Chiunque, in epoca recente, ha sentito parlare di woke . Moltissimi ne hanno parlato e, nella maggior parte dei casi, il concetto è stato completamente frainteso . Comprensibilmente, dato che oggigiorno la nostra capacità di analisi e critica è letteralmente crollata e un video che non ci dice tutto nei primi 60 secondi ci risulta noioso. Era facile che un termine ombrello così conciso venisse frainteso, o peggio, utilizzato per fare facile propaganda intollerante .
Se ci pensate, quante volte negli ultimi 5 o 6 anni avete sentito usare il termine woke in un modo che non avesse un fine dispregiativo?
E quindi cosa vuol dire woke ? In realtá il termine woke appare a partire dagli anni 30 del secolo scorso, nell’ambito della cultura afroamericana e della lotta per i diritti civili . La parola non è letteralmente traducibile in italiano, ma il senso è quello di descrivere una persona consapevole delle discriminazioni e che non accetta passivamente il razzismo, ma si impegna attivamente per il cambiamento.
Questo concetto di risveglio circa la consapevolezza ha origine con lo slogan “Wake up Ethiopia! Wake up Africa! ” dell’attivista Marcus Garvey del 1923, poi ripreso con la frase “stay woke” dal cantautore Huddie Ledbetter in una registrazione della canzone “Scottsboro Boys” del 1938. Il termine viene usato con la concezione odierna di persona bene informata e consapevole in un articolo del 1962 di William Melvin Kelley intitolato “If You’re Woke You Dig It”, apparso sul New York Times Magazine.
Negli anni 2000 viene ripreso da Erykah Badu in “Master Teacher”, che inoltre è la prima a diffondere l’hashtag #Staywoke per ricordare l’incarcerazione del gruppo rock femminista Pussy Riot . Nel 2015 viene ripreso dopo l’uccisione di Michael Brown nell’ambito del movimento Black Lives Matter e da Childish Gambino nel suo brano del 2016 “Redbone”.
La giornalista di Vox (la rivista staunitense, non il partito spagnolo di estremissima destra) Aja Romano descrive in quest’articolo come il termine si sia evoluto fino a rappresentare da solo l’ideologia di sinistra o almeno quella parte focalizzata sulla giustizia sociale. Quindi fino a questo punto il significato del termine descrive la lotta per la paritá di diritti di tutte le minoranze , per genere, sessualitá, nazionalitá, ceto sociale e in generale per ogni categoria messa e mantenuta in disparitá di potere.
Permettetemi di ribadire il concetto: il movimento woke promuove una societá in cui chiunque, indipendentemente da qualsivoglia differenza, abbia pari diritti . Per logica, essere contrari al movimento woke significa sostenere le discriminazioni e l’ingiustizia sociale.
Dal 2019 in poi invece, abbiamo assistito come giá premesso ad un uso sempre piú diffuso della parola woke con un’accezione dispregiativa , soprattutto da parte degli oppositori a politiche progressiste ed inclusive. Ma, sebbene sia semplice capire come mai la parte maschile, bianca, ricca ed etero della popolazione (che è una quota minore) abbia ovvie motivazioni a mantenere i propri privilegi in una società che strutturalmente la favorisce, come è possibile che l’uso sarcastico di questa parola sia diventata di uso comune?
Come è possibile perció che anche coloro che trarrebbero numerosi vantaggi da una transizione progressista abbiano cominciato ad usare woke come insulto?
Il Woke Capitalism e il Woke Washing Questa è quella parte dell’articolo in cui comincerete a capire dove il medium dei videogiochi e questa specie di romanzo breve che vi siete appena letti sulla storia del wokism impattano l’uno con l’altro.
Con il diffondersi e il crescere delle tematiche di inclusivitá negli anni 2000 grazie soprattutto ad internet, tutta l’industria, e nello specifico quella dell’intrattenimento , ha fatto quello che fa sempre: cavalcare l’onda e capitalizzare il trend . Poco importa che le politiche aziendali e lo stesso sistema capitalista fossero e siano tutt’ora in netto contrasto con l’ideologia alla base del movimento woke .
