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Ho visto Card Captor Sakura come primo anime, ora lo adoro

La mia esperienza con Card Captor Sakura

Quando sono entrato nella redazione di SpaceNerd, non ne faccio segreto, ho messo immediatamente le mani avanti: so il fatto mio in quanto a videogiochi, letteratura e altra miscellanea da nerd, ma il mondo degli animanga mi è del tutto sconosciuto. Ho provato a vederne e a leggerne diversi, eppure la scintilla non è mai scattata. Non si tratta di un problema legato alla qualità del medium, che anzi è alta e sulla quale ormai non ci sono più riserve, ma, semplicemente, c’è qualcosa di più personale che mi blocca; sarà che la società odierna corre come non mai, e che tutti abbiamo la “FOMO” (Fear of missing out, ndr), ma mi sento tremendamente ignorante.

C’è un solo anime che ho mai veramente amato, ed è la serie originale di Sailor Moon. In virtù di questo, alcuni miei amici più appassionati (fra cui il nostro buon Dado) mi hanno dato diversi consigli su cosa guardare per iniziare ad avvicinarmi a questo mondo così alieno ed astruso per me, con un nome fra tutti che si ripeteva: Card Captor Sakura. Mi sono fatto coraggio, con la certezza che neanche questo ultimo e disperato tentativo avrebbe funzionato, e ho iniziato timidamente a guardare qualche episodio della serie (andata in onda anche in Italia, a cavallo fra gli anni ‘90 e il 2000).

Quello che è successo nei giorni successivi è inspiegabile a parole, quasi paranormale. Mai un prodotto audiovisivo che non fosse un videogioco mi aveva preso così tanto: oggi sono qui per raccontarvi i perché e i come di questo strano sviluppo.

Una storia straordinaria, un cast ordinario

Si sa, l’urban fantasy è uno dei sottogeneri di punta dell’intrattenimento moderno, e di esempi ce ne sono a centinaia: ambientare storie fantastiche in contesti urbani e verosimili è un metodo immediato di fare presa sullo spettatore. Questo fascino è fortemente presente in Card Captor Sakura, in un modo puro e visionario.

La storia segue le vicende di Sakura Kinomoto, una ragazzina di 10 anni dolce ed un po’ goffa che non fa altro che vivere la sua normale vita nella città immaginaria di Tomoeda. Ha una famiglia felice, composta dal suo gentile padre Fujitaka e dal suo dispettoso fratello maggiore Touya; frequenta un’ordinaria scuola elementare con l’amica del cuore Tomoyo e guarda sognante Yukito, compagno di classe del fratello, per il quale ha la solita cotta.

Tutto molto bello, se non fosse per le Carte di Clow, un mazzo arcano creato dal potente mago Clow Reed nascosto nella libreria del padre di Sakura che trasformerà la ragazzina in una Card Captor: è qui che avviene la magia della serie, che intreccia la vita quotidiana della protagonista e le sue strambe avventure in compagnia del buffo Kero, diminutivo di Cerberus, il guardiano del mazzo sotto mentite spoglie. La spensieratezza, l’allegria e il buonumore di Sakura sono sentimenti estremamente contagiosi, ed è davvero difficile restare impassibili di fronte a quello che succede nella serie: il sorriso è garantito, ed è quello che mi ha stupito di più.

In un’epoca in cui siamo abituati a divertirci con la volgarità e la goliardia (e non c’è niente di sbagliato, sia chiaro), ridere di gusto con un prodotto come Card Captor Sakura è una ventata d’aria fresca. C’è Tomoyo che confeziona vestiti da eroina fatti su misura per Sakura, e si dispera quando non può filmarla nel corso delle sue gesta; Kero-chan dovrebbe essere il temibile guardiano delle Clow Card, ma nella sua forma attuale è una sorta di adorabile peluche assai goloso di dolciumi e un po’ sbruffone; Meilin è follemente innamorata di Syaoran, ma lo stoico ed esilarante ragazzino di Hong Kong ha occhi solo per Yukito.

Insomma, una carrellata di spaccati di vita quotidiana spassosi ed adorabili che, quasi come per effetto di una stregoneria, sono riusciti a tenermi incollato allo schermo per 70 episodi filati, quasi 30 ore totali. La lenta scoperta della verità dietro le Clow Card e le epiche evocazioni di Sakura si alternano a delle scene che ci sembra di aver già vissuto in qualche modo, magari quando avevamo la stessa età della piccola protagonista, conferendo a Card Captor Sakura un senso di malinconia positivo: si ha l’impressione di affacciarsi su una piccola finestra di spensieratezza, quando le nostre giornate erano più semplici e la nostra immaginazione più libera.

Le emozioni al tempo della Catturacarte

Altro dettaglio fondamentale alla base del fascino di Card Captor Sakura è il ruolo che ricoprono le emozioni e i sentimenti dei personaggi che animano la serie. Le CLAMP inseriscono legami e dinamiche esplicitamente queer in maniera incredibilmente naturale e sincera, in un esempio di rappresentazione da manuale: Tomoyo ha una forte cotta per Sakura non ricambiata (molto più evidente nel manga), Syaoran ce l’ha per Yukito, il quale però sembra avere con Touya un legame un po’ diverso dalla semplice amicizia. Il tutto però viene trattato in maniera assolutamente normale, senza esacerbare o sottolineare la cosa in maniera ossessiva e performativa.

