Forse in pochi all’epoca avrebbero puntato così tanto su un gioco così poco accessibile in termini di difficoltà da diventare prettamente di nicchia.
Solo con il tempo la gente riuscì a comprendere le immense qualità e potenzialità di Dark Souls: ebbene sì, ancora una volta dopo nove lunghi anni, la leggendaria opera di From Software sale in cattedra, mentre a sedere tra i banchi degli studenti vi è un piccolo studio indipendente chiamato Cold Symmetry.
Scopriamo come se l’è cavata nella recensione di Mortal Shell, prima sua opera pubblicata da PlayStack su tutte le piattaforme lo scorso 18 agosto.
La prima palese ed inequivocabile somiglianza con Dark Souls risiede nell’impianto narrativo, compreso l’incipit: in un mondo composto esclusivamente da antiche rovine immerse nell’acqua ed avvolte nella nebbia più fitta, un corpo apparentemente privo di vita giace immobile sul filo di un piccolo lago, fin quando una strana energia gli da la forza per sollevarsi ed iniziare il suo cammino.
Senza pressoché alcuna spiegazione o linea di dialogo, prenderemo il controllo del suddetto essere senza nome e senza origini: in questa sorta di mondo parallelo dalle tinte grigiastre, vi è la classica sequenza di tutorial volta all’insegnarci i comandi principali e le meccaniche alla base del movimento e del combat system.
Una volta superata questa fase, verremo teletrasportati a Fallgrim, una sorta di antico regno in rovina, immerso in una folta foresta composta da radure, piccole colline e paludi: dopo aver trovato il primo Shell (letteralmente un’armatura del quale il nostro personaggio prenderà il controllo, ma del quale vi parleremo più approfonditamente nei prossimi paragrafi), il nostro obiettivo sarà quello di addentrarci nei meandri di quest’estesa area al fine di estirpare dalla radice un antico male che affligge questo mondo.
Anche in questo caso, gli eventi e la lore verranno narrati tramite un numero davvero esiguo di dialoghi, trascrizioni e descrizioni degli oggetti, e fanno leva su concetti filosofici classici quali la natura dell’uomo, credenze leggendarie e divinità superiori, applicata ad avvenimenti ben più terreni dalle tinte medievali tendenzialmente standard.
Nonostante questi tipi di contesto siano sempre affascinanti, il nostro interesse nei confronti della narrazione di Mortal Shell non ha mai spiccato il volo, nemmeno verso la fine del gioco, attestandosi sempre su livelli medi.
Il core del level design delle mappe di gioco risiede nell’area boschiva di Fallgrim e dei suoi sobborghi, nel quale dovremmo trovare determinati punti di interesse che ci daranno l’accesso ad un totale di tre zone, ognuna con contesto ambientale e bioma unico (e relativi nemici), che dovremmo completare per far proseguire l’avanzamento della campagna.
La sensazione che si ha sin da subito è quella del più totale disorientamento, in quanto la macroarea di Fallgrim e sobborghi è quanto di più uniforme si possa immaginare, con una serie di ricostruzioni ambientali monotone, scarsi punti di riferimento e tipologie di nemici ripetuti, in un design complessivo che risulta piuttosto complicato, composto da un miscuglio a tratti incomprensibile di passaggi, cunicoli, strettoie, radure e piccole colline.
Nonostante sia possibile comprendere la logica dell’intera area con una dose davvero elevata di pazienza, la continua sensazione di perdersi e di non riuscire a ritrovarsi è qualcosa che ci ha davvero frustrato e costretto ad imparare pressoché a memoria tutto quanto (il che va contro la logica di un buon design, che dovrebbe riuscire a permettere al giocatore di orientarsi facendo semplicemente attenzione ai propri spostamenti in una costruzione geografica coerente).
Dall’altro lato, le tre zone principali riescono ad essere leggermente più solide in termini di design, addirittura a tratti vi è il problema opposto: in più di un area ci siamo ritrovati davanti a corridoi particolarmente lunghi e sequenze di stanze prettamente lineari, con nemici da superare come fossero ostacoli l‘uno dopo l’altro, il che rappresenta l’eccesso opposto rispetto a ciò che abbiamo avuto modo di visitare a Fallgrim, denotando una scarsa capacità degli sviluppatori nell’intendere logicamente e geologicamente le ambientazioni.
A sostituire i falò di Dark Souls, ci pensa la sacerdotessa Genessa, una donna mascherata che ci risveglierà ogni volta che moriremo: purtroppo, il numero esiguo di posti in cui si trova ed il suo relativo posizionamento non aiuta a rendere più godibile l’esperienza esplorativa, costringendo il giocatore a dover ripetere intere aree dall’inizio e a sconfiggere singolarmente tutti quanti nemici in caso di morte.
