonista esprime inizialmente poche frasi, rivolte solo a chi ne necessita, poi sempre più articolate sentenze, ricche di aneddoti e aggiunte, man mano che accresce la sua esperienza con gli altri. Sembra quasi che lo spettatore si acculturi assieme a Stan man mano che il film avanza, e sa che parole proferire con le persone giuste.
In questo contesto lo stesso trailer ha avuto la sua buona parte: il mostro esteriore, o fittizio, della storia, la bestia da circo, non si fa vedere, ma continua a mostrarsi a Stan: ci si chiede da dove venga, di cosa si nutra, perché sia così, tutte domande alle quali il film risponderà nella maniera più macabra possibile.
Restando nel tema dei dialoghi, molti eventi futuri verranno preannunciati da frasi ambigue, supposizioni o anche minacce, e ciò potrebbe dare una sensazione di preveggenza da parte del pubblico, che potrebbe allungarsi fino al finale, ma ciò non rovina la visione: si sa come finirà, ma si vuole comunque sapere come finirà, allo stesso modo di come sappiamo qual è la morale del film, ma vogliamo sapere come vuole raccontarcela.
I messaggi nascosti, tuttavia, non vi saranno solo nelle parole dette: Del Toro non mancherà di utilizzare la scenografia e il secondo piano per offrire simboli visivi allo spettatore, siano essi oggetti che più volte vengono ripresi, o giochi cromatici accentuati dalle strutture gotiche che sono ormai un’apprezzata costante nei film di Del Toro. Il sentore gotico aumenta il fattore di “fantastico” del quale il film, appunto, illude la presenza.
Il contesto noir, contando anche i contrasti cromatici, l’aspetto bianco e nero, l’atmosfera goticheggiante e l’ambientazione storica contribuiscono a donare al film uno stile che si sposerebbe perfettamente con una fotografia in bianco e nero, cosa che effettivamente è già stata rilasciata in alcune sale di Los Angeles, Nightmare Alley: Vision in Darkness and Light, e non sarebbe stato male vederlo anche in Italia.
La colonna sonora, che alterna temi lenti, caratterizzati da note basse e allungate, a tracce più rapide nelle scene di tensione, con un ritmo a metà tra il ticchettio di un orologio e il sempre più rapido battito di un cuore aumentano il pathos nello spettatore
Per il ruolo di Stan non si poteva scegliere un attore migliore di Bradley Cooper, forse neanche Leonardo DiCaprio, prima scelta del regista. Qui Cooper offre con ogni probabilità una delle migliori interpretazioni della sua carriera: il suo viso spigoloso ma affascinante, la sua voce suadente, in italiano quella di un eccezionale Christian Iansante, sono un mero schermo per un’anima torbida, avida e destinata all’oscurità, l’illusione perfetta per una fiera perfetta: la vita.
Rooney Mara e Cate Blanchett, nuovamente insieme sullo schermo dopo Carol, interpretano le due donne della vita di Stan, oltre a simboleggiare forse le due metà del suo essere: Molly è la sua compagna di viaggio, dedita al suo bene e a tentare di essere una bussola morale per un’etica ormai in frantumi; Lilith, nome assai ambiguo proveniente direttamente dalla mitologia ebraica, è un personaggio altrettanto ambiguo: è la metà più oscura di Stan, una classica femme fatale anni ’40 dal carattere freddo come il ghiaccio che alimenta i suoi desideri di avidità ed egoismo.
Non servirebbe nominare il resto del cast, nel quale spiccano l’immancabile Ron Perlman e quel demone umano di Willem Dafoe, due dei tanti diavoli tentatori di Stan. Forse alcune delle comparse sono di troppo e diverse loro scene potevano avere un minutaggio minore, ma nessuna delle loro interpretazioni è tale da non rendere anche la scena più inutile quantomeno godibile.
La Fiera delle Illusioni – Nightmare Alley è uno dei migliori lavori di Del Toro: gotico, psicologico, profondo, paradossalmente realistico nella sua finzione. Un film che di sicuro non si merita il freddo riscontro economico che sta ottenendo in America, mentre stranamente qui in Italia sta riscuotendo un buon successo. Complice forse la pandemia che dimezza gli avventori delle sale, o forse, come dice il buon Guillermo, il fatto che nessuno ha più voglia di vedere film impegnativi oggigiorno. Forse è così, forse alla gente non interessa vedere quanto il cinema possa penetrare la psiche umana e farci scoprire i mostri.
Ma se non si ha paura di queste ombre, di queste illusioni che nascondono verità imperscrutabili, allora si dovrebbe andare a godersi questa storia gotica al cinema, un’opera che fa ben sperare per il Pinocchio che debutterà su Netflix quest’inverno e che, si spera, possa avere lo stesso stile che avrà la possibile trasposizione de Le Montagne della Follia.
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