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Tokyo Higoro – Il senso della creatività secondo Taiyo Matsumoto

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Tokyo Higoro – Giorno per giorno è l’ultima fatica del mangaka Taiyō Matsumoto (Tekkon Kinkreet, Ping Pong), recentemente pubblicata in Italia da J-Pop in un box contenente i tre volumi della serie.

Attraverso gli occhi del suo protagonista e dei molti personaggi di contorno, Matsumoto condensa la sua esperienza all’interno dell’industria dei manga, raccontando le vite travagliate di chi quei manga li crea e li distribuisce e cercando al contempo di indagare le ragioni di un mestiere difficile come quello del fumettista in Giappone.

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Tokyo Higoro – Ritrovare la via smarrita

Motore della storia – poiché a definirlo protagonista si farebbe un torto agli altri personaggi – è Shiozawa, editor della casa editrice fittizia Shogakusha.

Dopo 30 anni di onorata carriera, decide di dimettersi dal proprio incarico in seguito alla chiusura prematura di una rivista da lui fondata per scarse vendite. Inizialmente sembra voler dare un taglio netto al passato, arrivando addirittura a sbarazzarsi di tutti i manga accumulati nel corso del tempo, ma in breve si accorgerà di non poter fare a meno di loro come della sua vocazione.

Tornerà quindi sui suoi passi per fondare una rivista di manga indipendente fatta su misura per tutti quei creativi che non hanno più potuto esprimere il loro vero potenziale a causa delle perverse dinamiche dell’editoria nipponica.

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Nel corso della sua lunga carriera Taiyo Matsumoto si è distinto per essere un autore decisamente poco inquadrato rispetto agli standard dei fumetti giapponesi, di norma estremamente targettizzati per venire incontro alle dinamiche di mercato.

L’autore ha infatti uno stile ricercato, ricco di influenze pop nippo-europee che vanno da Katsuhiro Otomo a Moebius, passando per le stampe ukyo e le opere d’avanguardia di Yoshitaro Isaka. I suoi lavori sono dunque pregni di un’estetica peculiare, decisamente poco conforme alle immagini accomodanti e di facile comprensione per il pubblico medio.

A ciò si associa uno stile di scrittura asciutto, spiazzante e ricco di occasionali sequenze contemplative che richiamano i romanzi di Tanizaki, Mishima e Dazai. Non manca certo di frenesia e ritmo narrativo, ma entrambi questi elementi sono subordinati al richiamo di precisi sottotesti, all’evocare sensazioni umane precise, complesse e di difficile trasmissione.

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Si può solo ipotizzare la fatica che deve aver fatto un autore del genere per entrare prima, conformarsi poi, e infine imporsi in un mercato in cui il messaggio, il ritmo e l’azione all’interno della storia sono sottomessi ai capricci dei lettori e dei dati di vendita, fino ad appiattire ogni forma di produzione che cerchi semplicemente di esprimere un’idea autoriale originale. Ma purtroppo quello di Matsumoto, come lui stesso racconta in Tokyo Higoro, è un caso più unico che raro.

In realtà il suo manga racconta la frustrazione di chi, per campare, è costretto ad annullare sé stesso per rispettare scadenze massacranti, al limite dell’inumano, solo per produrre una storia vuota che nemmeno lo rappresenta. Tempo fa fece scalpore la dichiarazione del mangaka Tatsuya Endo, il quale ammise candidamente di non provare alcun affetto per i personaggi del suo manga campione di incassi Spy X Family, ma in verità si tratta di un atteggiamento assai comprensibile e diffuso, che coinvolge anche mostri sacri come Osamu Tezuka e Akira Toriyama.

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Tokyo Higoro è dunque un racconto schietto e sincero di com’è davvero il lavoro dell’autore di fumetti in Giappone. Le scene più crude e dolorose ritratte tra le pagine sono pure e semplici riproposizioni di eventi reali che ogni mangaka o editor – nel bene e, soprattutto, nel male – subisce o ha dovuto subire quotidianamente a causa della propria professione.

Non si tratta dunque di una critica al sistema, giacché non vi è un solo giudizio palese e lapidario espresso sulle dinamiche produttive dell’industria dei manga. Non c’è nemmeno un “cattivo” a incarnare gli aspetti sbagliati dell’industria, poiché tutti i personaggi ritratti hanno personalità complesse inserite in un contesto sociale inquadrato e privo di esagerazioni. Si tratta più di una riflessione su ciò che rende davvero speciale le professioni di editor e autore, che si traduce in una vera e propria proposta a riscoprire il senso ultimo della creatività.

