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Tenet (2020) di Christopher Nolan, la recensione

Tenet

8.3

COMPARTO TECNICO

8.0/10

CAST

8.2/10

SCRITTURA

8.5/10

REGIA

8.3/10

DIREZIONE ARTISTICA

8.5/10

Pros

  • La coppia formata da Washington e Pattinson
  • L'aver dettato un nuovo standard per i film d'azione
  • Nolan ha finalmente imparato a girare le scene d'azione
  • La narrazione stratificata eppure cristallina nella sua esposizione
  • Un sacco di mazzate in avanti e all'indietro. A volte contemporaneamente.

Cons

  • Alcuni stacchi di montaggio eccessivamente veloci

Tenet, film del 2020 diretto da Christopher Nolan con protagonisti John David Washington e Robert Pattinson, segna l’esordio del suo regista alla direzione di un thriller di spionaggio con contaminazioni fantascientifiche. Un po’ 007 (saga di film di cui Nolan è grande fan), un po’ Inception. Con questo curioso mash-up il cineasta britannico evolve radicalmente la sua estetica cinematografica, conciliando perfettamente i trucchi più smaccatamente commerciali ai pomposi sottotesti esistenzialisti che lo hanno sempre tenuto in bilico tra l’autorialità e la mercificazione. Una vera e propria convergenza di flussi opposti, rappresentati nella sceneggiatura con la collisione del passato e del futuro. Metacinematograficamente, il Christopher Nolan di The Prestige e quello di Interstellar.

La convergenza dei Nolan in Tenet

Il cinema di Christopher Nolan è sempre stato, tutto sommato, “razionale”. La scienza e l’evoluzione delle tecniche umane hanno un ruolo di primo piano in ogni sua produzione. Tali tecniche vanno di pari passo con la volontà di uomini inseriti in un contesto straordinario – che per loro risulta tuttavia ordinario – vittime proprio della loro umanità, troppo piccoli per la grandezza dei loro strumenti e dei problemi che sono chiamati a risolvere, chiare proiezioni estremizzate dei loro conflitti interiori. Non a caso il Batman di Nolan, eroe che fa dell’ingegno e della tecnologia le sue uniche armi, è riuscitissimo.

Nolan rappresenta pienamente l’archetipo di regista post-moderno che della post-modernità inscena la sua problematica più emblematica: il conflitto tra l’uomo e i prodotti del suo ingegno. In Tenet assistiamo a una storia di viaggi nel tempo in cui passato, presente e futuro, in genere cinematograficamente rappresentati sotto forma lineare o circolare, appaiono come un unicum, contemporanei e complementari.

In questa prospettiva determinista – dove un evento passato è frutto di azioni future compiute a ritroso e contemporaneamente un evento futuro è tale in quanto costruito da azioni passate non ancora effettuate – che ruolo assume la volontà dell’essere umano in Tenet? A cosa valgono le decisioni prese se esiste un futuro-presente già esistente e ineluttabile? L’uomo è artefice reale del proprio destino o condannato a compiere determinate azioni? Una delle prime domande che il Protagonista (mai nominato) pone quando scopre della sovrapposizione temporale è la seguente: “E il libero arbitrio?

La risposta di Christopher Nolan a questo quesito è chiara e lampante: è l’uomo a creare la propria realtà attraverso le proprie decisioni. Ogni conseguenza presente, passata e futura – che sia positiva o negativa – è imposta dalle scelte del protagonista, dei comprimari e dell’antagonista. Il prevalere di una volontà rispetto all’altra è decisa soltanto dal puro ingegno. Quest’ultimo è la chiave che permettere all’uomo di dominare la realtà, piegarla al proprio dominio e vincere il fato.

Passato e futuro, uomo e scienza, destino e libero arbitrio sono solo alcuni degli esempi di dualismo presenti in Tenet. Vi sono ulteriori diramazioni di questi ultimi che Nolan riesce sapientemente a trattare all’interno della sceneggiatura senza tralasciarne alcuna sfaccettatura. Un po’ come in Dunkirk, dove il conflitto bellico è raccontato da ogni punto di vista, dall’ultima delle reclute all’ausiliario improvvisato.

La guerra tra passato e futuro che l’agenzia nota come Tenet vuole sventare incanala l’essenza dei conflitti intergenerazionali. L’umanità futura vuole distruggere il passato in quanto vede quest’ultimo come origine delle proprie sventure (principalmente l’inquinamento), mentre l’umanità passata vuole distruggere il futuro per preservarsi. Il titolo del film, un palindromo basato sul quadrato del Sator, sembra esplicitare la rappresentazione visiva dei viaggi temporali e le analogie tra presente e passato: le due fazioni perseguono il medesimo fine con i medesimi mezzi da entrambe le prospettive. Spetta all’uomo del presente (il Protagonista) farsi carico delle sorti dell’umanità nell’unico modo possibile: dando il buon esempio. Innanzitutto prendendo decisioni che medino tra le parti, spesso le più difficili da prendere e attuare, e imponendosi sui canoni per stabilirne di nuovi.