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In Card Captor Sakura, però, non c’è solo il romanticismo: c’è la sincera amicizia che sboccia fra Meilin e Sakura, dopo un inizio difficile caratterizzato da una fortissima rivalità, e c’è l’inaspettata sintonia fra Tomoyo e Kero-chan, con l’amica della protagonista che spesso cuce dei vestitini su misura per il simpatico guardiano delle Clow Card. Siamo di fronte ad un’opera dolce, piena di vibes positive e che, al di là della struttura episodica, restituisce un senso di crescita dei personaggi e di progressione davvero molto forte.

Fra un guaio e l’altro, Sakura & company dimostrano infatti di crescere sotto innumerevoli aspetti: maturano, imparano e cercano di rendere il mondo un posto migliore. Se Sakura e Syaoran in un primo momento si mettono alla ricerca delle Clow Card spinti da una sorta di mero egoismo, ben presto lo fanno per proteggere i propri cari e la propria quotidianità, concetto che viene sublimato nel finale della prima stagione (in quello che è diventato, senza esagerare, uno dei miei momenti di fiction preferiti di tutti i tempi).

Forse è proprio questo l’aspetto di Card Captor Sakura più sensazionale: dare una forma ed una sostanza agli elementi del mondo che viene narrato, pur proponendo una struttura chiaramente frammentata ed episodica. L’esempio plastico di ciò è il fatto che risultano godibilissimi perfino i (tanti) episodi filler: anch’essi contribuiscono alla lore dell’opera e alla caratterizzazione dei personaggi, e vale davvero la pena guardarli. Meglio la prima stagione sotto questo punto di vista, ma questa è una mera considerazione personale; dopo 70 episodi in compagnia della Catturacarte, vi sembrerà di conoscerla come una figlia.

Che stile, Sakura!

Ovviamente, così come in tanti altri animanga majokko dello scorso millennio, le trasformazioni e gli outfit della protagonista sono una componente chiave del prodotto, la vetrina che crea la sua identità e che invoglia lo spettatore ad andare avanti. Card Captor Sakura, però, fa qualcosa in più: le Clow Card sono basate sui tarocchi, sono il risultato della fusione di magia occidentale ed orientale e le loro manifestazioni fisiche sono una più creativa dell’altra.

La variante “stile” nell’equazione della serie ha un peso non indifferente, che si rispecchia sia in ciò che Sakura fa e indossa per catturare le Carte, sia nell’aspetto di queste ultime. Ogni Clow Card rappresenta un potere, più o meno pericoloso, raffigurato da una manifestazione fisica: c’è la Carta del Tempo che ha l’aspetto di un anziano signore con una clessidra in mano, e c’è quella della Nuvola che invece assume la forma di una ragazzina dispettosa e divertita. La Carta del Legno prende d’assalto la casa di Sakura come una pianta invasiva, mentre quella della Spada è capace di trasformare chiunque in un abile spadaccino.

Insomma, ogni Carta presenta la sua peculiarità di design, la sua trovata narrativa, e la genialità sta proprio nell’integrarle all’interno del contesto urbano di Tomoeda, in modi sempre nuovi e spingendo al massimo il problem solving della piccola protagonista, la quale nel frattempo viene addobbata come una vera e propria eroina da Tomoyo, che ogni volta sembra uscirsene con un design sempre diverso ed unico. Fra orecchie da gatto, cappelli da streghetta e alette da pipistrello, lo stile di Sakura è ineccepibile.

Per me, è diventato quasi naturale aspettare con trepidante attesa di vedere il prossimo, fantasmagorico look della nostra Catturacarte, e ogni volta che Tomoyo non riesce a vestirla per un motivo o per un altro ci rimango un po’ male. Card Captor Sakura non è quindi solo uno shoujo storico divertente e spensierato da guardare, ma è anche e soprattutto un concentrato di stile dal carisma magnetico.

E ora, che si fa?

Oltre ad avermi confermato il fatto che l’archetipo dello shoujo è quello che più si confà ai miei gusti, e quello che dovrò inevitabilmente esplorare nei prossimi mesi, Card Captor Sakura mi ha fatto capire una cosa: per raccontare una storia positiva, allegra e capace di rapire lo spettatore basta ben poco. Non è scontato, perché nel mercato dell’intrattenimento moderno si ha sempre l’impressione che per fare colpo sul pubblico serva necessariamente fare le cose in grande.

Una ragazzina con dei poteri magici, una piccola cittadina e la spensieratezza di chi passa le proprie giornate con il sorriso stampato in volto: tanto è bastato per far appassionare me e tantissime altre persone all’opera delle CLAMP. Fra gli impegni universitari e le faccende personali della mia vita quotidiana, quella mezz’ora passata in compagnia della Catturacarte mi schiarisce la mente e mi rigenera, quasi come una medicina. Questo è l’asso nella manica di Card Captor Sakura, e mi viene quasi da pensare che sia l’effetto di una Clow Card…

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Matteo Di Cola

Eterno amante di astronomia e di videogiochi, Matteo è cresciuto con un gamepad in una mano e con una carta celeste nell'altra. Cerca sempre di scoprire cose nuove su di lui e sui suoi gusti esplorando decine di generi. Con gli anni ha riscoperto anche una forte passione per la letteratura, la musica, la tecnologia e per la cultura orientale, in particolar modo cinese, oggetto del suo percorso di studi in Lingue e Letterature. Trova sempre un legame tra quello che interessi così diversi riescono a raccontare, nella maniera più personale possibile.

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Matteo Di Cola
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