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Il Maestro e Margherita, la recensione: Le pellicole non bruciano

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Il Maestro e Margherita

Il film Il Maestro e Margherita del regista russo-americano Michail Lokšin, dopo una storia produttiva intricata e diversi ostacoli posti dalla stessa nazione che lo ha rilasciato, arriva in Italia ad un anno di distanza dal suo rilascio in patria.

Intricata è un eufemismo, poiché non solo è stato soggetto da critiche a causa delle sue non troppo velate critiche al governo Putiniano, ma addirittura messo sotto indagine dallo stesso. Fatti questi non differenti da quelli subiti dall’autore del romanzo originale, Michail Bulgakov, delle cui vicende su carta sono allegorie della sua vita, resa difficoltosa dalla dittatura stalinista durante gli anni ’30 del 1900.

Si può dunque dire che questo film sia un vero figlio dei suoi tempi, o anche dei tempi passati, e che ciò che è accaduto ad esso dimostra che certi argomenti sono sempre attuali, così come il modo in cui vengono trattati da chi è accusato.

Ma tolto il lato politico (cosa difficile dato che la politica è uno dei fulcri del romanzo), il film è effettivamente un adattamento fedele?

IL MAESTRO E MARGHERITA (2025) Trailer ITA | Film di Michael Lockshin

Il Maestro e Margherita… e il Diavolo

Mosca, anni ’30. Strane presenze si aggirano per le strade della capitale russa. E non si parla solo del sempre presente regime comunista, che celebra con parate e feste la sua apparentemente immortale gloria. Vi è anche una figura invisibile e voltante, che crea scompiglio nell’ufficio di un noto critico letterario. Le vicende di tale essere etereo sono vincolate in qualche modo a quelle di un misterioso internato in un ospedale psichiatrico, che racconta la sua storia al suo vicino.

Infine, il Diavolo stesso cammina per la capitale, con la sua combriccola composta da uno smilzo esuberante, un corpulento sicario, un’aspirante attrice e un gatto parlante.

Le vicende assurde di questi personaggi girano attorno ad un manoscritto scritto dal detenuto, denominato Maestro, un’opera che tratta di Ponzio Pilato, di cui il regime non tollera l’esistenza, poiché la religione e la fantasia non hanno posto nella Russia atea stalinista.

Tra decapitazioni, sabba satanici, sparizioni di artisti e libri ignifughi, Il Maestro e Margherita trascina lo spettatore in un viaggio surreale, in cui più si assiste alle vicende dei personaggi più vengono poste domande a cui ognuno è libero di dare la propria risposta.

Il Maestro e Margherita Michail Lokšin film

Adattare una storia immortale

Non è la prima volta che si vuole trasporre il capolavoro letterario di Mikail Bulgakov al cinema. Si è tentato più volte in passato sia in formato televisivo sia cinematografico, e si può dire che nessuno di questi adattamenti sia effettivamente brutto. Forse sottotono, forse imperfetto, ma mai si tenterebbe di mancare di rispetto a uno dei romanzi più importanti del ‘900.

Questo Michail Lokšin lo sapeva bene, e non solo perché condivide metà del suo sangue con la nazione dello scrittore dell’originale. Tuttavia, come quelli precedenti, non possiamo certo dire che questo suo tentativo sia perfetto. Il regista ha voluto creare un lungometraggio dalle tinte dark, epiche, hollywoodiane, più adatte insomma alla metà più “atlantica” del suo sangue.

Facendo così, ha compiuto delle scelte narrative rischiose, alcune delle quali risultano appropriate, altre un po’ meno, paradossalmente man mano che si fa avanti con la visione del film.

Il voler rendere l’intera vicenda un flashback raccontato dai due protagonisti che danno il titolo alla vicenda, per esempio, può accentuare il fatto che si sta raccontando una storia, in un caso come una fiaba e nell’altro come un fatto personale, senza che le due parti s’intacchino l’un l’altra.

Questa scelta potrebbe confondere uno spettatore ignaro del romanzo, ma è reso comprensibile da un sapiente montaggio, che ripercorre scene già viste usando punti di vista differenti. Scelta importante quando si vuole rendere una storia in cui l’intreccio spazia da flashfoward a flashback a parallelismi.

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Ricreare Mosca

La computer grafica, usata in maniera quasi eccessiva per creare gli enormi palazzi della Mosca stalinista e gli strani incantesimi della combriccola di Woland, mostra il fianco quando ci si concentra troppo su di essa, appare a tratti plasticosa, ma non per forza fastidiosa. Soprattutto per quanto riguarda il grosso gatto Behemoth, in cui si è tentato di trovare un compromesso tra CGI e animatronics.

In compenso, le scenografie e i costumi sono eccelsi. Il modo in cui vengono “ingigantiti” gli sfondi con una regia dirompente, ci fa illudere di stare assistendo ad un vero e proprio spettacolo teatrale. Intenzione probabilmente voluta da Michail Lokšin, data l’importanza del teatro sia nel romanzo che nel film. Ad accentuare questo elemento compensano i costumi sfarzosi, a volte anche troppo quando sono indossati dai personaggi negativi, tanto da renderli quasi caricaturali, ma proprio per questo sono più amabili e memorabili.

