Leggendo le tre parole che ho scelto per descrivere molto sinteticamente Seis Manos, potreste essere un po’ confusi… beh, fate bene. Raramente mi è capitato di mettere gli occhi su qualcosa di così pretenziosamente delirante e sopra le righe. Una serie che fa di scontri sanguinari ed azioni pesantemente violente il suo fiore all’occhiello, con personaggi sempre sul limite dell’assurdo e continui colpi di scena uno più esagerato dell’altro. Il bello è che tutto questo è solo in parte una cosa negativa.
Andiamo con ordine.
Seis Manos è la nuova serie originale Netflix realizzata dai nostri cari amici di PowerHouse Animation, quelli di Castlevania, per il momento composta da una stagione di 8 episodi di circa mezz’ora di durata.
Creata da Brad Greaber e Alvaro Rodriguez, scritta da Daniel Dominguez e Alvaro Rodriguez e diretta da Willis Bulliner.
Ambientata nella cittadina fittizia di San Simon, in Messico, a metà degli anni ’70, Seis Manos segue la storia di vendetta di tre orfani, Isabela, Jesus e Silencio, cresciuti a pane e kung fu dal maestro Chiu, un vecchio maestro cinese ritrovatosi in Messico per motivi non chiari.
La storia comincia quando il boss del crimine, narcotrafficante e capo di una setta religiosa El Balde (in originale doppiato da Danny Trejo, a.k.a. Mr. Machete Kills) sguinzaglia sulla cittadina di San Simon un suo uomo, opportunamente drogato con una polvere proveniente dalle lacrime di Santa Luciféra, che lo trasforma in un mostro deforme auto-rigenerane, apparentemente immortale e perennemente assetato.
Il maestro Chiu viene ucciso in uno scontro dal mostro e i tre ragazzi cominciano a cercare il colpevole, aiutati dall’unico agente di polizia locale, l’agente Garcìa, e l’inviato speciale della DEA Brister.
Come ho anticipato nell’introduzione, Seis Manos è delirante sotto molteplici punti di vista.
La particolare commistione tra religione cristiana e folklore, tipica della cultura messicana, danno agli autori molte basi per deliri religiosi di ogni tipo, cominciando con la stessa figura di Santa Luciféra, neanche troppo velatamente accostabile alla visione messicana della Morte, passando a preti/padrini che vedono solo bianco e nero, fino alla ricerca dell’equilibrio del taoismo di Chiu.
Ricordo inoltre che questi sono gli stessi che hanno messo una scena in cui un demone infernale entra in una chiesa a dare lezioni di fede a un vescovo (nel caso non sapeste di cosa stia parlando, questo è il mio articolo su Castlevania).
La religione è però solo una minima parte della mastodontica sequenza di deliri e situazioni pesantemente sopra le righe che Seis Manos riesce a portare su schermo.
Cominciamo da El Balde: anche conosciuto come “il creatore di orfani”, è una versione messicana del Kingping della Marvel, ossessionato dalla ricerca del potere e pronto a sacrificare tutto ciò che ha di più sacro (letteralmente) pur di ottenerlo. Una volta drogatosi con la stessa polvere con cui crea i suoi mostri, diventa una mostruosità capace di ribaltare camion e tener testa a tre esperti di arti marziali contemporaneamente.
Per il resto, non ha esattamente un motivo per essere tanto malvagio quanto è, se non la sete di potere fine a se stessa e il fascino per la violenza altrettanto fine a se stessa (c’è un momento in cui cita apertamente Sauzer della Fenice Rossa direttamente da Ken il Guerriero). Non la più profonda delle caratterizzazioni, ma abbastanza per essere una seria minaccia per i protagonisti.
Parlando proprio dei protagonisti, l’unico che abbia ricevuto un minimo di backstory e caratterizzazione in più è Silencio, furioso con El Balde ( ed in generale contro chiunque si trovi di fronte) per la morte dei suoi genitori prima e del maestro Chiu dopo.
Silencio è l’unico dei tre ad avere un arco di trasformazione caratteriale, non perfetto, ma quantomeno migliore di quello di Isabela, che si apre e si chiude nel giro di un episodio senza bisogno di aggiungere altro, e di quello di Jesus, semplicemente inesistente.
Isabela e Jesus sono trattati in maniera molto marginale nonostante sulla carta fossero dei protagonisti. Di loro si sa soltanto che sono orfani, ma solo molto tardi nella storia si scoprirà che è stato El Balde a renderli tali, e questo non è neanche uno spoiler perché non sapendo ne come ne perché (ammesso che un perché ci fosse, stiamo pur sempre parlando di El Balde), l’elemento viene lasciato in sospeso senza che abbia un peso di nessun tipo sulla vicenda.