Per questo motivo abbiamo assistito ad un massiccio impiego di inclusività di facciata . Le aziende hanno cominciato ad usare l’ideologia woke come strumento di marketing . Questo si è tradotto in prodotti dedicati, adesione social al movimento e produzione narrativa per il mercato dell’intrattenimento, con personaggi che rappresentassero delle minoranze.
É semplice capire il perché: a differenza di reali cambiamenti strutturali all’interno delle aziende in favore di politiche progressiste che prevedano una maggiore equità per tutti e che sottintenderebbero un costo in termini di denaro, diritti e potere in virtù di una più ampia ridistribuzione, il marketing non costa niente . Non costa niente dire di essere a favore del movimento trans; non costa niente inserire personaggi femminili per dimostrare solidarietà alla causa femminista; non costa niente scrivere storie sulla rivincita di un singolo contro la spietata multinazionale.
Questa pratica é penosa da vari punti di vista, dato che oltre a non sostenere realmente la lotta per una società più equa , investe molto più sul contenitore che sul contenuto, dando vita a prodotti che quand’anche fossero valutati ignorando il problema dell’inclusività forzata restano nel migliore dei casi dei prodotti mediocri, com’è successo per esempio con Dragon Age: The Veilguard.
Anche molti altri videogiochi usciti negli ultimi anni sono stati spesso etichettati come woke (e non solo quelli degli ultimi anni, come vedremo in seguito). Uno dei casi più eclatanti scaturiti da questo fenomeno è sicuramente quello denominato Gamergate 2, quando a seguito di un video di Griffin Gaming , l’azienda Sweet Baby Inc. è stata esposta ai riflettori dei media per via delle sue collaborazioni con vari sviluppatori per rendere i loro titoli più inclusivi .
Giusto per capire come il tema woke non giustifica il successo o il fallimento di un titolo ne prenderemo due in particolare che sono stati seguiti da Sweet Baby Inc. ad un anno di distanza l’uno dall’altro: Alan Wake II (2023, 8.5/10 User Score su Metacritic) e Suicide Squad: Kill the Justice League (2024, 3.5/10 User Score su Metacritic).
I piú convinti antiwoke forse saranno ancora in grado di sostenere che entrambi i giochi hanno problemi di wokism, che Metacritic non é un metro di giudizio affidabile, che Alan Wake II é stato sopravvalutato. Le persone intelligenti invece capiranno che l’essere o non essere woke di un titolo non é mai il problema . Se il titolo è spazzatura ancora prima del lancio perché dietro non c’è altro che logica di mercato ed una media pesata dei gusti del pubblico perché un consiglio d’amministrazione è convinto di poter così aumentare i profitti, quel titolo farà pena a prescindere dalla quantità di contenuti DEI (Diversity, Equity, Inclusivity).
Ma quindi l’inclusivitá non é mai un problema in generale? Certo che può esserlo. La questione dell’inclusività forzata è sicuramente un problema . Solo che il problema dell’inclusività forzata non é la parte dell’inclusività, ma quella della forzatura e non si tratta di un problema di diritti civili , ma semplicemente di una scarsa qualità della narrativa nei prodotti di intrattenimento.
Prima di tutto è un problema per il pubblico in generale perché, a differenza di quello che pensano certi vampiri in giacca e cravatta, i videogiocatori non sono un ammasso di stupidi ovini da dissanguare e non puoi semplicemente dargli una sciaquatura di piatti confezionata ad arte pensando seriamente che se la bevano. Anche se poi non tutti sono in grado di capire quale possa essere il problema specifico di ogni gioco, più o meno tutti si rendono conto che qualcosa non va.
Non mi aspetto che tutto il pubblico sia in grado di fare una critica ponderata di ogni titolo. Quello che ritengo criminale è che siano certi sedicenti esperti del medium , instagrammer, tiktoker, youtuber, ma anche alcuni nella stampa di settore a scagliarsi pubblicamente contro il movimento woke , forse per macinare facili views, forse perché anche loro non inquadrano bene il problema o forse perché realmente promotori di uno sbilanciamento selettivo dei diritti civili.
