Recensioni

Starfield, la recensione: cosa c’è oltre le stelle?

Qualcuno dice che in questo immenso Universo siamo delle formiche, che ne occupiamo un’infinitesima parte, eppure ci sentiamo i padroni di tutto, anche se in millenni di civiltà siamo riusciti giusto a farci una passeggiata sul satellite più vicino al nostro pianeta. E se invece l’umanità fosse riuscita ad esplorare davvero l’Universo? Bethesda, col suo progetto più ambizioso, ha immaginato proprio questo, tirando fuori un’epopea fantascientifica che ci porta fino ai confini di esso, e forse anche oltre.

Siamo nel 2330, l’umanità è riuscita finalmente a sviluppare la tecnologia utile per studiare e colonizzare non solo il proprio sistema solare, ma anche per spingersi oltre, scovandone altri, sempre più lontani, fino a raggiungere quelli che vengono chiamati ‘’i confini dell’universo conosciuto’’. Ma sarà davvero così?

Questo è uno dei temi che subito ci viene introdotto in Starfield, dove verremo catapultati, da semplici minatori spaziali, in un’avventura che valica ulteriori confini della scienza e della conoscenza. Ma quanto sono lontani questi confini? Lo spazio è davvero così vasto da potersi perdere? Bethesda promette un’avventura in grado di farci smarrire nei meandri dell’Universo, ma con questa recensione tenteremo di spiegarvi che, per quanto la magnitudine del videogioco raggiunga effettivamente dimensioni mastodontiche, è la stessa casa produttrice a non essersi spinta troppo in là con la propria filosofia di sviluppo, sia nel bene che nel male.

Un world building ispirato e di spessore, che si scontra con l’eccessiva ambizione di Bethesda

Ciò su cui Bethesda ha da sempre brillato, e ciò che forse più ci si aspettava per Starfield, è la creazione di mondi unici, con uno stile proprio, sorretti da lore diretta ed indiretta che li renda indimenticabili.

Starfield, come IP completamente nuova nell’ecosistema Bethesda e Xbox, ha sin da subito portato il fardello di riuscire a rivaleggiare con i favolosi mondi di The Elder Scrolls e Fallout, e possiamo decisamente affermare che la casa produttrice è riuscita in questo intento. L’intero ecosistema fatto di centinaia di mondi, grossi agglomerati urbani dallo stile unico, ma anche il vuoto cosmico di alcuni pianeti, è riuscito a catturare l’essenza di questo gioco, che vuole raccontarci l’epopea degli esseri umani in quello che possiamo definire un vero e proprio futuro possibile.

Lo stile Nasa Punk aiuta tantissimo in questo intento, visto che rende il mondo di gioco decisamente fantascientifico e oltre le attuali possibilità umane, ma resta attaccato alle radici culturali e tecnologiche contemporanee, restituendoci una sensazione di progresso scientifico umano coerente e plausibile.

Che sia lo splendore futuristico di Nuova Atlantide, dagli edifici e monumenti sfarzosi, o l’atmosfera più western di Akila City, o ancora il cyberpunk che trasuda Neon City, gli elementi stilistici di questo universo videoludico, sono costruiti con un certo rigore, mantenendo una direzione artistica unica considerate le opere sci-fi che abbiamo potuto giocare in precedenza.

Ogni singolo elemento, dal semplice oggetto di design di alcuni appartamenti, alle armi ed equipaggiamenti utilizzabili, alle navicelle spaziali o gli edifici residenziali e governativi, sono studiati per favorire l’immersione in questo universo. La stessa UI, sia a schermo mentre si gioca, che nei menu, è integrata perfettamente con questo stile artistico. Basta entrare nella propria navicella, notarne anche i semplici dettagli, per poi mettersi al comando di essa e partire per lo spazio, per capire come il tutto sia studiato per restituire un’esperienza molto simile a quella che possiamo ammirare nelle missioni delle agenzie spaziali contemporanee.

