Cinema&Tv

La Storia di Digimon – Cap.2: Un Cigno dall’Ala Spezzata

Ben ritrovati, gente. Continua con questo secondo appuntamento il nostro viaggio nell’immensa storia del brand Digimon.

Per chi si fosse perso la puntata precendente:
Digimon nasce nel 1997 come versione maschile del Tamagotchi, prodotto da Bandai.
– Nel 1999 la popolarità di Digimon esplode grazie all’ottima serie animata Digimon Adventure e Bandai decide di usare il brand come punta di diamante nella sua concorrenza spietata a Nintendo e al monopolio di Pokémon nel campo dell’intrattenimento per i più piccoli sia per quanto riguarda le serie animate, che i videogiochi.
– Il problema di arrivare sempre per secondo sul brand rivale e la qualità media inferiore dei videogiochi di Digimon rispetto a Pokémon fanno si che le vendite siano sistematicamente sotto le aspettative e la concorrenza serrata di Digimon si avvia sempre più alla sconfitta.
– Annusando il fallimento, Bandai decide di rielaborare alcuni aspetti del brand con una nuova serie animata, di fatto dando una nuova forma all’immaginario di Digimon come si era formato nella mente dei fan.

Continuiamo da questo punto la nostra storia prendendo in esame il periodo che va dal 2001 al 2007, assisteremo alla fine della competizione e al progressivo distorcersi e disintegrarsi di Digimon sotto i colpi dell’indifferenza dell’azienda che lo produce e delle vendite sempre più basse.

Gen.2 – Non più prescelti, ma Domatori

Bandai non aveva mai avuto totalmente intenzione di rendere Digimon un brand legato a doppio filo con la serie animata, quindi non sorprende troppo vedere come, una volta esaurite Digimon Adventure e Adventure 02, sia stato deciso di realizzare una nuova serie che permettesse ai creatori di sviluppare altre idee legate al brand.

I punti positivi da cui ripartire per creare una nuova serie di Digimon furono presi un po’ dappertutto tra gli elementi appartenenti al brand usciti fino a quel momento.
La ripartenza per una nuova serie animata che potesse sostituire Adventure 02 partì dal TCG di Digimon, mentre il nome fu ripescato dai titoli per Wonderswan: Tamers, domatori.

La nuova serie non avrebbe più avuto delle dinamiche da fantasy classico, con i prescelti chiamati a salvare il mondo, ma dei ragazzini semplici, che non hanno nessun dovere verso il Digital World, si trovano in mezzo all’azione quasi per caso e dovranno imparare a convivere con i propri digimon, proteggerli e aiutarli nei momenti del bisogno.

In data 1 aprile 2001 esce in Giappone Digimon Tamers, la terza serie di Digimon, e tutto cambiò drasticamente.

Digimon Tamers si svolge in un universo narrativo totalmente differete da quello di Adventure. I protagonisiti, Takato Matsuki, Henry Wong e Rika Nanoka, vivono in una Tokyo in tutto e per tutto identica a quella reale, dove Digimon è un brand composto da serie animata e gioco di carte, un popolarissimo gioco di carte, a cui Takato e i suoi compagni giocano ogni giorno nascosti nel loro rifugio al parco cittadino.

Quando i digimon cominciano a bio-emergere nel mondo reale da quello digitale, i tre protagonisti dovranno imparare a prendersi cura e nascondere i propri digimon mentre combattono contro i digimon bio-emersi e si guardano le spalle dall’organizzazione governativa Hypnos, incaricata di monitorare e controllare le bio-emersioni.

Digimon Tamers sconvolge completamente il world building di Digimon Adventure, reinventandolo dall’inizio in una chiave meno giocosa e più definita: i digimon non sono più soltanto creature di una dimensione parallela a cui gli umani hanno avuto accesso di recente grazie all’avanzamento tecnologico, ma entità digitali evolutesi naturalmente dai dati lasciati al caos della rete creata dagli esseri umani. Ogni cosa legata ai digimon ha una definizione più precisa, come un meccanismo di evoluzione che si basa sul combattere gli uni contro gli altri e assorbire i dati del nemico sconfitto per diventare più potente.

