Anime

Suzume, la recensione: tutto Makoto Shinkai

Suzume

7.9

COMPARTO TECNICO

9.0/10

CAST

6.0/10

SCRITTURA

6.5/10

REGIA

8.5/10

DIREZIONE ARTISTICA

9.5/10

Pros

  • Un'opera d'arte visiva
  • Comparto audio impeccabile
  • Temi centrali profondi e ben presentati
  • Buon doppiaggio in italiano
  • Tanto Makoto Shinkai...

Cons

  • .. e forse anche troppo
  • Personaggi sempre lineari nel corso del film
  • Tante informazioni presentate velocemente e poco metabolizzabili
  • Trama romantica facilmente pronosticabile e senza colpi di scena

Il 27 aprile è arrivato finalmente anche nelle sale italiane Suzume, l’ultimo film dell’acclamato regista Makoto Shinkai. I lavori di Shinkai hanno segnato profondamente il precedente decennio dell’animazione giapponese, con film come Your Name e Weathering with You capaci di sfondare le barriere del Sol Levante ed affermarsi anche al grande pubblico internazionale.

Inutile dire che le aspettative dietro a questo lungometraggio erano immense. CoMix Wave ormai da anni rappresenta un punto di riferimento per l’industria e lo stesso vale anche per Makoto Shinkai, nel bene e nel male.

Andiamo quindi a scoprire insieme le nostre impressioni sull’ultimo film del maestro giapponese. Sarà riuscito finalmente a sorprenderci o ci siamo trovati difronte all’ennesima “shinkaiata“?

Suzume

In un piccolo paese in riva al mare della regione del Kyushu, Suzume vive la sua quotidianità insieme alla zia. Un giorno, sulla strada verso la scuola, incontra un ragazzo che le chiede se lì vicino ci sono delle rovine. Dubbiosa a causa dell’incontro, Suzume si reca nel piccolo villaggio abbandonato dove trova una porta in mezzo a degli edifici distrutti.

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Incuriosita la ragazza apre la porta trovandosi di fronte ad un panorama mozzafiato: un cielo stellato ed una lunga distesa di verde che trasmettono in lei una certa nostalgia, come se quel posto appartenesse in qualche modo al suo passato.

Attraversato l’uscio però si ritrova sempre lì nelle rovine e, rimanendo giustamente scioccata, inciampa su una piccola pietra: una volta presa in mano la pietra, questa scompare e scopriremo più avanti che ha assunto la forma di un gattino parlante, Daijin.

La pietra fungeva da protezione per quello che vive al di là della porta, un “verme” visibile solo a Suzume che si innalza sopra la sua città. Nel tentativo di chiudere quella porta la ragazza incontra il giovane incrociato prima, Sota, ed insieme provano a fermarlo ma non ci riescono e così un terremoto si abbatte sul piccolo paese.

Fortunatamente non ci sono vittime e Sota spiega quindi a Suzume cosa stava facendo. Il ragazzo è un chiudiporta, coloro che si occupano di chiudere i portali che collegano il nostro mondo con l’Altrove, un luogo mistico dove risiede una forza distruttiva che si aggira sotto il Giappone.

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Occore quindi rimettere al suo posto il gattino Daijin ma quest’ultimo non pare molto d’accordo e decide di maledire Sota trasformandolo nella piccola sedia per bambini che Suzume conserva nella sua cameretta. Suzume e Sota in versione sediolina sono costretti quindi a rincorrere Daijin in giro per il Giappone, cercando allo stesso tempo di scongiurare disastri chiudendo le porte e tenendo sopita la “natura distruttiva” che giace sotto l’arcipelago del Sol Levante.

Abbandono, Ricordo e Perdita

La catastrofe naturale è un tema centrale in Suzume ma è un leit motiv narrativo che ha influenzato anche i due precedenti lavori di Shinkai. In Your Name è una cometa che distrugge la cittadina di Aomori mentre in Weathering with You è il clima che non lascia scampo alla città di Tokyo; concetti simili e che toccano da vicino lo spettatore, soprattutto quello nipponico, ma anche estremamente cari al regista.