Il Giornale del 4 settembre 2024 titolava “I personaggi inclusivi non pagano: il flop del gioco woke Concord ” e proseguiva con “Black Myth: Wukong ha messo in secondo piano l’inclusività e ha fatto centro. Concord , al contrario, l’ha sbandierata come suo cavallo di battaglia ed è stato un disastro commerciale”. Difficile capire se la decisione di declassarsi da quotidiano a carta igienica dipenda dalla totale incompetenza videoludica dell’autore o dal voler cavalcare l’onda del trend.
Sta di fatto che chiunque abbia un minimo di conoscenza dell’argomento sa benissimo che Concord ha fallito in tempi record non perché fosse woke , ma perché era un titolo che cercava di inserirsi in un mercato ultrasaturo senza apportare nessuna novitá significativa che spingesse l’utenza a spostarsi dagli altri titoli simili e consolidati che dominano quello specifico settore. Mentre Black Myth: Wukong è semplicemente fatto bene .
Inoltre è un problema per tutte le categorie per cui lotta il movimento woke . Avere prodotti che rappresentano delle minoranze in maniera superficiale e approssimativa solo per ampliare la propria quota di mercato non aiuta ad avere maggiori diritti , ne tanto meno aiuta ad informare la maggioranza sulle loro problematiche. Al contrario, quello che si è ottenuto è stato spingere il pubblico mainstream a generalizzare e a polarizzarsi , e non contro gli autori di pessimi esempi di inclusione, ma contro le stesse categorie rappresentate.
Ovviamente questo tipo di iniziative commerciali non sono l’origine dei pensieri discriminatori che sono bensì già radicati in tutti noi in maniera strutturale per via del tipo di società in cui ci ritroviamo a crescere e vivere. Ma, esasperando il fenomeno, si alimenta un fiamma d’odio sempre presente . E nel caso dei videogame lo si fa perlopiù per aumentare il proprio fatturato.
Le forzature non piacciono a nessuno Cechov diceva che se c’è un fucile in scena, allora è meglio che prima o poi quel fucile spari. Con questo principio narrativo si vuole dire che nella stesura di una buona storia non si dovrebbero fare promesse che poi non verranno mantenute inserendo elementi che non verranno utilizzati.
Non è per niente piacevole cercare di immergersi in una bella storia ed esserne sbattuti bruscamente fuori perché in maniera totalmente casuale il protagonista dice qualcosa di inclusivo, tipo di essere non-binary, ma poi quest’informazione non servirà a nulla. Se mi racconti una storia in cui casualmente tutti i personaggi sono bisessuali, o sono trans, o sono neri e questo è l’unico elemento che li caratterizza , non mi stai raccontando una pessima storia perché inclusiva. Mi stai raccontando una pessima storia perché i tuoi personaggi sono tragicamente piatti e noiosi .
E se il fatto di appartenere alla stessa categoria non è nemmeno giustificato dalla trama in qualche modo, il tutto risulterà anche poco coerente e plausibile.
Tutto questo può sicuramente risultare seccante . Ma se vi sembra fastidioso che negli ultimi anni alcuni giochi o altre opere di intrattenimento sottolineino in maniera a volte eccessivamente pedante i propri contenuti inclusivi, provate a contare quante volte nel mainstream dal 1945 ad oggi vi viene raccontato che solo gli americani possono salvare il mondo / la libertà / la democrazia / l’umanità dall’ennesimo disastro naturale / attacco alieno / gruppo terrorista / i comunisti / un virus letale.
Eppure non vedo molta gente lamentarsi del fatto che tutti gli episodi di Call of Duty promuovano questa eroica seppur ridicola lettura degli Stati Uniti e dei suoi 224 anni di guerra su 240 anni di storia.