Il concetto di digi-evoluzione viene spiegato i modo più preciso e “scientifico”, così come il rapporto che c’è tra digi-evoluzione e rapporto digimon/domatore. Il tutto è stato poi inserito in una storia matura e a tratti traumatica di crescita personale, resistenza, rivalsa e autocoscienza che la rende, personalmente parlando, la migliore serie animata di Digimon in assoluto.

Per la nuova serie di punta del brand viene scelto un nuovo regista, Yukio Kaizawa, ma il merito dell’ottima riuscita della serie va soprattutto alla scrittura di un ottimo sceneggiatore come Chiaki J. Konaka, già sceneggiatore di alcuni episodi di Digimon Adventure 02,. Konaka è conosciuto come scrittore di racconti horror ispirati a H. P. Lovecraft, creatore di Serial Experiments Lain, responsabile della scrittura dell’anime Devil Lady e, di lì a qualche anno, principale sceneggiatore del primo adattamento animato di Hellsing. La storia di Digimon Tamers acquisisce alcuni tratti più maturi e macabri, come testimoniato dall’esistenza stessa del D-Reaper, una mostruosità ben lontana dal concetto di digimon che si era formata nella mente degli spettatori fino a quel momento. Lo sceneggiatore dirà in seguito che le sue idee per Digimon Tamers sono state ispirate molto da Neon Genesis Evangelion e dall’immaginario lovecraftiano.

Il completo stravolgimento dei canoni portato dalla “2° generazione” (termine improprio, lo so) di Digimon è un chiaro sintomo di come Bandai non avesse una direzione precisa da tenere con il brand, e preso questo si sarebbe riversato nelle dinamiche della guerra concorrenziale con Pokémon, compromettendola definitivamente.

Complice il fatto che avessero anche altri brand molto più importanti e redditizi da seguire, Bandai trascurò pesantemente Digimon. Ogni prodotto di Digimon, se preso singolarmente, era mediamente buono, ma il brand nel suo complesso fu gestito terribilmente: non c’era una linea guida comune tra le storie proposte, le meccaniche di world building cambiavano in continuazione, il moltiplicarsi delle storie interne al franchise finivano per contraddirsi le une con le altre e il tutto si traduceva in una gran confusione.

Per completezza faccio presente che Digimon Tamers ha a sua volta avuto due lungometraggi dedicati: Digimon Tamers: Battle Of The Adventures e Digimon Tamers: Runaway Locomon, entrambi in collaborazione con Disney; nessuno dei due è mai arrivato in Europa.

Fine dei giochi

Il periodo di messa in onda di Digimon Tamers, a cavallo tra il 2001 e il 2002, videro anche le ultime, arrancanti gesta del Wonderswan. Su Wonderswan Color arrivò Digimon Tamers: Brave Tamers, ultimo capitolo delle avventure di Ryo Akiyama nel Digital World, che lo vede nuovamente contrapposto a Millenniumon, e almeno questa storia riuscirà ad avere una conclusione, per quanto raffazzonata e con poca logica.

Fine molto meno gloriosa la fece Wonderswan stesso. Già all’uscita di Wonderswan Color, Nintendo aveva annunciato la prossima uscita di Gameboy Advance, e con l’uscita della nuova console, migliore sotto tutti i punti di vista sia al Gameboy Color che a tutta la concorrenza, il mercato non trovò più posto per la portatile di Bandai, né per la sua incarnazione del 2002, il Wonderswan Crystal, che uscì con pochissimi giochi disponibili e non ne vide molti altri aggiunti al catalogo.

Contemporaneamente a Brave Tamers escono anche altri giochi spin off. Digimon Battle Spirits, il primo picchiaduro a tema Digimon, uscì in tre versioni su Wonderswan Color: Battle Spirits nel 2001, e Battle Spirits Vers. 1.5 e Battle Spirits 2 nel 2002, tutti e tre più o meno simili tra loro, giochini divertenti per un po’, con un gameplay che ricorda una versione semplificata di Super Smash Bros, ma che stancano molto presto.

Sul versante Playstation le cose vanno solo vagamente meglio. Sulla console esce Digimon Park, una serie di minigiochi a tema Digimon Tamers, ma anche il terzo capitolo di Digimon World.