Shinkai infatti non ha mai nascosto che la sua creazione artistica è cambiata radicalmente dall’11 marzo 2011, il giorno del devastante maremoto del Tohoku. Da quel momento in poi il regista ha sempre affermato di non voler più mettere in scena opere con il solo scopo di intrattenere ma le sue creazioni dovevano veicolare un messaggio in grado di toccare lo spettatore.

Questo obiettivo è più o meno raggiunto nei due predecessori ma è soprattutto in Suzume che Shinkai riesce a colpirci con una emozionante e delicata narrazione legata al concetto di abbandono e al sopravvivere la catastrofe, il vero punto di forza di tutta l’opera.

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Non è un caso che le Porte si trovino nei posti abbandonati, dove i sentimenti delle persone non tengono più a freno quella “forza” sottostante. Il problema dell’abbandono dei piccoli villaggi da ormai decenni attanaglia il Giappone e qui si mischia all’importanza del ricordo, fortemente evocata durante la cerimonia di chiusura della Porta, la forza che, insieme a quella delle divinità protrettrici, mantiene sicuro il nostro mondo.

Andando avanti nel viaggio di Sota e Suzume, Shinkai ci propone vari esempi, dalla scuola media abbandonata per poi passare al Luna Park chiuso ormai da tempo; luoghi che avevano un significato forte ma che il tempo ed il destino non hanno risparmiato. Il culmine del viaggio di Suzume è la sua città natale, dove Shinkai chiude il cerchio che aveva iniziato a tracciare ad inizio film, portandoci dove viveva con la madre.

Un cartello con su scritto “suolo contaminato“, macchine abbandonate, il ricordo di case che ora non ci sono più all’ombra di un argine che non ha più nulla da difendere. Shinkai non deve neanche dircelo, Suzume è una sopravvissuta del maremoto del Tohoku e la sua storia è la storia di migliaia di giapponesi. Orfana della madre single, a 4 anni è persa e vive latente quell’abbandono che comunica riempiendo di nero le pagine del suo diario a partire da quel fatidico giorno e che l’accomuna a quella terra che ha lasciato da piccola e verso la quale deve tornare per concludere il suo viaggio.

Suzume fa parte dei sopravvissuti, coloro che restano su questa terra, e con essi condivide il dolore di chi rimane. Questo ed altri mille dettagli della sua storia la rendono estremamente vera e ciò che rende speciale come viene trattato questo argomento nel film rispetto ai predecessori.

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Molto Shinkai, troppo Shinkai

Se da un lato il regista ci ha sorpreso in positivo nel suo modo di raccontare di perdita, abbandono e narrazione della catastrofe, lo stesso non si può dire del resto del film.

La sensazione che emerge guardando Suzume è quella di essere bombardati di informazioni, dalle Porte alle divinità fino alla presenza di questo Altrove dove risiede il “verme“, lasciandoci un po’ disorientati durante la visione.

Questo non solo non ci rende godibile a pieno il lato fantasy del racconto ma ci distrae anche dai personaggi, i quali poi di certo non eccellono per originalità. Tolta Suzume (e non le si condona tutto, ndr.), gli altri protagonisti risultano troppo lineari e prevedibili lungo tutto il film e alcuni, le due divinità feline soprattutto, ci lasciano molto perplessi con le loro azioni.

La storia d’amore infine è veramente classica nel senso più negativo del termine, e segue quasi per filo e per segno la traccia segnata da Your Name e Weathering with You invertendola di genere. Sono sicuro che Shinkai sà di poter fare meglio (e lo ha già fatto, 5 centimetri al Secondo) e magari già aveva in mente di farlo in Suzume, visto che l’idea originale prevedeva una relazione tra due ragazze, ma sfortunatamente la romance yuri è stata bocciata dai produttori che non volevano distaccarsi troppo dai successi precedenti.

Pura e semplice Arte

Ci sono alcuni studi sui quali possiamo scommettere ad occhi chiusi: Kyoto Animation e Ufotable senza dubbio, ultimamente anche Cloverworks sbaglia di rado, ma se c’è uno studio che davvero non ha mai deluso a livello tecnico quello è CoMix Wave. Le produzioni dello studio legato a Makoto Shinkai sono sempre impeccabili a livello tecnico, con immagini mozzafiato capaci di ipnotizzare lo spettatore lungo tutta la visione.