Steam Woke Content Detector Uno specifico gruppo nella community di Steam mantiene aggiornata una lista di giochi che secondo i suoi componenti conterrebbero contenuti woke . Cosa che andrebbe anche bene, se fosse un servizio informativo. Purtroppo il gruppo si occupa di sconsigliare attivamente tutti i giochi con contenuti che considera woke .
Il rating che viene fornito infatti consta di soli tre livelli : raccomandato (nessun contenuto woke presente), informativo (contenuto woke presente a solo scopo informativo, senza alcun messaggio sottinteso) e non raccomandato (tematiche woke esplicite presenti).
Il lavoro di questo gruppo è estremamente disinformativo . Basti pensare che si sono presi la briga di recensire oltre 1000 titoli, creare una metodologia, scriverne i testi e creare una community su Steam, ma non sono stati in grado di cercare la definizione di woke, ne tantomeno di scoprire le origini di questo termine.
All’interno della metodologia di recensione leggiamo infatti: “Per quanto riguarda i giochi più vecchi: potreste chiedervi: come può un gioco realizzato prima del 2012 essere woke ? Beh, francamente, potreste avere ragione nel pensare che l’uso del termine Woke per riferirsi a un gioco pubblicato quando quel termine non esisteva sia anacronistico”. In lista ci sono giochi usciti a partire dal 1987 in poi. D’altro canto, molti giochi inseriti in lista e sconsigliati non sono ancora usciti, in accesso anticipato o con data di rilascio non ancora annunciata.
Sempre nella metodologia, viene spiegato (secondo i curatori del gruppo) quali sono le tematiche contenute nel termine woke . A favore del collettivo LGBTQI+? Woke . A favore dell’immigrazione? Woke . A favore dell’aborto? Woke . Comunismo, socialismo, azione contro il cambiamento climatico, progressismo, transumanismo? Tutto woke . Però attenzione, é considerato woke anche essere a favore della pedofilia .
Inoltre è considerato woke essere contro : la societá occidentale, il colonialismo , il capitalismo , l’eterosessualità, il patriarcato , i bianchi, la famiglia, la libertà di parola, le armi da fuoco . Per dare maggiore scientificità e precisione, questa lista viene chiusa da un etc. Probabilmente avevano un numero limitato di caratteri e un più esplicito “e tutta quella roba lì” non ci é stato.
Questo gruppo è un condensato di bigottismo, ignoranza e inciviltà fatto di persone che promuovono la censura di argomenti che non gradiscono (e non capiscono) e contemporaneamente si dichiarano difensori della libertà di pensiero.
Conclusioni Il fastidio generalizzato verso i giochi (e i contenuti in generale) considerati woke non è, nella maggior parte dei casi, dovuto al loro essere woke . Di solito è l’uso delle tematiche woke come espediente di marketing impiegato per promuovere titoli senza nessun altro appeal a creare il senso di disagio .
Vorrei sperare in una realtà in cui ad una domanda diretta, a meno che non si sia dei totali sociopatici come J. K. Rowling, nessuno si dichiari apertamente contrario ai diritti degli altri . Una realtà in cui nessuno suggerisca di risolvere il problema delle categorie che gli stanno scomode con camere a gas e forni crematori. Non più, perlomeno.
Spero di non vivere in una società in cui sia necessario spiegare che cose come il patriarcato, il colonialismo e le armi da fuoco non hanno niente di positivo . Mi sarei aspettato che, nel 2025, la coscienza media delle persone fosse sufficientemente evoluta per capire la differenza tra privilegio e diritto. Per capire che garantire i diritti delle persone nere non toglie diritti alle persone bianche. Che garantire i diritti alle donne non toglie diritti agli uomini. Che garantire i diritti alle persone trans non toglie diritti alle persone cis.
Che garantire i diritti a categorie discriminate non significa toglierne ad altri . Toglie loro il privilegio, l’esclusività, la supremazia. Questo sì. Ma se questo vi sembra sbagliato non potete considerarvi persone etiche o democratiche.
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