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Civil War, la recensione: Dio (non) benedica l’America

Ultimo lavoro di Alex Garland prima della sua pausa dal cinema, Civil War è stato uno dei film più attesi e discussi dell’anno, anche mesi prima della sua uscita. Infatti, sin dalla pubblicazione del primo trailer, questo film ha scaturito non poche polemiche in rete. Da quel che veniva mostrato, sembrava che il film fosse figlio del famoso 6 settembre 2021, giorno dell’assalto a Capitol Hill. Tra le tante accuse lanciate ad Alex Garland, vi era quella di propaganda, denigrazione della politica repubblicana in favore dei giornalisti liberali pro-democratici.

Il regista ha fatto assai parlare di sé negli anni precedenti, cimentandosi nei generi fantascientifici (Ex Machina) e horror (Men), a volte mischiando i due generi (Annihilation). Questo film è, almeno per ora, il più costoso della famosa casa di produzione A24. Un progetto ambizioso, col quale Alex Garland vuole parlare della realtà dei giorni nostri. E a ragion veduta, date le vicende degli ultimi anni.

La seconda Civil War degli Stati Uniti

Gli Stati Uniti non sono più Uniti. Una guerra interna sta dilaniando quella che era un tempo la nazione più potente del mondo, con forze filopresidenziali che difendono lo stato sovrano della Florida contro la ribellione del Texas e della California.

Un gruppo di giornalisti, composto dalla fotografa di guerra Lee Smith, il cronista Joel e il veterano Sammy, decidono di recarsi a Washington D.C. per intervistare il Presidente. Ad accompagnarli ci sarà la giovane Jessie, un’aspirante fotografa che sogna di diventare come Lee.

Vista la situazione critica, per evitare le guerriglie il gruppo è costretto a fare il giro più largo tra gli Stati interni, e più il viaggio prosegue più Jessie scoprirà il lato oscuro del giornalismo. L’apatica calma che deve accompagnare la foto scattata ad un cadavere, il sangue freddo quando si è sotto i colpi di mitragliatori, nonché la consapevolezza che ciò che si dovrà documentare non deve essere giudicato, ma solo raccolto.

Un film politico apolitico

A dispetto di quel che si è detto prima e delle numerose lamentele da parte di utenti repubblicani o pro Trump, Alex Garland sarebbe uno scrittore superficiale se si fosse fermato a questo giudizio, ma come lui stesso dice, “Sinistra e destra sono argomenti ideologici su come gestire uno stato. Questo è tutto ciò che sono. Non sono giusti o sbagliati, in termini di bene o male.

Ci troviamo infatti di fronte a un film lontano dall’essere una propaganda politica. Certo, vi sono scene in cui viene messa in cattiva luce la bigotteria americana, prima fra tutte la famosa “Che tipo di americani siete?” con Jesse Plemons, ma questo passa in convento con la A24. Il vero intento del film non è una critica ad un’ala politica, men che meno al nazionalismo, quanto più alla freddezza dei giornalisti odierni.

Come viene detto nel film, Lee prende il suo nome dalla famosa fotografa Lee Miller, che con le sue fotografie ha documentato i campi di sterminio nazisti. Dopo la documentazione di quell’eccidio, ormai i giornalisti siano quasi incapaci di sorprendersi. Sia perché qualsiasi altra cosa documenteranno non supererà mai l’orrore della Shoah sia perché, se si vogliono riportare fatti atroci nell’epoca dei media contemporanei, occorre lasciare in secondo piano la compassione.

Dopotutto, come dice la Lee del film, il vero compito del giornalista non è farsi domande, ma raccogliere informazioni perché gli altri possano farlo. Ma a volte il prezzo da pagare è troppo alto, soprattutto per chi sta dietro la telecamera o la macchina fotografica: la sua stessa morale.

La guerra non ha vincitori

Ogni gruppo di soldati che il gruppo incontrerà nel suo viaggio sarà permeato da un miasma grigio morale, in cui non si comprenderà chi siano i “buoni” o i “cattivi“, termini privi di senso in questa Guerra Civile . Tolta una singola scena, durante i combattimenti che Lee e i suoi colleghi documentano, non si capirà mai chi è dalla parte dei ribelli e chi della Florida. Chiunque, da entrambe le parti, sparerà per primo, o compirà atti efferati per il puro gusto del sangue.

I giornalisti cercheranno di capire i motivi di determinati scontri, ma spesso l’unica risposta che otterranno è “ci stavano sparando”, senza però dire apertamente chi ha cominciato. Certo, da alcuni stralci ci viene fatto presente che il Presidente potrebbe aver iniziato, ma ciò non giustifica atti sanguinari compiuti dalla fazione opposta. Non ci sono repubblicani o democratici, buoni o cattivi. C’è la guerra.