Digimon World 3 esce nel giugno del 2002 e rappresenta l’ennesimo cambio di rotta di Digimon anche per quanto riguarda i videogiochi. Digimon World 3 può essere facilmente inteso come la correzione del precedente capitolo, con alcune differenze fondamentali; una su tutte, l’ambientazione: il giocatore si troverà nei panni di un ragazzino appassionato di Digimon che prende parte a un gigantesco MMORPG a tema, Digimon Online, in cui gli verranno affidati dei digimon da addestrare e con cui viaggiare per il mondo digitale compresso nel server Amaterasu, dove affronterà le varie prove che lo porteranno a diventare campione del torneo di digimon di quel gioco… ricorda niente?

Ebbene si. Con Digimon World 3 (il mio capitolo preferito, peraltro) Digimon si era definitivamente trasformato in un Pokémon con una diversa forma. Fortunatamente anche in questo caso la trama salva tutta la baracca e il gioco rimane godibile, ma si tratta senza dubbio di un grosso passo indietro per l’identità del brand.

Il salto da 2002 a 2003 è un periodo di disastroso per Digimon. La concorrenza da pari a pari con Pokémon è ormai un lontano ricordo e nonostante le uscite continuassero e lo zoccolo di fan appassionati fosse ancora durissimo e difficile da allontanare, il brand aveva cominciato una fase di declino.

Il momento della definitiva resa di Digimon e l’abbandono della competizione da parte di Bandai mi sento di collocarlo al 15 settembre 2003, con l’uscita nelle Americhe di Digimon Battle Spirit, convertito per Gameboy Advance. Come fu per Sega prima di lei, Bandai si arrenderà a portare, da quel momento in avanti, tutti i nuovi giochi di Digimon su console Nintendo.

Digimon Frontier e la nascita di Digimon Chronicle

In un periodo in cui la competizione con Pokémon era stata quasi abbandonata, Bandai poteva comunque contare sui propri fan, che continuavano ad essere in numero abbastanza alto da costituire un piccolo mercato su cui investire, specialmente in Giappone, dove il mercato dei V-Pet risultava ancora redditizio.

Ne consegue che la produzione legata al brand non si fermò, ma serviva ricostruire nuovamente da capo il canone del Digital World. Un primo timido tentativo di ricostruzione avviene sul finire del 2002 con la nuova serie Digimon Frontier, che nonostante l’ottima storia e i bei colpi di scena, non riesco a non vedere come un concettuale passo indietro rispetto a Tamers.

A quanto pare sono stati pochi ad aver apprezzato il cambio di rotta avvenuto in Digimon Tamers perché in Digimon Frontier, diretto di nuovo da Yukio Kaizawa, torniamo a parlare di Prescelti, in questo caso un gruppo di 5 ragazzini che deve viaggiare per un Digital World nuovo di zecca in cerca degli Spiriti dei 10 guerrieri leggendari del Digital World, oggetti tramite i quali potranno trasformarsi nelle reincarnazioni dei 10 guerrieri e salvare il Digital World dal malvagio Kerpymon.
Il meccanismo è molto simile come concetto alla ricerca delle digipietre in Digimon Adventure o quello delle digiuova in Digimon Adventure 02, un vero e proprio ritorno alle origini dopo la parentesi di Digimon Tamers, ma contestualizzato molto bene grazie alla nuova forma del Digital World, diviso nelle sue aree collegate tramite lunghe ferrovie digitali e dilaniato da una guerra tra digimon umanoidi e digimon bestiali, setup molto interessante che da il là a un’ottima serie.

Parallelamente a Digimon Frontier si stava sviluppando un’altra visione del mondo di Digimon che avrebbe preso prepotentemente il sopravvento sul resto. La visione in questione arrivò dalla fonte più impensabile: la linea dei V-Pet, che in tutto questo tempo non aveva mai cessato la produzione. Anzi, si era allargata con molti nuovi modelli e nuovi digimon da allevare.

Quando fu annunciato Digimon Chronicle all’inizio del 2002 in Giappone, rumor dicevano si sarebbe trattato di una nuova serie manga che avrebbe sostituito Digimon V-Tamer 01, in via di conclusione. Si rivelò essere invece una serie di albi illustrati che avrebbero accompagnato la nuova linea Pendulum X della serie Digimon V-Pet uscita nel 2003, spiegandone lore e curiosità narrative.

Nonostante la delusione di non avere un nuovo manga serializzato, la storia del nuovo e inedito Digital World risulta molto affascinante e fa subito presa sugli appassionati.