Il tutto, ovviamente, viene adattato ad una scala enorme, dalle dimensioni che, all’inizio del gioco, ci possono sembrare davvero galattiche. Col passare delle ore di gioco iniziamo però a renderci conto che c’è più di qualche compromesso di cui tener conto quando una casa produttrice ti promette di poter visitare oltre 1000 pianeti e centinaia di luoghi di interesse.

In Starfield c’è tanto design manuale di ambienti, oggetti, luoghi ma, d’altra parte, tutta questa mole di elementi viene inevitabilmente riprodotta in scala 1:1 in tanti luoghi diversi della Galassia per far fronte alla grandezza del titolo. A parte i luoghi di maggiore interesse, ovvero quelli che visiteremo grazie alla campagna principale e alle missioni secondarie più corpose, bastano una decina di ore di gioco per avere una sensazione di Deja Vu per quanto riguarda parecchie caverne, avamposti di nemici o interi scorci di pianeti.

La sensazione di riciclo degli asset purtroppo si fa sempre più corposa man mano che si procede con l’esplorazione, facendo scemare quella sensazione di scoperta che all’inizio del gioco porta effettivamente a curiosare in giro quanto più possibile per scovare luoghi di interesse, nuove forme di vita o elementi chimici ancora non scansionati, che potrebbero essere utili alle proprie ricerche.

Abbiamo inevitabilmente a che fare con un world building costruito per stupire, ma le enormi ambizioni di Bethesda per Starfield si sono inevitabilmente scontrate con palesi limiti tecnici che intaccano tutto il discorso di scoperta che ha accompagnato la campagna marketing del gioco.

Una narrazione troppo canonica, ma che funziona nel suo complesso

Dal punto di vista narrativo, Bethesda resta una pioniera dell’industria, riuscendo a confezionare quest dall’assoluto valore, ottimamente contestualizzate ed utili a coinvolgere il videogiocatore in mille modi diversi, e con Starfield il modus operandi della software house non è cambiato.

La casa di Rockville ha voluto dare la possibilità di poter essere chiunque si voglia, tramite un intreccio di macro e micro trame, che ci porteranno ad essere esploratori spaziali, risorse esterne per le forze dell’ordine, ma anche strozzini, giustizieri al di sopra della legge, ladri, pirati spaziali. Insomma, l’enorme intreccio di piccole e grandi storie su cui si regge Starfield, può effettivamente soddisfare tutti i palati.

La quantità di quest che è possibile affrontare in questa epopea fantascientifica è innumerevole, e il fatto che basti letteralmente ascoltare una conversazione di sfondo, o una telefonata, o magari entrare semplicemente in un negozio per raccogliere tutte queste richieste, potrebbe dare, all’inizio, la sensazione di essere soverchiati dalla mole di attività da svolgere.

Quando ci si fa la mano però, intuendone le potenzialità in termini di risparmio di tempo, collezionare missioni per poi svolgerle quando ci si vuole prendere una pausa dalla storia principale, aiuta sia in termini di sviluppo del personaggio in pieno stile RPG, che di immersione in questa galassia tutta da scoprire.

Ovviamente la maggior parte delle missioni secondarie risultano dei semplici riempitivi utili a fare esperienza o qualche credito; d’altra parte però, molte di esse porta a degli sviluppi di trama molto interessanti, dandoci informazioni su come si evolve attorno alle nostre scelte questo universo. Alcune di queste, inoltre, si vanno ad articolare in un mosaico così vasto di sviluppo della micro-trama, che raggiungono livelli qualitativi probabilmente anche superiori alla trama principale, tanto da portarci a domandare come mai Bethesda abbia messo così tanta cura in attività che possiamo considerare facoltative. Una risposta però forse ce la siamo data, ed è insita nella natura stessa della trama principale.

Tenendo a specificare il fatto che questa recensione sarà assolutamente spoiler free, cercherò di fare alcune considerazioni sulla trama principale, che, probabilmente, mai come nessun altro videogame recente e passato ti spinge al New Game Plus. L’idea di ricominciare il gioco da capo per rifare alcune missioni, o portare a termine quelle che inesorabilmente ci si era lasciati indietro durante la prima run, ti viene inculcata fin dalle prime ore di gioco, esasperando quell’idea di poter essere chiunque si vuole, vivendo letteralmente più vite, in modo da esplorare per bene le conseguenze delle proprie azioni, per poi ricominciare.

