Col suo decimo lungometraggio, Dune, Denis Villeneuve adatta per il grande schermo la prima parte del primo romanzo della saga scritta da Frank Herbert, operazione già attuata da David Lynch nel 1984.
Si tratta, come dice il sottotitolo originale, Parte Uno, dell’inizio di una nuova saga, un kolossal d’autore che pretende di essere più di un blockbuster, capace di soddisfare sia i lettori sia il pubblico
Per la maggior parte l’ultimo lavoro del regista canadese riesce nel suo intento, nonostante alcune pecche che potrebbero irritare i lettori assidui della saga fantascientifica.
Tuttavia, se li ritenessimo capaci di rovinare l’intero film, allora basterebbe l’inutile sottotrama riguardante la morte di Arwen per smettere di farci amare la trasposizione de Il Ritorno del Re.
Il pianeta desertico di Arrakis, noto anche come Dune, è rimasto per decenni sotto il giogo della spietata casata Harkonnen, il cui capostipite Vladimir ne ha risucchiato, come una sanguisuga perennemente assetata, la preziosa Spezia, massacrando il residente popolo dei Fremen.
In una svolta inaspettata, che nasconde un pericoloso gioco politico, l’Imperatore cede il controllo di Arrakis alla casata più ostile agli Harkonnen, gli Atreides, per i quali l’onore e la pace sono i principali obiettivi.
Il giovane erede degli Atreides, Paul, seguirà suo padre, il Duca Letho, per imparare quanto sia difficile essere un leader e, soprattutto, convincere un popolo che è stato perennemente in guerra con degli stranieri a fidarsi di un’altra potenza in arrivo.
Al contempo, Paul dovrà comprendere il significato dei suoi sogni, nei quali è ricorrente una misteriosa ragazza Fremen che lo chiama su Arrakis. Perché Paul non deve solo compiere un dovere, ma adempiere a un destino che lo porterà ad essere ricordato nei secoli a venire, nel bene e nel male.
Ciò che più colpisce in Dune, narrativamente parlando, è la sua ambientazione, così come dovrebbe essere in qualsiasi storia fantasy o fantascientifica ambientata in un mondo (o in questo caso universo) esterno alla Terra che conosciamo.
Tale aspetto, in un comparto visivo, può essere resa giustizia solo con una regia adatta, e quale miglior regista può esserci per Dune, se non Denis Villeneuve?
Avevamo già visto di cosa era capace con Arrival e Blade Runner 2049, ma qui il suo stile raggiunge il suo massimo apice: le inquadrature ampie mobilitate da riprese di campi larghi che quasi abbracciano intere città, intere vallate, interi eserciti, riescono a far provare allo spettatore la sensazione di essere lì, tra le distese desertiche di Arrakis o le immense città di Giedi Prime.
Basti pensare all’atterraggio della navicella della delegazione imperiale a inizio film: grazie anche al comparto sonoro, è resa quasi un evento millenario, per quanto piccolo possa sembrare.
Ad accompagnare le inquadrature vi è una maestosa colonna sonora pervasa da numerosi cori cupi ed epici, maniera ormai abusata dal maestro Hans Zimmer, ma che non per questo annoia.
La narrazione lenta, nel senso buono del termine, sempre nello stile Villeneuve, lascia che lo spettatore si perda con calma nell’ambientazione e nella storia, che assimili le sue sfaccettature e le particolarità non tanto con dialoghi tra personaggi, quanto con loro reazioni in determinate situazioni: gli Scudi durante un combattimento, la Voce durante una colazione, le usanze inusuali dei Fremen, il tutto è la perfetta rappresentazione di “show, don’t tell”, almeno quando è necessario.
Seppur il merito vada tutto a Frank Herbert e ai suoi numerosi anni di studio per creare il suo universo, è soddisfacente sapere come Villeneuve abbia mantenuto il worldbuilding attraverso stili di vestiario differenti a seconda dei popoli o anche solo delle casate: la rudezza degli Harkonnen, il tratto mediorientale dei Fremen, lo stile europeo degli Atreides sono assai riconoscibili.
Gli appassionati più legati all’opera cartacea saranno appagati dalla differente terminologia a seconda delle culture: non solo da Arrakis a Dune ma anche da Kwisatz Haderach a Muad’Dib, e le differenti visioni del Prescelto tra Fremen, Bene Gesserit e Atreides.
A parte una piccola eccezione a metà film, il pacing rimane lo stesso per tutta la durata, sacrificando la frenesia in favore dell’eleganza nelle scene l’azione.
Certo, manca gran parte dei conflitti politici descritti nel libro, ma forse questo può essere un bene: Villeneuve ha optato per concentrarsi sulle due linee principali della vicenda: il controllo di Arrakis e il destino di Paul.
Ognuno dei numerosi personaggi che si muovono in questa nuova saga ha un proprio fine e una propria caratterizzazione, soprattutto il protagonista Paul Atreides, attraverso i cui occhi si riesce a percepire il peso che deve portare un predestinato come lui, grazie alla recitazione, forse a volte troppo seria, di Timothée Chalamet.
Ogni attore riesce a trovare sinergia col suo personaggio, rendendolo alla perfezione, soprattutto Rebecca Ferguson nel ruolo della complessa Lady Jessica e Oscar Isaac nei panni del Duca Letho.
Chi spicca tra tutti è proprio la madre di Paul, l’ex Bene Gesserit che non solo non pare abbia abbandonato il peso della sua sorellanza, non solo pare portarne un altro ora che sa che suo figlio potrebbe essere il Kwisatz Haderach, ma sembra disposta a caricarsi di altri oneri pur di salvare l’universo dalla minaccia Harkonnen e compiere le profezie a qualunque costo.
Pecca un po’ l’approfondimento di alcuni personaggi secondari, in particolare Liet Kynes.
Non tanto per il cambio di genere, quando più per la mancanza di vera e propria tridimensionalità emotiva e caratteriale che era riuscito a dare Herbert o anche Lynch.
Duncan-Brewster ha sempre la stessa espressione per tutto il film, le sue frasi non lasciano trasparire alcun apprezzamento sugli altri personaggi, a differenza della pacatezza di Max Von Sydow e delle sentenze, presenti anche nel libro, che ci fanno capire quanto per lui significhi raggiungere la pace, alle quali sarebbe bastato sostituire un sorrisetto d’intesa ogni tanto.
Se tralasciamo la resa di Kynes, alcuni problemi di pacing e la mancanza di molti dei conflitti politici, le quali cose non intaccano assolutamente la trama funzionale, Dune: Parte Uno è la consacrazione di un autore, la sua terza consecutiva in ambito puramente fantascientifico, l’inizio di una nuova Space Opera che diede l’ispirazione per la creazione di Star Wars e Song of Ice and Fire e che, con molte probabilità, saprà attirare sempre più pubblico nel genere fantascientifico.
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