Netflix

Dead End: Paranormal Park, la recensione: Una dolce storia queer per giovani

Dead End: Paranormal Park

7.9

SCRITTURA

8.0/10

REGIA

7.5/10

COMPARTO TECNICO

7.5/10

DIREZIONE ARTISTICA

7.5/10

CAST

9.0/10

Pros

  • Ottima rappresentazione LGBTQIA+ per i giovani
  • Personaggi adorabili
  • Storia e misteri interessanti
  • Canzoni che sembrano uscite da Steven Universe
  • Cast eccezionale, sia in originale che in italiano

Cons

  • Il primo episodio è il meno divertente
  • Poco approfondita l'ansia sociale di Norma

La storia della produzione di Dead End: Paranormal Park è interessante almeno quanto il prodotto in sé. Da semplice episodio del Cartoon Hangover del 2014 su YouTube a graphic novel di medio successo, ora è una nuova serie animata Netflix per ragazzi. Dalle tinte fanta-horror con toni comici, questo prodotto di Hamish Steele ha saputo migliorare dal suo punto di partenza?

Benvenuti al Phoenix Park!

Barney è un ragazzo trans che cerca di allontanarsi dai suoi genitori, poiché questi non lo hanno supportato durante una non molto approfondita aspra discussione con sua nonna. Per questo, assieme all’impacciata ma intelligente Norma, accetta un lavoro come guardia di sicurezza al Phoenix Park, un parco a tema creato dalla star Pauline Phoenix.

Tuttavia il parco è segretamente gestito dal demone Courtney, un essere infernale bandito che intende risvegliare il suo padrone Temeluco e tornare negli Inferi. Fortunatamente, nel primo episodio, grazie alla prontezza di Barney e Norma, il suo piano va in fumo, Temeluco è temporaneamente fermato e, come aggiunta, il cane di Barney, Pugsley, sa parlare, poiché un frammento dell’anima di Temeluco è entrato in lui.

Da quel momento Barney, Norma e Pugsley dovranno aiutare Courtney a gestire il parco, tra mascotte zombie, spettri di streghe e un mistero sulla scomparsa di Pauline. Ma gestire un luogo infestato assieme ai propri problemi personali non sarà facile.

Dead End Paranormal park e l’importanza della giusta rappresentazione

Hamish Steele, autore del corto animato e della graphic novel che sono servite da embrione per questa serie, ha naturalmente dovuto scendere a patti con Netflix, agli inizi del 2021, per rendere questo cartone più appetibile al pubblico della piattaforma. I cambiamenti che hanno apportato, tuttavia, non sono né stati accolti male da Steele né sembrano fuori luogo nel corso della narrazione.

La modifica più rilevante è naturalmente l’aver reso Barney un ragazzo trans, la qual cosa, però, ha accresciuto la motivazione del personaggio di voler vivere nel luna park e ha approfondito ancor di più il suo rapporto coi genitori e il fratello. Inoltre, l’argomento transgender è stato trattato in maniera rispettosa e seria, ma non per questo eccessivamente pesante.

Hamish Steele, anche co-sceneggiatore della serie, ha saputo impedire di sacrificare la storia in favore di eccessive rappresentazioni. Ha invece reso queste ultime parte integrante della storia. Questo argomento è ancor più importante se consideriamo il target assai giovane a cui è indirizzata la serie. In questi ultimi tempi serie come Dead End: Paranormal Park mostrano quanto sia importante veicolare il messaggio in una simile maniera emotiva ai ragazzini. Vi sarebbe da fare un paragone con High Guardian Spice, ma sarebbe un discorso troppo lungo da affrontare.

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A ciò collegato, Dead End non commette neanche l’errore di rendere Barney un personaggio perfetto, o totalmente buono. Anche lui ha i suoi difetti, come qualsiasi personaggio: il non voler dare a priori una seconda possibilità ai suoi genitori o l’aver lasciato suo fratello minore senza salutarlo propriamente sono solo alcuni. Con lo svolgersi degli episodi dovrà imparare ad accettare questi suoi lati negativi, affrontarli e superarli.

Norma, invece, ha mantenuto la sua originale ansia sociale, che non nasconde un autismo voluto dallo stesso Hamish Steele: lui stesso, da persona autistica, ha voluto immettere le sue esperienze nel personaggio di Norma. Il modo in cui Dead End: Paranormal Park tratta la sua paura di relazionarsi con la gente e la sua condizione psicologica sono trattate con non meno impatto del transgederismo di Barnie. Forse sarebbe piaciuto vederla esplorata di più nel corso degli episodi, dato che essa ha il suo apice nella terza puntata, ma non vuol dire che non ricompaia.

Voci e animazione

Il comparto vocale è stato assai ben gestito, sia in lingua originale sia col doppiaggio italiano. Nel primo insieme sono da lodare le interpretazioni di Zach Barack come Barney, egli stesso un ragazzo transgender, e Emily Osmey come Courtney, la vera star di questa serie, seguita da Alex Brightmann come Pugsley/Temeluco. Nel comparto italiano, invece, sempre per questi ultimi personaggi, impossibile non nominare Nanni Baldini.

Entrambi i cast hanno la loro occasione di brillare nel penultimo episodio, un inaspettato ma ben gradito speciale musical che non ha bisogno di troppe analisi per non rovinare la sorpresa. Basti solo sapere che titoli come You’re my Frankenstein o come Just Some Guy sembrano uscite fuori da Steven Universe.

Per l’animazione dobbiamo ringraziare la Blink Industries, la quale qui ha optato per design semplici, morbidamente tondeggianti e un’animazione dinamica, come con Kid Cosmic. Non raggiunge certo i livelli tecnici di Prosciutto e Uova Verdi, ma è comunque notevole, tenendo sempre conto il target a cui è indirizzato il cartone.

Un’inaspettata sorpresa

Questa prima stagione di Dead End: Paranormal Park è un altro esperimento riuscito da parte di Netflix: trionfa sia come adattamento di una storia poco conosciuta ben voluto dall’autore stesso, sia come buon modo per spiegare una branca dell’ambiente queer ai bambini senza per forza distoglierli da una storia coinvolgente.

È una serie che parla ed è adatta a tutti, con battute capaci di divertire grandi e piccoli, una buona storia, degli ottimi personaggi e una gran passione per creare la giusta rappresentazione nel giusto spazio.

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Veoneladraal

Fin da bambino sono sempre stato appassionato di due cose: i romanzi fantasy e il cinema, passioni che ho coltivato nel mio percorso universitario, laureandomi al DAMS Crescendo hoi mparato a coltivare gli amori per i videogiochi, i fumetti e ogni altra forma di cultura popolare. Ho scritto per magazine quali Upside Down Magazine e Porto Intergalattico, e ora è il turno di SpaceNerd di sorbirsi la mia persona! Sono un laureato alla facoltà DAMS di Torino, con tesi su American Gods e sono in procinto di perseguire il master in Cinema, Arte e Musica.

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