Sorretta da queste intenzioni, la trama principale funziona soprattutto nella parte introduttiva, quando faremo la conoscenza di questo gruppo eterogeneo di personalità illuminate, che fa ricerche su una lega metallica mai vista prima, tentando di capirne l’origine e l’utilizzo, e anche gli strani effetti che sembra avere su alcune persone che considerano come prescelte. Tutta l’introduzione a questa società, chiamata Constellation, e le prime missioni che ci porteranno ad interagire con alcuni membri di questo gruppo alla ricerca di questo metallo, risultano assolutamente interessanti.

Tuttavia, è nella sua parte centrale che, a parte qualche sporadico guizzo creativo fino al solido ed adrenalinico climax finale delle ultime ore, mi sono ritrovato a gironzolare per i sistemi solari alla ricerca di nuovi indizi su questa lega metallica, ripetendo sostanzialmente sempre lo stesso pattern di attività. La trama principale è relativamente corta, assestandosi all’incirca sulle venti ore, proprio perché è il titolo stesso che spinge, in modo furbo, a guardarti intorno e dedicarti ad altro prima di raggiungere il finale della storia.

Dal punto di vista registico e narrativo non posso di certo dire che ci si trova di fronte all’avanguardia del genere, anzi: reputo che Bethesda su questo aspetto ha peccato di pigrizia, confezionando una narrazione dallo stampo troppo classico, dalle migliaia di linee di dialogo che danno solo una parvenza di profondità, ma che si riducono a pochi spunti interessanti, sfruttando la meccanica dei tratti e dei talenti acquisiti durante le sessioni di gioco.

La stessa meccanica di persuasione si riduce in poche opzioni di dialogo tutte uguali tra loro, che aggiunge davvero pochissima profondità alla componente ruolistica, rendendo anche vano l’investimento sul talento specifico che aumenta solo in percentuale la possibilità di successo, non andando ad ampliare in modo significativo il ventaglio di scelte.

La regia, impostata su un classico campo e controcampo, con zoom sui volti dei personaggi, possiamo definirla troppo ‘’amarcord’’ per essere buoni. Insomma, su questo campo Bethesda non si è assolutamente buttata nell’ignoto, preferendo restare nella propria safe zone, utilizzando ancora una volta una versione rifinita del datato Creation Engine, pur risultando assolutamente anacronistica nelle sue scelte.

Il gameplay di Starfield è ricco nella quantità, ma incerto in alcune sue componenti

In questa sezione parliamo dell’elemento più complicato e forse divisivo di questa opera videoludica. Il Gameplay di Starfield prevede così tanti elementi da trattare che forse fa più spavento delle migliaia di pianeti da visitare. Ma queste meccaniche di gameplay come si comportano? Sono in sinergia tra loro?

Dal parere di chi vi scrive anche qui ci troviamo davanti ad un lavoro imponente da parte del team di sviluppo, che va però a scivolare su alcune meccaniche che vanno a mettere bastoni tra le ruote assolutamente non graditi al videogiocatore.

Componente RPG solida: dalla creazione del proprio alter-ego fino allo sviluppo dei propri talenti

Partendo dal momento della creazione del personaggio, il tool di creazione non grida al miracolo ma è solido e riesce a permettere al giocatore di sbizzarrirsi nella creazione del proprio alter ego digitale. Vi sono abbastanza opzioni, che vanno a regolare l’aspetto sia dal punto di vista generale, che nei piccoli dettagli.

Anche il sistema di scelta del proprio Background è assolutamente efficace, e ci da modo di impostare sin da subito una build per il proprio personaggio, che si ritroverà ad avere qualche bonus sin dall’inizio dell’avventura in particolari campi.