I manga commerciali esistono, ed è bene che esistano, ma il fine ultimo dei creativi e di chi lo supervisiona non deve essere per forza il martirio in nome dell’appiattimento e dei dati di vendita. Esiste un’alternativa, che è la libera e matura espressione dell’interiorità dell’artista, favorita da editor che sappiano correggere e tirare fuori il vero potenziale dai loro autori senza stravolgerne la poetica.

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Uno dei gravi problemi del lavoro di mangaka è che l’appiattimento delle storie porta anche all’appiattimento della persona, all’alienazione dell’individuo costretto a creare manga che somigliano ad altri manga di successo. In questo caso è da citare Yukinobu Tatsu, creatore di DanDaDan, costretto dal proprio editor a leggere decine di fumetti shojo per rendere più piacevole il rapporto romantico tra i due protagonisti della serie.

Non che ci sia nulla di male a documentarsi. Anzi, dovrebbe essere la prassi per chi pretende di realizzare opere credibili. Il problema è quando, invece di ispirarsi a vere storie d’amore, magari vissute in prima persona dall’autore o da suoi conoscenti, ci si basa su altre opere di finzione nate da presupposti decisamente poco credibili. Questo è il modo in cui nascono i cliché e gli stereotipi.

Le idee davvero buone nascono infatti dal confronto e dalla rielaborazione della realtà da parte dell’artista. Per questo Taiyo Matsumoto fa coincidere i momenti di epifania dei suoi personaggi con la riscoperta di un quotidiano che il mestiere di mangaka commerciale aveva loro sottratto. Higoro significa infatti quotidianamente, giorno per giorno, ed è il vivere pienamente le proprie giornate, scoprire nella paura di perdere un ombrello durante un giorno di pioggia un’emozione genuina di adrenalinico stupore.

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Forse è proprio per questo che Matsumoto ha deciso di ispirarsi alle vicende di successi e disavventure di mangaka, riviste e case editrici realmente esistenti, citando la crisi che di recente ha colpito i magazine di manga, la prassi di affiancare editor giovani ad autori veterani per permettergli di imparare da chi ha già esperienza e viceversa, le difficoltà dell’autoproduzione e le opportunità offerte dall’online.

Uno dei consigli principali che si danno ai corsi di scrittura creativa è “parla di ciò che sai“. Matsumoto sa di cosa parla, eccome se lo sa, e per questo sfrutta al massimo il suo occhio critico sulla realtà per dar vita a un fumetto per come lui stesso vorrebbe fossero fatti. Un consiglio, una lezione di stile e padronanza dell’arte da cui traspare un’umiltà encomiabile, che rappresenta il vero spirito di abnegazione trasmesso dalla cultura zen nipponica. Questo è Tokyo Higoro.

Shiozawa e la sua missione di restituire a grandi geni del manga la gioia di creare opere straordinarie comunicano pienamente l’idea di un fumetto basato sull’umanità vera e tangibile, piuttosto che sulle finzioni ruffiane. L’editor ha la capacità – vera o presunta – di parlare con gli uccelli, pure rappresentazioni della natura, talento che va di pari passo con la straordinaria comprensione delle persone con cui sovente si confronta a livello professionale e, appunto, umano.

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Shiozawa è dunque l’incarnazione stessa dell’ideale del suo autore, un’ideale che porta a compiere scelte professionalmente deleterie ed economicamente dispendiose, incomprensibili per chiunque veda il manga solo come strumento per far soldi e non come una forma di espressione e artistica con una dignità avulsa da qualunque etichetta commerciale.

Eppure Matsumoto non scade mai nella retorica da cartolina, sapendo benissimo che un manga, a prescindere dalla proprie pretese, deve vendere, deve avere un pubblico per essere compreso e apprezzato, solo che quel pubblico non è detto che sia il pubblico di massa, bensì qualcosa di più simile a quello che Umberto Eco chiamava il lettore ideale: una figura in grado di comprendere e apprezzare l’opera per come la concepita l’autore, poiché ne intravede all’interno esperienze e suggestioni condivise.

Esistono manga destinati a vendere molto perché sono per molti e manga destinati a vendere poco perché sono per pochi, ma non per questo non meritano di comparire sugli scaffali delle librerie. Altrimenti opere come Tokyo Higoro non vedrebbero mai la luce, e l’intero mondo dei fumetti sarebbe decisamente più povero.

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Cercò per lungo tempo il proprio linguaggio ideale, trovandolo infine nei libri e nei fumetti. Cominciò quindi a leggerli e studiarli avidamente, per poi parlarne sul web. Nonostante tutto, è ancora molto legato agli amici "Cinema" e "Serie TV", che continua a vedere sporadicamente.

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