Il Digital World è sovrappopolato. Il computer centrale Yggdrasill che ne controlla e gestisce l’equilibrio, si accorge del problema e capisce che qualsiasi contromisura sarebbe inefficace: il Digital World sembra destinato ad autodistruggersi. Come un novello Dio dell’antico testamento (o come un precursore di Thanos del MCU, decidete voi) Yggdrasill decide di creare un nuovo Digital World dove porta una piccola parte della popolazione di digimon, mentre la restante, abbandonata nel vecchio mondo, viene sottoposta a un sistematico sterminio di massa tramite il virus X-Program. Tuttavia, se conosciamo un minimo i digimon, sappiamo che una delle loro caratteristiche principali è sapersi adattare in fretta. Alcuni dei digimon condannati da Yggrdasill sviluppano l’Anticorpo X, un programma antivirus che permette loro di resistere al programma di sterminio e cambia l’aspetto di chi lo possiede, dando così vita a una nuova specie di Digimon X che cerca di raggiungere il nuovo Digital World. Vedendo il proprio piano fallire, Yggrdasill sguinzaglia a caccia dei nuovi Digimon X la sua guardia d’elite personale, i Royal Knights, un gruppo ti potentissimi digimon di livello Mega al servizio del computer centrale. Tre ragazzini arrivati per caso nel Digital World (torna il tema dei “prescelti“) otterranno l’aiuto di due piccoli digimon, Dorumon e Ryudamon per combattere i Royal Knights e Yggdrasill.

La storia di Digimon Chronicle, nonostante sia sviluppata in soli 4 volumi, ha così tanta presa sugli appassionati da influenzare ogni altro aspetto del franchise da quel momento e per molto tempo. Le figure magnifiche dei Royal Knights in particolare, complice il fatto che l’osannatissimo Omegamon (Omnimon per gli occidentali) ne fa parte, ha subito una forte presa sui fan, che chiedono a gran voce più storie con loro come protagonisti.

Il primo prodotto di Digimon a subire il successo di Digimon Chronicle è proprio Digimon Frontier, a cui nel 2003 vengono aggiunti 13 nuovi episodi in cui appaiono i Royal Knights Dynasmon e Crusadermon come antagonisti principali in quello che è, a parere di chi vi scrive, l’arco narrativo migliore di un serie già ottima. L’apparizione avviene, ovviamente, solo per pubblicizzare la nuova linea di V-Pet, ma permette al pubblico della serie TV di venire a conoscenza dell’esistenza dei Royal Knights, in particolare fuori dal Giappone dove i V-Pet, e di conseguenza Digimon Chronicle, non sono mai arrivati.

Non è troppo sorprendente che il periodo non proprio roseo del brand si rifletta sulla produzione legata ad esso: l’unico videogioco di Digimon uscito in tutto il 2003, a parte i porting di Battle Spirits e Battle Spirits 2 per Gameboy Advance, è un MMORPG conosciuto come Digimon Battle Online, gioco in esclusiva per il mercato sud-coreano che ha visto due traduzioni nell’arco di 7 anni: nel 2008 in cinese e nel 2010 in inglese.

Gen.3 – L’affermazione di Digimon Chronicle

Il 2005 fu un periodo di grossi cambiamenti per Bandai. Quell’anno ci fu la storica acquisizione di Namco e il cambio di nome in Bandai Namco Holding Inc., con conseguente riorganizzazione di molti settori di produzione. Digimon, considerato già da molto tempo un franchise di secondo piano rispetto ai grossi marchi che venivano esportati, rimase coinvolto da questa riorganizzazione e molti progetti del periodo ne risultarono danneggiati.

L’uscita regolare di videogiochi a tema Digimon riprende nel 2004 con l’uscita di Digimon Rumble Arena 2 su Playstation 2, Xbox e Nintendo Gamecube, seguito del picchiaduro uscito su Playstation nel 2001, e Digimon Racing per Gameboy Advance, un clone di Mario Kart come se ne vedevano tanti all’epoca, mentre all’inizio del 2005 esce Digimon World 4, sempre su Playstation 2, Xbox e Nintendo Gamecube (solo PS2 in Europa), che dei precedenti Digimon World aveva solo il nome.