Nonostante la nostra esperienza con i Souls sia piuttosto avanzata, questa eccessiva puntigliosità nel level design ci ha sfiancato e costretto in alcuni casi a dover completare le zone controvoglia, complice anche un posizionamento dei nemici poco intelligente e che non lascia spazio ad interpretazioni, essendo anch’essi posizionati con scarsa attenzione (avendo inoltre un lunghissimo raggio di aggressività, vi inseguiranno davvero a lungo, impedendovi quasi categoricamente di rushare zone conosciute e costringendovi a perdere ulteriore tempo nel doverli eliminare tutti).
Un gran peccato, in quanto tali problematiche di design risultano senza dubbio il più grande difetto del gioco, visto che parlando di combat system il discorso cambia completamente.
Partendo dalla classica base dello strategic swordplay (sistema di combattimenti all’arma bianca tipico dei Souls che è ormai ben conosciuto), il gioco presenta una serie di peculiarità meccaniche non indifferenti.
Il sistema di equipaggiamento è rappresentato dai Gusci, veri e propri set di armatura che fungono da classi: nell’arco dell’avventura ne troveremo un totale di quattro, ognuno con determinate caratteristiche in termini di salute, stamina e determinazione (equivalente del mana), ed un vero e proprio albero delle abilità specifico per ognuno: quindi, potremo decidere quale di queste armature scegliere in base sia alle nostre preferenze che alla situazione, il che, salvo qualche problemino di bilanciamento, rende l’esperienza alla base del combat system personalizzabile e dinamica.
Discorso similare va fatto per le armi, anch’esse limitate in quantità ma con propri moveset e weapon art da sbloccare, in questo modo il gioco riesce a donare al giocatore la possibilità di poter testare e provare combinazioni e sinergie tra armi e Gusci per ottimizzare ancora di più il proprio stile di combattimento.
Un’altra meccanica inedita del genere è rappresentata dalla pietrificazione: tramite la pressione di un tasto, il nostro personaggio si trasformerà all’istante in una statua di pietra, azzerando completamente la mobilità in favore di un’invulnerabilità temporanea, spesso con relativo stordimento del nemico (la lunghezza del tempo di pietrificazione dipende da quanto a lungo si preme il comando adibito).
Ciò aggiunge una notevole componente strategica agli scontri, in quanto è possibile attivare la pietrificazione in qualsiasi istante (mentre si corre, si rotola e si attacca), dando quello spiraglio di possibilità di attacco in più e rendendo i combattimenti meno lenti ma comunque ragionati il giusto.
Ad affiancare tale meccanica, non poteva mancare la classica parata, da eseguire con il giusto tempismo per poter sbilanciare il nemico e infliggergli ingenti danni. A tal proposito, il gioco incentiva a sfruttare le due meccaniche di difesa appena citate con una serie di oggetti ed abilità passive (appartenenti agli skill tree dei vari shell) che ne potenziano notevolmente l’effetto (dal recupero salute ad un esplosione ad area ecc.).
Una piccola parentesi va aperta per quanto riguarda la familiarità degli oggetti: si tratta di una vera e propria meccanica per il quale ogni oggetto consumabile viene inizialmente definito come sconosciuto.
Non avendo idea di quali vantaggi o svantaggi possa portarci il suo utilizzo, dovremo utilizzarlo almeno una volta, a nostro rischio e pericolo: ciò ne rivelerà gli effetti, e farà apparire la barra della familiarità, per il quale raggiunto un tot numero di utilizzi in base all’oggetto, il suo effetto verrà potenziato.
Nonostante inizialmente ci stesse sembrando una meccanica fine a sé stessa (preferendo in determinate situazioni evitare di provare determinati oggetti rimanendo nell’ignoto evitando però di rischiare di subire effetti indesiderati o, più semplicemente, di sprecarli), una volta entrati nell’ottica di gioco, l’abbiamo trovata un’idea tutto sommato gradevole (anche se forse avrebbe potuto essere gestita meglio).
Al netto di alcune mancanze in termini di quantità (specialmente per le armi), tale flusso di combattimento riesce a funzionare piuttosto bene e ad offrire un livello di sfida elevato ma mai disonesto.
Anche per quanto riguarda le minacce da affrontare abbiamo dei pro e dei contro: partendo da questi ultimi, le tipologie di nemici non riescono a brillare per varietà od originalità, facendo quasi tutti parte di una semplice gamma nemmeno troppo vasta di “cavalieri generici” tendenzialmente nella norma (da agili spadaccini a possenti mazzieri ecc.), con davvero poche eccezioni.