Per il resto le loro personalità si riducono a sorella maggiore responsabile e in cerca di affetto (Isabela combatte con lo stile del serpente) e fratellino grasso e alcolizzato (Jesus combatte con lo stile dell’ubriaco).
Per quanto riguarda i due poliziotti, Garcìa è la più classica delle donne poliziotto in un paesino nel mezzo del niente, capace e devota al suo lavoro, ma confinata in un posto in cui non succede mai nulla e che limita le sue capacità.
Brister, il grosso poliziotto nero veterano del Vietnam, è semplicemente lo stereotipo di un grosso poliziotto nero veterano del Vietnam, con il corredo completo di flashback di guerra, capo bianco razzista e linguaggio volgare da ghetto afro-americano.
Almeno loro due hanno un buono sviluppo da personaggi secondari, persino più logico e scorrevole rispetto a quello dei veri protagonisti.
Il punto di forza di Seis Manos è senza dubbio l’estro delle coreografie d’azione, ottime sotto la maggior parte dei punti di vista.
Che si tratti di uno sparring di allenamento, di una colluttazione contro dei chierichetti armati fino ai denti, contro un mostro di tre metri per 220 kg di muscoli immortale o contro una strega/santa/spirito che possiede corpi altrui, le coreografie d’azione sono sempre splendide, in particolare quella dell’ultima puntata.
L’esagerato uso realistico delle ossa spezzate e degli schizzi di sangue permette di capire l’entità dei colpi mortali messi a segno da ogni personaggio e quanto questo abbia ripercussione sullo scontro, in modo che anche chi non è pratico di Kung Fu riesca a sentire la potenza dei colpi dati e subiti e lasciarsi prendere dal combattimento.
Punto a sfavore in questo caso è che in alcuni circostanze vengono interrotti da dialoghi inutili, ma è un errore marginale e ridotto a qualche scena.
La complessità delle coreografie di combattimento e l’ottima capacità del regista di mostrare al meglio i colpi di Kung Fu permettono anche di mascherare molte imperfezioni tecniche che altrimenti sarebbero più che evidenti.
Le animazioni di PowerHouse non sono fluide. Se con Caslevania ci si manteneva su una buona sufficienza, con Seis Manos si scende parecchio. L’animazione in tecnica tradizionale è scattosa, colpa del numero troppo basso di disegni al secondo usati, che da il peggio di se nei campi lunghi, usati con contagocce, ma comunque presenti, in cui gli scatti sono evidenti e fastidiosi anche a un occhio meno esperto.
Seis Manos è ben lontano dall’essere una bella serie animata, ma riesce nel compito che si era prefissata: intrattenere lo spettatore.
Non importa quanto poco sia poco credibile il cattivone della situazione, quando le situazioni risultino sopra le righe e sempre alla ricerca del colpo di scena a tutti i costi, spesso vi troverete a sorridere anche solo pensando “ma guarda te che stupidaggine hanno tirato fuori…” e continuerete per vedere la prossima.
Certo, anche in questo contesto ci sarebbero diverse cose da aggiustare. Una caratterizzazione migliore dei protagonisti avrebbe sicuramente migliorato l’esperienza e un ritmo più regolare degli eventi avrebbe permesso allo spettatore di sentirsi più comodo nel godere di questa serie, ma a parte questo, la serie diverte e anche solo per questo mi sento di promuoverla.
L’unico neo nel discorso è la pretenziosità della serie di essere presa sul serio. Da una parte il delirio è palese, ma dall’altro sembra che non ci premano mai quanto dovrebbero, con il risultato di sembrare semplicemente un’idea mal realizzata.
Sul lato della violenza grafica… non sarebbe un originale Netflix per adulti se non ce ne fosse almeno un po’ in ogni scena (misteriosamente assenti le scene di sesso messe a casaccio e le nudità al vento), ma sono disposto a perdonargliela visto che hanno senso nel contesto e che è talmente abbondante ed esagerata nel suo realismo da non dare fastidio.
Non passo sopra invece al comparto tecnico. Non siamo ai livelli beceri di Dragon Prince, ma ben lontani da una buona animazione 2D… anche in questo caso la mano della dicitura “originale Netflix” si conferma una garanzia.
Approvati a pieni voti, invece, i combattimenti che riescono a mascherare questa carenza tecnica.
Chiudo consigliando la visione di Seis Manos agli appassionati di action sopra le righe che vogliono passare qualche ora di intrattenimento ultraviolent. Per tutti gli altri, nel dubbio consiglio lo stesso la visione con la discriminante che è tutt’altro che imperdibile.
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