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Dimenticatevi l’allevamento, dimenticatevi i combattimenti a turni, Digimon World 4 è un RPG action in un mondo in cui gli esseri umani non sono neanche contemplati. Il mondo di Digimon Chronicle prese prepotentemente il sopravvento anche sul mondo dei videogiochi a tema, portando su console un universo narrativo di cui i giocatori al di fuori del Giappone potevano solo aver sentito parlare. Una grave falla nella distribuzione di Bandai.

Il giocatore potrà impersonare uno dei quattro digimon principali del franchise: Agumon, Veemon, Guilmon e il nuovissimo Dorumon, protagonista di Digimon Chronicle, ognuno dei quali equipaggiabile con quattro tipi diversi di arma: da taglio, da fuoco, contundente e ad artiglio. Arruolato in una forza di difesa del Digital World, il protagonista dovrà combattere contro delle misteriose Macchine Digitali per salvare il mondo dalla corruzione.

Action a parte, la struttura dei livelli da Digimon World 2: molti dungeon da portare in fondo, pieni zeppi di digimon da sconfiggere, compresi uno o due boss per dungeon, peraltro fortemente sbilanciati. Il gioco non fu per nulla apprezzato né dal pubblico né dalla critica. Terribile la scelta di un action RPG per un gioco di digimon, seconda solo alla scelta di munire i digimon di armi che ne modificavano alla base lo stile di combattimento rispetto alla serie animata, non è infatti possibile utilizzare le mosse caratteristiche dei digimon nelle serie animate, ma solo un singolo attacco da spammare all’infinito più qualche parata di circostanza.

In più è possibile sbloccare solo le digievoluzioni di livello Mega dei digimon protagonisti, mandando a donne di facili costumi tutta la struttura portante del mondo di digimon. Disgraziatamente in questo caso la storia, da sempre colonna portante di ogni prodotto del franchise, è talmente piatta e mal raccontata da non salvare il titolo.

Un disastro su tutti i fronti che venne giustamente rigettato dal pubblico, considerandolo indegno anche in termini di puro fanservice:

“Un’esperienza largamente dimenticabile a cui i giocatori non dovrebbero avvicinarsi nemmeno per sbaglio, mentre i fan della serie dovrebbero farsi delle domande sul perché i creatori di Digimon li stiano puntando con un gioco orrendo come questo”.

(Liberamente tradotto dalla recensione per Gamespot di Ryan Devis del 2005).

Digimon Savers: Quello che nasce dal caso

Digimon Savers (o Data Squad in occidente) è la serie animata figlia della linea narrativa di Digimon Chronicle. Inizialmente pensata per essere immediatamente successiva a Digimon Frontier, la sua produzione fu continuamente interrotta e rimandata per quasi 4 anni fino all’uscita del 2 aprile 2006, a causa dei problemi di riorganizzazione di Bandai Namco. Il progetto subì talmente tanti ritardi e cambi di personale da uscire molto diverso dai piani originali.

Digimon Savers si distingue sotto moltissimi aspetti dalle precedenti serie di Digimon, primo tra tutti quello del character design. Non più fedele a quello che era stato fino a quel momento lo stile tipico di Digimon, con personaggi umani che sembravano delle bubble head, di statura molto bassa e magrissimi, ma adattato alla media degli anime bishonen dell’epoca (ad esempio Naruto o Zatch Bell), specialmente per i personaggi umani la differenza si nota.
In secundis, l’età dei personaggi umani. Sapendo che il pubblico di Digimon non era più quello a cui si era puntato fino a quel momento, gli sceneggiatori di Toei hanno alzato l’età media dei protagonisti dai 9/10 anni delle precedenti serie ai 14 per i due protagonisti principali, addirittura 18 per la terza componente del gruppo. I protagonisti sono inseriti nella Data Squad, una squadra d’azione che, al pari di Hypnos in Digimon Tamers, monitora e contrasta le apparizioni dei digimon nel mondo reale.

Digimon Savers non brilla per le idee originali. Nuovi digimon a parte, la storia della serie ruba un po’ da Digimon Tamers, un po’ da Digimon World 4 e un po’ da Digimon Chronicle, con l’apparizione delle macchine digitali semi-senzienti già viste in Digimon World 4, il ruolo come antagonisti dei Royal Knights, per la prima e ultima volta mostrati al completo (più o meno) in una serie animata, e la presenza stessa di Yggrdasill (adattato i King Drasill per motivi a me ignoti) come antagonista finale, direttamente da Digimon Chronicle, che mantengono tutti le loro caratterizzazioni canoniche.