Inoltre, alcuni loro comportamenti risultano piuttosto insoliti, compiendo azioni fulminee in certi casi (alcune guardie passeranno dall’assetto di ronda a quello d’assalto in modo davvero poco naturale), ed altre a passo di lumaca in condizioni bene o male similari.
Considerando quanto il gioco riesca ad essere immersivo, ci dispiace profondamente l’aver notato una rifinitura così debole dell’audio, in quanto se fosse stato realizzato meglio, avrebbe potuto esserlo infinitamente di più.
Dall’altro punto di vista però, la loro resa grafica ed estetica risulta assolutamente convincente, così come le loro movenze ed animazioni: ognuno di loro ha una sua possenza, l’impatto dei loro passi e dei loro colpi è uno dei più reali e fisici ci sia mai capitato di percepire in un soulslike, e contribuisce a donare agli scontri un tocco di brutalità non indifferente.
Da notificare il fatto che, nonostante ciò, le hitbox non sono precisissime, e che molti dei nemici che affronteremo faranno utilizzo di tracking (tecnica per il quale il soggetto “ruota” su sé stesso per colpire il giocatore mentre quest’ultimo si trova alle sue spalle o di lato, come se i suoi attacchi avessero una specie di lock continuo sul giocatore, il che non è mai una cosa positiva).
Tutto ciò che riguarda i nemici da affrontare si può tranquillamente applicare anche alle bossfight: nonostante siano poche, dalla scarsa varietà e senza pressoché alcuna particolarità, riescono ad essere divertenti e soddisfacenti da superare.
Una grande critica va fatta sul comparto sonoro: le tracce musicali sono pressoché del tutto assenti, mentre i versi ed i suoni dei nemici sono continuamente ripetuti e spesso anche “sbagliati” in termini della percezione dalla distanza (in poche parole, l’effettistica audio non è direzionale, e la loro resa in cuffia non rappresenta quasi mai la realtà in termini di profondità e vicinanza).
A sollevare il tutto di un gradino ci pensa un comparto tecnico ed estetico che ci ha a tratti lasciato a bocca aperta: dopo aver elogiato la bellezza e la fisicità dei modelli e delle loro animazioni, non possiamo non fare lo stesso con le ambientazioni.
Nonostante anche in questo caso esse facciano tutte quante parte del contesto più classico del genere (rovine, catacombe, castelli, villaggi innevati e poco altro), la solidità degli oggetti e dei poligoni, la luce ed i riflessi su di essi, la quantità non indifferente di dettagli estetici ed una generale pulizia dell’impatto complessivo contribuiscono a renderle decisamente immersive e gradevoli da vedere, sia quelle più strette e claustrofobiche che le altre più ampie ed estese.
Uno dei concetti più fondamentali da comprendere sull’esperienza totale di gioco riguarda la longevità: ebbene si, nonostante Mortal Shell abbia tutte le carte in tavole per essere a conti fatti un soulslike, la sua durata complessiva risulta decisamente inferiore rispetto agli standard, attestandosi circa sulle 10/12 ore comprese le fasi di esplorazione e la giunta a compimento delle poche quest secondarie presenti.
Ciò rappresenta il motivo per il quale il gioco presenta una falla notevole nella varietà di situazioni e contenuti: nonostante non sia una scelta di design da giustificare, ci sentiamo comunque in vena di comprenderla ed accettarla, sperando che i prossimi ipotetici contenuti (che siano DLC o un sequel) possano aprire la strada ad altre possibilità, visto che la base c’è e risulta piuttosto solida.
Mortal Shell rappresenta un’avventura dagli spunti interessanti grazie a novità meccaniche coraggiose (anche se non implementate nel migliore dei modi), che riesce ad offrire ai fan dei soulslike una buona dose di coinvolgimento, divertimento e difficoltà, ma che scivola brutalmente su componenti videoludiche troppo importanti per essere trascurate: un level design confuso e a tratti inutilmente fastidioso e punitivo ed una varietà eccessivamente scarsa di nemici, ambientazioni e boss fight (a loro volta prive di originalità) impediscono al titolo di innalzarsi accanto ai Dark Souls come nuovo grande punto di riferimento del genere.
Nonostante tali difetti siano imperdonabili, il gioco è riuscito comunque a regalarci numerose soddisfazioni che ci ha fatto sicuramente piacere provare: considerando inoltre che si tratta del primo lavoro di questo piccolo nascente studio, ci sentiamo quasi in dovere di credere in Cold Symmetry, sperando con il cuore in mano che questo sia solo il primo passo di un lungo processo di evoluzione che possa in futuro regalarci grandi emozioni.
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