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Lo stesso si può dire dei tratti iniziali, da considerare come dei perks che forniscono sia bonus che malus se si deciderà di implementarli. Interessante è anche la loro contestualizzazione nel mondo di gioco, visto che si tratterà di vere e proprie caratteristiche che hanno un reale impatto anche dal punto di vista ruolistico, potendo scegliere, ad esempio, se avere ancora dei genitori in vita (che ci porterà ad avere già un appartamento, ma di considerare un debito settimanale dei propri crediti da destinare al sostentamento della famiglia), o magari preferire di essere lupi solitari, con grossi bonus a tutti i parametri che riguardano la sopravvivenza in generale, ma che precludono qualsiasi possibilità di stringere alleanze con gli NPC disponibili. Potremo anche decidere di essere delle vere e proprie star, con tanto di fan accanito al seguito che ci fornirà dei regali molto utili, a patto di dover sopportare il suo eccessivo entusiasmo.

Questa configurazione iniziale entra in sinergia con tutto il sistema di talenti ed abilità che è possibile apprendere durante le nostre scorribande per la galassia. L’albero dell’abilità viene diviso in classici rami che vanno dall’influenzare la tenuta fisica del personaggio, la capacità di utilizzo di armi, la capacità di ricerca o di ingegneria.

Ogni ramo ha diverse abilità che si possono sbloccare al raggiungimento di nuovi livelli di esperienza, e ogni abilità ha più livelli di conoscenza, sbloccabili tramite delle piccole sfide specifiche da portare a termine per specializzarsi e ottenere ancora più bonus.

Ad esempio se si vuole aumentare la capacità di carico del proprio personaggio bisognerà, in maniera crescente, correre per un certo numero di metri con almeno il 75% di capacità di trasporto in inventario. Anche questo sistema non fa gridare al miracolo, ma offre tanta varietà dal punto di vista di gioco di ruolo puro, con sfide effettivamente ben contestualizzate rispetto alla singola abilità, portando il giocatore a spendere tante ore di gioco a sbloccare tutti i talenti più in sinergia col proprio stile di gioco e a farli evolvere al grado massimo.

Crafting e gestione inventario

Per quanto riguarda invece la parte del crafting e gestione delle proprie risorse, a parer nostro vi sono troppi elementi gestiti in maniera poco attenta. Questa componente non è sconosciuta a Bethesda che, anche in Starfield, ha voluto creare un sistema di ricerca, gestione ed evoluzione di risorse in grado di permettere al videogiocatore di evolvere dal punto di vista dell’equipaggiamento, creazione e utilizzo di consumabili, potenziamento e gestione della propria nave.

La quantità di oggetti e risorse con cui è possibile interagire è decisamente alta, e parecchi di essi, a parte gingilli utili solo alla rivendita, possono essere utilizzati per ottenere dell’equipaggiamento utile all’avventura tramite diversi sistemi come banchi da lavoro, laboratori chimici o un tool di costruzione della propria nave spaziale.

La gestione di tutti questi oggetti all’interno del menù apposito risulta però piuttosto confusionaria, non tanto nelle prime ore di gioco quanto a partire dal momento in cui si è in giro per la galassia da qualche ora. Si entra continuamente a contatto con risorse, composti chimici, tute spaziali e armi sempre nuove, che iniziano ad accumularsi in un inventario suddiviso in poche sezioni con menù ad elenco, iniziando a rendere macchinosa la consultazione in presenza di tanti elementi da gestire. Problema che si ingigantisce quando iniziamo a costruire avamposti, con un tool di creazione molto intuitivo e ben congegnato, ed estrattori di risorse che andranno anch’esse gestite in qualche modo, che siano utilizzate per la creazione di oggetti o per la rivendita.

Lo stesso stile dei menù viene utilizzato anche nel commercio con tutta la pletora di venditori situati in ogni angolo della galassia. Il sistema commerciale è molto user friendly, sicuramente molto orientato al guadagno del videogiocatore in modo da non risultare frustrante, ma le stesse incertezze dei menù personali si vanno a riscontrare anche in questo ambito, dove, a parte la possibilità di apporre un segnalino sulle risorse che servono per completare progetti di ricerca, ci troveremo a fare avanti e indietro più volte tra le varie sezioni per capire cosa sia davvero utile da commerciare o meno.