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Ciò crea un distacco netto tra il Protagonista di Tenet e James Bond, suo modello di riferimento. Laddove l’originale agente 007 era un burattino razzista e misogino al soldo della corona britannica, il Protagonista si mostra più volte ribelle nei confronti dello status quo, combatte un rappresentante dell’oligarchia espansionista russa non in quanto stereotipo di una nazione nemica, ma in quanto ultra-capitalista che può disporre delle vite altrui in virtù del proprio denaro. Ma è soprattutto nel rapporto con la figura femminile che il Protagonista mostra la sua superiorità nei confronti di Bond. Non si fa problemi a riconoscere una self-made woman (Priya) come proprio superiore in comando né pretende di conquistare romanticamente Kat in alcun modo (tanto meno imponendosi su di lei come faceva Sean Connery), pur preservando una virilità e un fascino indiscutibile (si veda la scena della cucina in cui pesta di botte i gorilla per poi uscire dal locale come se niente fosse). Merito della classe, del portamento e delle spalle massicce di John David Washington, che da bravo ex-giocatore di football sa prenderle e darle con una certa naturalezza.

Il rapporto tra Kat e il Protagonista lo contrappone ulteriormente al villain di Tenet, Andrei Sator, che invece è una figura autoritaria fisicamente e psicologicamente abusiva, caratteristiche derivanti da una profonda debolezza interiore, associabile alla depressione.

La donna in sé non è rappresentata come una figura statica e bidimensionale, bensì come entità adattiva, polimorfica ed evolutiva, detentrice dell’autodeterminazione al pari dell’uomo. Kat rappresenta inoltre un’ulteriore idea di preservazione del futuro attraverso il rapporto con il figlio, combattendo una battaglia parallela a quella del Protagonista. Lui si scontra con Andrei per salvare un futuro lontano e imperscrutabile; lei un futuro prossimo e palpabile (suo figlio), oltre che per emanciparsi.

Non poteva mancare il tema, carissimo al regista, del sacrificio, incarnato in Tenet dal personaggio di Neil, interpretato da Robert Pattinson, qui in uno dei ruoli più fighi della sua carriera. Praticamente è Batman: sa sempre quello che bisogna fare, è rapidissimo, furbissimo, fortissimo, bellissimo e si veste pure bene. Se in Tenet il Protagonista è il motore del sovvertimento temporale, Neil ne è il fedele custode, sempre pronto a far sì che il piano riesca, a costo di rinunciare al controllo sulla propria vita. Rassegnato alla sua condizione di milite ignoto, eppure entusiasta e fiducioso che le sue azioni portino a risvolti positivi. Un eroe ai margini, ma sempre pronto quanto c’è bisogno di lui, in quella che è la romanticizzazione nolaniana del soldato perfetto.

Grammaticalmente Christopher Nolan scrive e dirige il suo film più quadrato, chiaro e comprensibile, senza mascherarsi dietro trucchi visivi eccessivamente barocchi o una sceneggiatura inutilmente arzigogolata, proseguendo il trend di Dunkirk. Addirittura prende in giro la sua tendenza agli spiegoni (spesso pedestri) con cui tentava di rendere scientificamente plausibili le sue produzioni precedenti (vedi Inception e, soprattutto, Interstellar). Quando in Tenet si sta per approcciare un tema eccessivamente didascalico o prolisso, il regista taglia bruscamente la scena, in una palese strizzata d’occhio alla J.J. Abrams, ma senza gli anni ’80. Se dal lato della pazienza dello spettatore è molto apprezzabile, dall’altro il montaggio risulta in certi momenti troppo affrettato, con il rischio di perdere il filo degli eventi. La cosa risulta comunque difficile, vista l’estrema chiarezza della narrazione.

Tenet è un gran film a tutto tondo che si lascia guardare con estremo piacere anche da chi non è interessato ai grandi temi di sottofondo, grazie a scene d’azione tra le migliori che il regista abbia mai girato. Forse avrebbe potuto sfruttare meglio le armi entropiche, ma è altamente soggettivo, soprattutto in un film in cui la componente action e quella ragionata sono così ben miscelate. A dimostrazione che tra un film con una componente d’azione marcata come questo e un film scritto male ci passano gli oceani.

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Vittorio Pezzella

Cercò per lungo tempo il proprio linguaggio ideale, trovandolo infine nei libri e nei fumetti. Cominciò quindi a leggerli e studiarli avidamente, per poi parlarne sul web. Nonostante tutto, è ancora molto legato agli amici "Cinema" e "Serie TV", che continua a vedere sporadicamente.

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