Il tema della sinergia tra digimon e umani che dà luogo a un potere superiore è rispettato in Savers grazie all’introduzione della Burst Mode, che nonostante sia solo un tentativo pietoso di aggiungere un ulteriore livello di evoluzione ai digimon e avere più forme per i giocattoli, è comunque un buon espediente di trama. In generale il ruolo degli esseri umani in questa serie è molto maggiore rispetto al passato (Frontier escluso, per ovvie ragioni), esemplificata da Damon Masaru, il protagonista, che salta dalla testa del suo ShineGreymon per prendere a pugni digimon di livello Mega. Per quanto orribile al livello di coerenza narrativa, la scena ha un suo impatto.

Digimon Savers è riuscita ad arrivare anche in occidente, seppur con qualche fatica in più rispetto anche soltanto a Frontier. La serie arriva in America nell’ottobre del 2007 e in UK pochi mesi dopo, mentre in tutti gli altri paesi non arriva affatto.

 

Digimon Next e Digimon D-Cyber: L’assurda storia dei manga del 2005

La storia di Digimon Next e Digimon D-Cyber è la perfetta rappresentazione del caos che Digimon stava attraversando tra il 2004 e il 2005.
Digimon Chronicle, pur rimanendo confinato al Giappone, aveva ispirato molto il brand che decise di continuare a puntare in quella direzione.

Partiamo dalle cose facili. Digimon Next, manga pubblicato su V-Jump a partire dal dicembre del 2005, era pensato dai produttori come il fumetto seriale che avrebbe sostituito Digimon V-Tamer, che nel 2005 si avviava alla conclusione. La trama segue le vicende di Tsurugi Tatsuno, un ragazzino 10 anni, e del suo Greymon, impegnati nella ricerca delle DigiMemories per impedire che Barbamon, uno dei Seven Demon Lords del Digital World, ne entri in possesso e ricrei l’entità capace di distruggere il mondo digitale.

La trama del manga non si discosta molto dalle solite della serialità di Digimon fin dai suoi inizi, ma sono presenti alcune particolarità: la presenza di Yggdrasill, presentato come il Dio del Digital World, e dei Seven Demon Lords, qui nominati per la prima volta, entrambi fattori derivanti da Digimon Chronicle. Buffo come Digimon Next abbia anticipato molti degli elementi, soprattutto in fatto di design dei nuovi digimon, che troveremo l’anno successivo in Digimon Savers.

Ciò che dà da pensare è che parallelamente a Digimon Next si era già sviluppato un altro progetto a fumetti che avrebbe persino superato in popolarità il prodotto principale di Bandai: Digimon D-Cyber.

Per parlare di Digimon D-Cyber devo introdurre la figura di Yuen Wong Yu, fumettista di Hong Kong (mi riferirò al maschile, ma non sono riuscito a capire neanche se è un uomo o una donna) che da diversi anni era l’incaricato a realizzare i disegni degli adattamenti a fumetti delle serie animate di Digimon per il mercato cinese. A cavallo tra il 2004 e il 2005 Yuen Wong Yu realizza il manhua Digimon D-Cyber, pubblicato a Singapore a partire da febbraio 2005, anticipando di 10 mesi l’uscita di Digimon Next.

Sull’apparizione di questo fumetto le notizie sono molto confuse: non è chiaro come, quando e se Bandai abbia commissionato questo fumetto oppure se sia stata un’iniziativa dell’autore stesso che è stata poi inglobata nel canone, fatto sta che Digimon D-Cyber ha portato alcune importanti novità che rimangono in alcune parti del brand di Digimon ancora oggi.

Digimon D-Cyber tratta di un nuovo Digital World, diverso da quello di Chronicle, in cui il virus X-Program non è stato sparso da una divinità digitale, ma causato del degenerarsi del cadavere di un antico potentissimo digimon malvagio, DexDorugoramon X, che è stato sconfitto molti secoli prima dai tre Holy Knights (revisione dei Royal Knights) Omega of Power (Omegamon X, Omnimon per gli occidentali), Duke of Courage (Dukemon X, Gallantmon per gli occidentali) e Magna of Miracles (Magnamon X). La storia parte quando un ragazzo di nome Zhinguang viene catapultato insieme a due amici nel Digital World e viene in contatto con Dorumon, reincarnazione del digimon malvagio. Quando Metalphantomon colpirà Dorumon per rubargli il DigiCore e risvegliare l’antico digimon, il ragazzo dovrà trovare un modo per salvare il suo partner digitale e poi impedire a DexDorugoramon di risvegliarsi.