In ultima analisi, su questo argomento, c’è da ribadire la cura nei tool di creazione di avamposti e delle navi spaziali. Anch’essi soggetti al crafting di oggetti e all’utilizzo di crediti per ottenere le risorse necessarie, ci portano però in sezioni di costruzione che possiamo considerare un vero e proprio gioco nel gioco.

Parlando soprattutto della costruzione delle proprie navi spaziali, potremo crearne di originali partendo praticamente da 0 e, grazie all’enorme varietà di elementi utilizzabili, dare sfogo alla fantasia per costruire la nostra nave dei sogni, come è possibile già ammirare facendo un giro tra le community di fan del gioco che, tra il serio ed il faceto, hanno iniziato a condividere online i propri progetti dando sfogo alla propria creatività.

Quando si passa all’azione, Starfield colpisce ma non appieno

Ma dopo aver passato tutto questo tempo in giro per i menù, tutta questa gestione di background iniziale, abilità, crafting di oggetti, come si traduce nell’azione vera e propria?

Parto dicendo che, pur contemplato una risicata componente corpo a corpo, Stardield fa degli scontri con arma da fuoco la sua componente principale. La costruzione del proprio arsenale prevede un grosso quantitativo di armi, che potremo modificare con caratteristiche specifiche, utile ad aumentarne le caratteristiche di base come maggiori danni, caricatore o cadenza di fuoco aumentati, ma anche per ricevere dei bonus contro nemici specifici magari.

Il feeling dello shooting risulta buono, i vari tipi di armi restituiscono un feedback diversi in base alle proprie caratteristiche. Quel che può far storcere il naso è un IA in generale dei nemici che risulta troppo basica, poco furba, sostanzialmente nella media del settore.

Ciò che dona varietà agli scontri con i nemici, che siano essi umani o essere viventi particolarmente feroci in cui siamo incappati durante le nostre ricerche su un pianeta sconosciuto, sono le caratteristiche ambientali del luogo di combattimento. Ci si può ritrovare ad esempio a dover ingaggiare nemici su pianeti con gravità ridotta, portando a gestire anche dal punto di vista del movimento lo scontro e tenendo anche conto che le armi non ad energia generano un rinculo che può sbalzarci all’indietro.

Altre caratteristiche da tener conto sono le varie condizioni atmosferiche che possono influenzare il nostro stato di salute, ad esempio portando a consumare magari più ossigeno mentre si corre, o riducendo la salute totale per colpa delle troppe radiazioni. Tutta questa varietà di condizioni contribuisce a rendere divertenti sia gli scontri che l’esplorazione in generale.

Dal punto di vista della pura esplorazione, il boostpack risulta l’unico modo per velocizzare gli spostamenti, non essendo presenti mezzi di guida. La scelta è ponderata probabilmente sull’incentivare l’uso dello scanner e la sensazione di scoperta ma, alla lunga, inizia a risultare un po’ frustrante, anche perché la gestione di mappe e viaggi rapidi è a mio parere insufficiente.

Alla mappa stellare, utilizzabile quando si naviga nello spazio aperto con la propria nave, disegnata benissimo e integrata con tutta le informazioni utili sui pianeti e i satelliti che si intendono visitare, si contrappongono le mappe dei singoli pianeti, che hanno generalmente pochi punti di atterraggio e, di conseguenza, di viaggio rapido.

Quando poi si atterra sul sito da visitare, gli unici punti di viaggio rapido risulteranno gli stessi luoghi visionabili già dalla mappa stellare; la mancanza di una mappa più dettagliata del luogo, giustificabile quando ci troviamo in un pianeta sperduto nella galassia, ma molto meno quando ci troviamo nelle grandi città, rende difficile e frustrante orientarsi, vista la totale mancanza della segnalazione dei punti di interesse, che siano commercianti o altre strutture importanti.

