Manga

La mia fuga alcolica, la recensione: la nuova odissea di Kabi Nagata

La mia fuga alcolica - Scappando dalla realtà

12.00
8.2

SCENEGGIATURA

9.0/10

DISEGNO

7.5/10

CURA EDITORIALE

8.0/10

Pros

  • Lo stile unico di Kabi Nagata
  • Dipendenza e malattia affrontati in maniera sincera e diretta
  • Racconta un'esperienza da cui tutti possono trarne qualcosa

Cons

  • Non è un'opera con cui approcciare per la prima volta alla mangaka

Dopo La mia prima volta e Lettere a me stessa, J-Pop ci riporta nella vita di Kabi Nagata con La mia fuga alcolica, il suo terzo manga autobiografico.

Il discreto successo raccolto dalle prime due opere, nonostante gli argomenti tutt’altro che mainstream, ha convinto l’editore italiano a continuare il racconto dell’autrice, che questa volta ci porta nel suo periodo di degenza dovuto ai problemi con l’alcol.
Vediamo quindi se la Nagata è riuscita ancora una volta a scuoterci emotivamente come solo lei sa fare, aprendosi totalmente al lettore e parlando senza peli sulla lingua.

Chi è Kabi Nagata?

Per capire il contesto in cui si inserisce La mia fuga alcolica occorre presentare brevemente la figura di Kabi Nagata. La fumettista giapponese è diventata famosa grazie alla sua prima opera, La mia prima volta – My lesbian experience with loneliness, premiata agli Harvey Awards e ai Crunchyroll Awards come miglior manga del 2018.

Sia in La mia prima volta sia in Lettere a me stessa la Nagata si racconta apertamente, parlando della sua depressione, dei suoi disagi sociali, della solitudine e dell’autolesionismo.
In entrambi i manga veniamo catapultati nella mente dell’autrice e coinvolti in questo turbinio di pensieri ed emozioni negative dipinti con quello stile unico che ha conquistato tanti fan in tutto il mondo.

La mia fuga alcolica è la terza parte del racconto autobiografico della Nagata, che dopo aver trovato quel riconoscimento che cercava da 28 anni e dopo aver vissuto un po’ di fama, si ritrova di nuovo alle prese con molti pensieri negativi e un compagno di vita estremamente pericoloso: l’alcol.

La mia fuga alcolica – Scappando dalla realtà

Conoscendo da tempo le opere della Nagata (Lettere a me stessa e La mia prima volta sono tra i miei manga preferiti, ndr.) la curiosità dietro questa pubblicazione era altissima.
Come suo solito la mangaka parte senza troppi preamboli raccontando di come, da un giorno all’altro, si è trovata su un letto d’ospedale per una pancreatite acuta.

In maniera quasi tragicomica l’autrice cerca di spiegarci come si sia arrivati a questo.
Le ansie delle pubblicazioni e i problemi che già ci aveva raccontato nei due lavori precedenti si erano mischiati creando un preoccupante blocco dell’artista.
La mancanza di idee e l’insonnia avevano portato Kabi Nagata a girovagare per i bar del quartiere, facendole prendere una serie di abitudini pericolose che inevitabilmente l’hanno condotta al ricovero.

Dopo aver bevuto in tre anni quello che, secondo il suo medico curante, un alcolista beve in dieci anni, parte un simpatico diario della degenza in ospedale che ci riavvicina ancora una volta alla mangaka.

Il cambio delle flebo, il menù della mensa, la voglia di dimissione, il rapporto con il personale, sono tutte piccole cose che concorrono a rendere speciale il modo di raccontarsi di Kabi Nagata.
Nel combattere la malattia viviamo tutta l’evoluzione emotiva dell’autrice in ospedale, dai punti più dolorosi alla gioia della dimissione, fino ad arrivare alla sua presa di coscienza finale sul suo stile di vita tutt’altro che salutare che ora si vede costretta a cambiare.

La mia fuga alcolica è per gran parte veramente un diario della degenza, ma nel finale si coglie pienamente il vero senso dell’opera.
Nella prima metà Kabi Nagata narra di tutto quello che le è capitato in ospedale, ma il racconto e l’autoanalisi psicologica sono diversi rispetto alle altre due opere autobiografiche.

Il motivo in realtà è semplice, ed è la stessa autrice a dircelo: il ricovero e la convivenza con la pancreatite risalgono solo ad un anno prima della pubblicazione de La mia fuga alcolica e quindi non tutta l’esperienza è stata metabolizzata a pieno durante la scrittura, cosa che invece aveva caratterizzato l’approfondimento psicologico nei primi due manga.
Ciò che rende unica quest’opera, soprattutto nella seconda parte, sono lo scopo e le circostanze con cui essa nasce.

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Chi ha letto Lettere a me stessa sa bene quanto la pubblicazione di La mia prima volta abbia influenzato il rapporto, già complicato, tra l’autrice e la sua famiglia.
I sensi di colpa per quei manga che l’hanno resa famosa ed apprezzata quasi in tutto il mondo, hanno cambiato la vita lavorativa della Nagata che, nel periodo in cui accadono le vicende di La mia fuga alcolica, è a lavoro solo su alcune storie di fiction.