Il manhua recupera e in parte reinventa la trama di Digimon Chronicle, in un certo senso dandogli una forma più compiuta (i 4 volumi giapponesi non erano per nulla esaustivi sull’argomento) e porta anche un paio di interessanti novità. Dorumon, già sdoganato da Digimon Chronicle, diventa il punto focale della lore del nuovo Digital World, i Royal Knights (o Holy Knights in questo caso) vengono codificati come i protettori del Digital World e viene introdotto per la prima volta nel franchise il concetto di “forma X“, redesign di un digimon di partenza una volta sviluppato l’Anticorpo X.

Digimon D-Cyber avrà un grosso echo nella storia del franchise, ma non essendo mai andato oltre Cina e Giappone, in pochi conoscono questo breve fumetto, che viene in ogni aspetto surclassato dal coevo Digimon Next.

L’eredità di Digimon Chronicle, escludendo la parentesi di Digimon Savers, ebbe il suo massimo splendore in un momento ben specifico: il 3 gennaio 2005, data d’uscita di Digital Monsters: X Evolution.
Ribattezzato dai fan Digimon X Evolution, è un film animato interamente in CGI realizzato dallo Studio Imagi di Hong Kong (adesso fallito e realizzatore, tra le altre cose, del film Astro Boy), diretto dal solito Hiroyuki Kakudo e scritto da Kazunori Ito (l’autore della serie crossmediale hack//), ambientato nell’universo narrativo di Digimon Chronicle. Le premesse sono le stesse: Yggdrasil mette in atto il suo progetto di sterminio sistematico e crea il secondo mondo digitale, ma alcuni digimon con l’Anticorpo X sopravvivono e arrivano clandestinamente nel nuovo Digital World guidati da Wargreymon X e Metalgarurumon X, venendo tuttavia cacciati dall’implacabile Omegamon.

Il film segue l’avventura di Dorumon, un piccolo digimon X trovatosi apparentemente per caso nel nuovo Digital World, che lotta per la propria sopravvivenza.

Digimon X Evolution prende idee sia da Digimon Chronicle sia da Digimon D-Cyber, ma non da Digimon Next, cosa che lo classifica inequivocabilmente come elemento accessorio del franchise, con la particolarità che in questo film non ci sono esseri umani. La peculiarità di Digimon X Evoution rispetto a ogni altro prodotto del brand Digimon è che ci racconta una storia del Digital World in cui gli umani non sono presenti, non sono mai nemmeno nominati, e i protagonisti sono tutti digimon. In particolare la fanno da padrone i Royal Knights, che, seguendo le tracce degli Holy Knights di Digimon D-Cyber, vengono ridotti dai canonici 11 (oggi 13) a 3: Omegamon (Omnimon), Dukemon (Gallantmon) e Magnamon.

Nel suo essere un prodotto stand alone con il solo scopo di pubblicizzare la nuova linea di V-Pet uscito in quegli anni, Digimon X Evolution è un buon film. Le storie intrecciate di Dorumon, Omegamon, Wargreymon X e il grande piano di Yggdrasil riescono ad avere un senso logico e si seguono volentieri. Come film in se è chiaro, profondo quanto basta e ben fatto, e per un prodotto di questo genere basta e avanza.

La CGI, considerando che quelli erano i primi esperimenti nell’animazione giapponese, si comporta quasi bene. Nonostante le animazioni molto buone, i modelli digitali e soprattutto gli sfondi sfiorano appena l’accettabile per il 2005 (consideriamo che nello stesso anno usciva Final Fantasy VII: Advent Children) e riviste oggi sono invecchiate malissimo, mentre le coreografie dei combattimenti sono gestite in maniera magistrale. Per un fan del brand o anche solo per un curioso è un film che merita di essere visto.