Anche la minimappa è assente, aggiungendo ulteriore difficoltà nell’esplorazione sempre in quei luoghi in cui avere una guida visiva di cosa abbiamo intorno a noi sarebbe servito a ridurre i tempi di percorrenza.

Dal punto di vista dell’azione ed esplorazione al comando della propria nave spaziale, posso dire che, una volta effettuati salti gravitazionali nei vari sistemi solari, non sarà possibile atterrare nei vari pianeti senza soluzione di continuità, né verosimilmente spostarsi da un pianeta all’altro, a meno che non abbiate ore libere per viaggiare a pieni motori nel vuoto cosmico, visto che le distanze dai pianeti sono molto verosimili considerata comunque una riduzione in scala dell’Universo.

Il sistema di guida della nave è molto peculiare, visto che dovremo gestire in tempo reale quanta energia dare alle varie componenti, come le armi, o la potenza del motore, o gli scudi. Questa gestione manuale risulta molto interessante anche in combattimento, visto che dare priorità di energia alle armi, piuttosto che al motore ci farà avere una potenza di fuoco maggiore, a discapito del movimento. Questo, in base alla tipologia e al numero di nemici da affrontare, crea situazioni sempre sfidanti e divertenti da affrontare, che vi porteranno a migliorare sempre più la vostra nave, o a costruirne una da zero con le caratteristiche che più vi aggradano.

In conclusione: il sogno di Bethesda ci regala un’avventura fantascientifica mastodontica, ma non priva di difetti

Starfield è sicuramente l’opera più ambiziosa di Bethesda. Lo si vede nell’enorme lavoro di world building, nell’impegno dello storytelling e nella cura di dettagli che negli ultimi anni si è visto solo nei più blasonati RPG open world, da sempre una categoria di videogiochi dalla difficilissima gestione per le software house.

Questa grande ambizione ha permesso però che Starfield si portasse dietro i soliti problemi che nelle produzioni Bethesda si riscontrano colpevolmente da troppi anni.

La grandezza di tutto l’universo è mastodontica, la varietà di gameplay è innegabile, le esperienze che è possibile collezionare innumerevoli, ma bisogna giocare tenendo conto di affrontare un titolo che alterna picchi di qualità e cura assoluti, a brutture che, in maniera più o meno marcata, intaccano l’esperienza generale.

Dal punto di vista tecnico, il Creation Engine è stato di certo rifinito, restituendo un’esperienza stabile dal punto di vista delle prestazioni, tenendo conto dell’enorme mole di contenuti da gestire, pur non facendo gridare al miracolo dal punto di vista grafico.

La direzione artistica sopperisce a molte mancanze, girovagare nelle città, vagare per lo spazio con la propria nave o intraprendere passeggiate spaziali su pianeti deserti alla ricerca di vita, restituisce una sensazione di scoperta dell’ignoto nella maggior parte dei casi assolutamente di valore per la cura che gli sviluppatori hanno messo.

Qualche pecca soprattutto lato gameplay e in termini di quality of life intaccano l’esperienza, ma passati sopra a questi problemi, Starfield vi donerà un’esperienza fantascientifica di tutto rispetto.

Starfield
Gameplay e Longevità
7.5
Comparto Grafico e Sonoro
8
Coerenza e cura dei dettagli
7.8
Pros
Art Style e Worldbuilding fantastici
Storytelling di qualità
Stabilità tecnica e pochi bug invalidanti
Cons
Scelte di game design discutibili
IA generale troppo basica
Creation Engine troppo limitante
7.8
VOTO
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Svallo

Cresciuto a pane e PlayStation fin dalla tenera età, poi passato al lato ''verde'' della forza. Grande appassionato di videogiochi, profondamente legato a saghe come Assassin's Creed, Kingdom Hearts e Pokémon. Altra grande passione la musica. Naruto fag. Da anni entrato nel tunnel senza uscita del binge watching di serie TV di ogni genere.

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