Il Maestro e Margherita Michail Lokšin film

Ogni attore è stato scelto ottimamente per la sua parte. Dagli spigolosi e taglienti volti degli oppositori del Maestro al malinconico Evgenij C’īgardovič nel ruolo del passivo Maestro all’ipnotica Julija Viktorovna Snigir’ nel ruolo di margherita. Ma chi ruba la scena in tutto il film è indubbiamente August Diehl nel ruolo di Woland. Il suo sguardo penetrante, la sua verve estroversa ma mai gigionesca lo rendono una scelta azzeccata, nonché il principale elemento portante del film

Grazie a ciò, le due ore e mezza di pellicola non risultano mai pesanti o noiose: c’è sempre qualcosa di divertente, maestoso o intrigante a cui assistere.

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Quando il finale (non) salva

Come detto prima, tuttavia, non risulta un film perfetto. Certo, nessuna opera lo è nel suo insieme, ma per quanto riguarda adattamento di scene importanti e scelte narrative impiegate, l’ultimo atto della storia potrebbe far sollevare non poche sopracciglia. Inutile dirlo, quest’ultima analisi conterrà spoiler sul finale de Il maestro e Margherita. Perciò se non avete letto il romanzo (crimine contro l’umanità, ndr.) o non avete ancora visto il film, consigliamo di saltare fino alle conclusioni.

La scelta forse la più lampante presa da Michail Lokšin è quasi metanarrativa. Nel film il Maestro scrive non solo la sua opera su Ponzio Pilato, ma, quando scopre che essa non avrà il successo sperato, proprio Il maestro e Margherita. Un’aggiunta discutibile ma non per questo errata. Una specie di dimostrazione di come sia la vita ad imitare l’arte, una presa di posizione non estranea allo stile bizzarro di Bulgakov.

Il Maestro e Margherita Michail Lokšin film

Tuttavia il problema rimane: se il fulcro della parte finale del romanzo è “i manoscritti non bruciano“, allora perché, dopo che il Maestro brucia il manoscritto prima di venire arrestato, successivamente egli lo riscrive in manicomio? Tralasciando la discutibile rappresentazione delle rigide regole di un ospedale psichiatrico sovietico, qui si travisa la morale stessa del romanzo.

Perché “i manoscritti non bruciano” vuol dire che non importa se bruciate la carta, uccidete l’artista o ne danneggiate la memoria: le sue idee saranno immortali, così come immortale sarà la libertà. Non è perché egli ha la semplice possibilità di riscriverlo nei momenti di crisi.

Come ultima postilla, e questo è un vero rigiro del coltello nella piaga (o vista la situazione mettere del sale sulla bruciatura), la scena madre dell’ultimo atto, il famoso dialogo tra Margherita e Woland sul suo desiderio da realizzare, è resa in maniera poco drammatica, non fredda ma povera di catarsi. Non vi è la reazione di Zelda alla bontà della strega, o la pila di libri che compaiono sotto Behemoth. In poche parole, manca il finale che ha fatto piangere Alessandro Barbero in diretta.

Il Maestro e Margherita Michail Lokšin

Un film da leggere

Basta davvero un finale imperfetto a deludere l’intera visione? O anche a sconsigliarla a chi non ne ha ancora approfittato? Assolutamente no. Gli amanti più infervoriti del romanzo potrebbero certamente infastidirsi, ma non distoglieranno la loro attenzione dalla bellezza dell’insieme. Abbasseranno certamente la qualità del loro feedback, ma non la renderanno totalmente negativa.

Ci troviamo di fatti davanti ad uno degli adattamenti meglio riusciti, sicuramente quello visualmente più importante, anche perché stilisticamente più vicino ad un blockbuster moderno. Possiamo non apprezzare il trattamento di Michail Lokšin nei riguardi del finale, ma non possiamo dire che non abbia compreso l’opera.

Tristemente, il film ha ricevuto una distribuzione discutibile qui in Italia. Ma se trovate un cinema d’essai disposto a proiettarlo o se mai verrà pubblicato su un sito streaming, allora vi attenderà una delle esperienze più assurde di quest’anno.

Il Maestro e Margherita
Il Maestro e Margherita, la recensione: Le pellicole non bruciano
SCRITTURA
8
REGIA
8.5
COMPARTO TECNICO
8
DIREZIONE ARTISTICA
8.5
CAST
9
Pros
Adattamento per la maggior parte fedele dell'opera di Bulgakov
Regia dirompente come un kolossal hollywoodiano
Montaggio sapientemente utilizzato per bilanciare i molteplici punti di vista
Cast azzeccato, soprattutto August Diehl nel ruolo di Woland
Cons
I cambiamenti nel finale mancano di dramma ed emotività
8.4
VOTO

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Il Maestro e Margherita, la recensione: Le pellicole non bruciano 2

Fin da bambino sono sempre stato appassionato di due cose: i romanzi fantasy e il cinema, passioni che ho coltivato nel mio percorso universitario, laureandomi al DAMS Crescendo hoi mparato a coltivare gli amori per i videogiochi, i fumetti e ogni altra forma di cultura popolare. Ho scritto per magazine quali Upside Down Magazine e Porto Intergalattico, e ora è il turno di SpaceNerd di sorbirsi la mia persona!
Sono un laureato alla facoltà DAMS di Torino, con tesi su American Gods e sono in procinto di perseguire il master in Cinema, Arte e Musica.

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