La mangaka infatti si è colpevolizzata molto per quanto accaduto e aveva deciso di non pubblicare più storie autobiografiche, finendo però per bloccarsi nei suoi lavori in corso e fuggendo dalle preoccupazioni bevendo.
Anche durante la permanenza in ospedale Nagata è consapevole che sarebbe in grado di tirarci fuori un bel manga da questa esperienza, ma si frena dal farlo, evitando pure di prendere appunti.

Solamente qualche tempo dopo la dimissione, quando il suo lavoro torna ad incepparsi e inizia a ricadere in qualche bevuta, arriva l’epifania.
Scorrendo un articolo di Nonoka Sasaki intitolato Il mio corpo è sano ma sono una disabile Kabi Nagata torna finalmente a rendersi conto che rivelare se stessi attraverso le proprie volte è la cosa migliore del mondo e decide dunque di tornare a disegnare la sua vita.

Parte così la stesura di quello che diventerà poi La mia fuga alcolica con una Nagata che ha ritrovato la voglia di creare, beve ancora qualche goccetto ma è maturata ancora una volta e da lettori non possiamo che gioire con lei quando ci confessa che ha iniziato questo libro con il sorriso.

Forse la tempesta emotiva che caratterizza il racconto de La mia prima volta e di Lettere a me stessa rendeva più sconvolgente la lettura dei primi due manga autobiografici.
L’opera d’esordio e il suo naturale continuo sono dei capolavori dell’autoanalisi psicologica in grado di sconvolgere anche la sfera emotiva del lettore e questo elemento è meno presente in quest’ultima uscita, ma è la stessa storia a richiedere approcci diversi.

La mia fuga alcolica è sempre una storia ricca di emotività e approfondimento psicologico della problematica condizione della scrittrice prima e dopo la malattia ma il vero significato emerge nella seconda parte.
A colpirci più di tutto è il cambiamento che vediamo in Kabi Nagata, la forza di reagire in maniera sincera, incappando in errori e ammettendolo sempre, trovando infine una soluzione che non solo l’aiuta ad affrontare il rapporto con la famiglia e il suo lavoro ma ci regala anche questa splendida opera e un piccolo spoiler di quella che la seguirà.

Parlando invece dei disegni, come tutte le opere autobiografiche su di lei, Kabi Nagata racconta la sua fuga alcolica con il suo stile particolare ed unico che l’ha resa famosa.
Gli schizzi veloci che sembrano quasi bozzetti, ma che hanno un significato profondo della sua rappresentazione della realtà e di se stessa, caratterizzano tutto La mia fuga alcolica, nel quale la mangaka sostituisce (su richiesta del suo editor) il rosa da sempre presente nei suoi disegni con l’arancione che, involontariamente, finisce a rappresentare perfettamente la sua sofferenza fisica.

Nonostante lo stile non si discosti tanto dai precedenti, tanti piccoli miglioramenti rispetto al minimal puro di Lettere a me stessa mostrano una costante crescita della Nagata che in quest’opera emergono senza snaturare la filosofia di base. Anche il linguaggio e tante altre scelte stilistiche adottate in questo manga sono figli dei passi in avanti dell’autrice come artista e dell’esperienza maturata in questi anni da professionista.

J-Pop infine non ci delude e porta in Italia un’edizione degna delle sue sorelle maggiori presentandoci un bel volume 15×21 curatissimo assolutamente da non perdere.

Una nuova Kabi Nagata

Al termine della lettura la sensazione che ci lascia La mia fuga alcolica è diversa da quella delle altre opere di Kabi Nagata.
In La mia prima volta la depressione e le difficoltà della vita della protagonista ci toccano nel profondo, mentre tanti temi presentati in Lettere a me stessa sono totalmente riconoscibili e raggiungono il lettore con una facilità disarmante, lasciandolo pieno di domande esistenziali e con molti fazzoletti in mano.

La mia fuga alcolica invece racconta della nascita di una nuova Kabi Nagata, con meno peso dato dai rimorsi per le opere precedenti e con alle spalle una prova difficile come la malattia, la protagonista dell’opera.
Nonostante il coinvolgimento emotivo sia leggermente inferiore rispetto alle opere precedenti la Nagata non si risparmia nel raccontarci la sua vita con la pancreatite acuta, toccando temi importanti e ricorrenti nella sua produzione come la dipendenza e i pensieri sul suicidio con la delicatezza di chi li ha vissuti.

Forse questa non è la miglior opera per approcciare Kabi Nagata, ma La mia fuga alcolica è un racconto imperdibile per chi conosce già l’autrice e che conferma la sua capacità unica di catturare emotivamente il lettore dal primo all’ultimo disegno.

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Matteo Tellurio

Nascere in un paesino umbro ti porta ad avere tanti hobby. Cresciuto tra console e computer, è da sempre amante di cinema, serie TV e musica, nella quale si diletta in maniera molto amatoriale. Anime e manga invece sono il pane quotidiano ma anche lo sport lo appassiona. Crede di aver visto ogni singola disciplina inserita dal CIO alle Olimpiadi.

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