Due anni di vuoto

Mentre Digimon D-Cyber si chiuse con pochissimi capitoli, Digimon Savers e Digimon Next accompagnarono il brand in quella lunghissima fase di transizione che va dal 2007 al 2010, con il piccolo problema che Savers chiuse la sua prima run televisiva nel 2007 e l’ultimo capitolo di Digimon Next uscì nel 2008. Due anni senza nessuna uscita televisiva o editoriale.
In questi due anni persino l’uscita dei nuovi V-Pet, unica costante certa nella storia del franchise, si arrestò.

L’intero franchise fu accantonato, le uniche uscite furono videoludiche, con l’inizio di una nuova serie di videogiochi pensati a partire da Digimon Savers su Nintendo DS: Digimon Stories, iniziata con Digimon Stories nel 2006 e con Digimon Stories Sunburst e Digimon Stories Moonlight nel 2007.

I giochi nascevano dalla cenere della serie dei vecchi Digimon World, riprendendo il sistema di combattimento a turni 3 vs 3 di Digimon World 2, ma in un mondo e con uno stile di avventura mutuati da Digimon World 3. La produzione e l’edizioni di questi primi giochi di Digimon Stories furono talmente mal curate che i giochi in sé risultano privi di qualsivoglia personalità e i più facilmente dimenticabili dell’intero brand. Inoltre, per l’uscita in occidente non ebbero nemmeno la decenza di prendere atto del cambio di linea editoriale. Sia in versione americana che europea, questi titoli sono conosciuti come Digimon World DS e Digimon World Down & Dusk.

Non ebbe sorte migliore il titolo dedicato a Digimon Savers per Playstation 2: Digimon Savers: Another Mission, conosciuto in America e in tutto l’occidente come Digimon World: Data Squad, che porta lo stile del combattimento a turni di Digimon World 2 di nuovo nel mondo digitale e amplia la trama di Digimon Savers dando la possibilità al giocatore di impersonare tutti i protagonisti dell’anime per dare contro ai Seven Demon Lords.

Per Concludere

Questa è la storia di come il brand Digimon è pian piano calato nel tempo. Dopo un lento declino iniziato con la sconfitta nella guerra concorrenziale con Pokémon, Bandai ha chiaramente mollato la presa sul brand, con scelte di marketing via via sempre meno incisive e con meno attenzione alla qualità dei prodotti, fino al totale collasso nel periodo che va dal 2005 al 2010: un vero e proprio buco nero nella storia di Digimon.

Certo è che i problemi non sono stati solo interni. Molte problematiche esterne hanno influito sul tracollo, una su tutte la fusione tra Bandai e Namco, che ha assorbito completamente l’attenzione dei dirigenti e lasciato i creativi con pochissime linee guida e nessuna motivazione.

La cosa positiva di tutto questo è che nonostante i problemi, Digimon non si è mai fermato e ha continuato a sfornare, anno dopo anno, sempre nuovi prodotti, andando ad arricchire il brand in modo, sì caotico, ma costante. Potendo contare su una consolidata e agguerritissima fetta di mercato composta dai fan di tutto il mondo, Digimon è riuscito a sopravvivere ai suoi momenti più bui, in attesa di risorgere dalle proprie ceneri.

Per oggi è tutto, gente. Io ringrazio ancora i ragazzi di Digimon Channel Italia per l’aiuto nel reperire fonti e materiale per l’articolo e vi do appuntamento alla prossima settimana con la terza e ultima parte della Storia di Digimon, in cui vedremo il cigno rialzare la testa e guardare, con un po’ di speranza, verso un futuro roseo.

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Riccardo Magliano

Ciao gente! Sono Riccardo Magliano, classe 1995, originario di Pontedera (PI), ma di stanza a Bologna per motivi di studio. Sono laureato in triennale al DAMS al momento studio per diventare sceneggiatore cinematografico. Sono grande appassionato e estimatore di prodotti d'animazione, dalle serie, ai lungometraggi, ai corti, l'importante é che raccontino qualcosa (cosa non sempre indispensabile perché tra i miei film preferiti c'é Fantasia). Qui su Spacenerd mi occuperò di recensioni e approfondimenti su tutto ciò che concerne l'animazione, specie quella occidentale, più e più volte colpevolmente trascurata dalla massa di fanatici di anime. Grazie a tutti per l'attenzione e buon divertimento

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