Suzume di certo non si discosta da questa invidiabile tradizione e ci regala due ore di vera animazione resa a regola d’arte dal team di Shinkai. Panorami bellissimi quanto malinconici si mescolano ad una Tokyo vivissima e a una periferia affascinante e vengono messi in scena con l’aiuto di una delle migliori direzioni del maestro giapponese, un ulteriore passo in avanti rispetto a Your Name e Weathering with You.

Anche la colonna sonora segue la traccia segnata dai due predecessori e vede il ritorno dei RADWIMPS affiancati dalla sapiente composizione di Kazuma Jinnouchi. Proprio dalla collaborazione con Jinnouchi nascono alcune delle tracce più belle di Suzume come Sky over Tokyo, una complessa costruzione di cori e percussioni che strizza un po’ l’occhio allo stile di Kevin Penkin e che ci ha davvero sorpreso durante la visione.

Quasi superfluo parlare del main theme del film, Suzume, una delle tracce più riuscite dell’intera discografia dei RADWIMPS e che da sola ha fatto da spot per il film grazie alla delicata ed emozionante voce della tik toker Toaka.

Per quanto riguarda il character design invece, un po’ come nella romance, non si è voluto esagerare e lo stile ricalca quello degli ultimi lavori di CoMix Wave. Mascotte perfetta invece Daijin, il gattino parlante che viene inseguito per tutto il film, il cui unico difetto è quello di essere l’esistenza più irritante sullo schermo per oltre metà proiezione.

Il doppiaggio italiano infine non sfigura affatto grazie alle ottime prove di Chiara Fabiano nei panni di Suzume e di Manuel Meli in quelli di Sota.

Piccole perle e tanti difetti

Suzume, un po’ come gli altri recenti lavori di Shinkai, risente del grosso riflettore sotto cui viene posto vista l’influenza mediatica che i lavori del regista hanno avuto negli ultimi anni. Proprio come Your Name e Weathering with You però anch’esso si porta dietro tanti difetti. Tante informazioni scagliate sullo spettatore, personaggi visti e stravisti, una trama che appare esagerata sin da subito e anche una romance che dopo due minuti di visione sappiamo già dove vuole condurci.

In Suzume però, soprattutto rispetto al diretto predecessore Weathering with You, c’è un grosso ma.

Suzume è una protagonista con una storia e dei luoghi autentici e che riescono a trasmettere tantissimo senza neanche aver bisogno di nominarli. La storia di Suzume è la storia di decine di migliaia di altri giapponesi, la storia di un disastro che ha cancellato intere città e si è portato via madri, figli, nonni e amici dei quali rimane solo il ricordo.

Nel meraviglioso romanzo di Laura Imai Messina Quel che affidiamo al Vento, il racconto di una madre dopo il disastro del Tohoku, la scrittrice italiana più giapponese del mondo utilizza una parola giapponese che mi è tornata in mente all’istante in sala guardando questo film.

Se prendiamo la particella zoku (clan) da kazoku (famiglia) e si aggiunge la particella i (quanto resta) nasce quella particolare definizione che si dà nella lingua giapponese ai parenti dei defunti. Anche Suzume quindi, come tutti i figli dell’11 marzo 2011 (ma in generale ognuno di noi), fa parte della grande famiglia degli Izoku, i Rimasti, e forse è grazie a questa comunanza, più o meno sentita da tutti, che, a prescindere da ogni possibile difetto, questo film ci lascia dentro qualcosa.

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Matteo Tellurio

Nascere in un paesino umbro ti porta ad avere tanti hobby. Cresciuto tra console e computer, è da sempre amante di cinema, serie TV e musica, nella quale si diletta in maniera molto amatoriale. Anime e manga invece sono il pane quotidiano ma anche lo sport lo appassiona. Crede di aver visto ogni singola disciplina inserita dal CIO alle Olimpiadi.

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