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Inutile dirlo, ma, per quanto il fulcro principale del film sia la critica al giornalismo, in un film con Civil War come titolo l’orrore della guerra non passa per caso sullo sfondo. Ancor di più se si parla di una guerra interna in una nazione che un tempo aveva Uniti nel suo nome. Una guerra piena di controversie, prima fra tutte l’alleanza di due Stati così diversi tra loro: il conservatore Texas e la liberale California.

Com’è accaduto in Annihilation, Alex Garland non manca di aggiungere tinte horror anche a questo genere: in esso viene sperimentato un nuovo tipo di jumpscare, non basato sull’attesa spasmodica per qualcosa di sovrannaturale, ma sulla sorpresa nata da un “semplice” sparo improvviso, il cui volume è alzato innaturalmente. Non siamo dunque scioccati solo dallo spavento, ma da ciò che vediamo: non ci è apparso davanti un mostro, ma qualcosa di più spaventoso proprio perché vero, è stato appena ucciso un uomo. E nel modo più realistico possibile.

Anche Alex Garland può sbagliare

La sceneggiatura, ricca di grigi e permissiva di dialoghi costruttivi tra gli spettatori dopo la visione, fa perdonare diverse scivolate sulla caratterizzazione dei personaggi. Ci vengono più volte presentati archetipi, sia all’inizio tra il gruppo principale sia comprimari secondari durante la vicenda, dei quali possiamo intuire il destino.

Personaggi, tuttavia, interpretati in maniera eccellente. Kristen Dunst riesce a mantenere uno sguardo distaccato fino all’ultimo atto. Il suo consorte Jesse Plemons, per quel poco che appare sullo schermo, riesce a raggelare il sangue dello spettatore, soprattutto perché ci ricorda che persone come lui potrebbero tranquillamente abitare negli Stati Uniti.

Il discorso di prevedibilità vale anche per il climax, ma in maniera più giustificata: se si presta bene attenzione allo svolgersi delle vicende, durante il crescendo dell’ultimo atto, lo spettatore potrebbe già immaginare come andrà a finire per i protagonisti, notando le loro reazioni a ciò che li circonda.

Dunque ci troviamo di fronte a un film con un finale prevedibile? E stiamo ancora parlando di Alex Garland? Sì, ma è una prevedibilità giustificata: era la conclusione che ci si aspettava nell’arco caratteriale dei personaggi. Meglio questo rispetto ad un “subvert the expectations” tirato e contraddittorio.

Spettacolare e terrificante

La regia di Alex Garland si rivela al solito ottima, con numerosi campi larghi che ci mostrano le pesanti cause della guerra sulle cittadine americane. Tali inquadrature sono spesso alternate a riprese a mano dei protagonisti, in modo che riusciamo ad essere sia quasi parte attiva della vicenda sia spettatori di essa.

Come succede con la scrittura, la regia di Garland, aiutata dalla fotografia di Rob Hardy, che fa perdonare gli strafalcioni tecnici, caratterizzati da effetti speciali posticci, soprattutto durante le esplosioni, ricche di fumo fin troppo finto. Funziona molto meglio nelle scene notturne, in cui il buio riesce a mascherare l’effetto plasticoso della computer grafica a basso budget.

Infine, non si può non menzionare una colonna sonora ricca di canzoni popolari americane, in contrasto con l’orrore che le immagini mostrano.

Civil War: l’America tra finzione e realtà

Civil War è più di quanto ci si potrebbe aspettare. Un film sul giornalismo, sulla guerra, sul cinismo degli esseri umani e sulla degenerazione degli Stati Uniti. Un film non esente da difetti, né tantomeno il migliore di Alex Garland o della A24, ma comunque degno di una visione, di qualsiasi orientamento politico si è.

Perché quando si parla di guerra o del lato oscuro dell’animo umano, si può essere di qualsiasi fazione si voglia. Saranno sempre temi universali.

Civil War
SCRITTURA
7.5
REGIA
9
COMPARTO TECNICO
7
DIREZIONE ARTISTICA
8.5
CAST
8.5
PROS
Evita di essere propaganda politica, mostrando i lati negativi di entrambe le fazioni
Cinica critica al giornalismo moderno, freddo e insensibile nei confronti di ciò che vuole documentare
Regia ottima che ci fa davvero sentire parte della vicenda
CONS
Archetipi riconoscibili sia nei personaggi sia nella narrazione
Effetti speciali posticci, soprattutto nel fumo delle esplosioni
8.1
VOTO
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Veoneladraal

Fin da bambino sono sempre stato appassionato di due cose: i romanzi fantasy e il cinema, passioni che ho coltivato nel mio percorso universitario, laureandomi al DAMS Crescendo hoi mparato a coltivare gli amori per i videogiochi, i fumetti e ogni altra forma di cultura popolare. Ho scritto per magazine quali Upside Down Magazine e Porto Intergalattico, e ora è il turno di SpaceNerd di sorbirsi la mia persona! Sono un laureato alla facoltà DAMS di Torino, con tesi su American Gods e sono in procinto di perseguire il master in Cinema, Arte e Musica.

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