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The Green Knight, la recensione: È solo un gioco

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The Green Knight, la recensione: È solo un gioco 1

The Green Knight

8.5

Scrittura

8.5/10

Regia

9.0/10

Comparto tecnico

7.5/10

Direzione artistica

9.5/10

Cast

8.0/10

Pros

  • Interessante riscrittura del poema epico
  • Significato volutamente ambiguo
  • Visivamente maestoso
  • Arco caratteriale di Gawain magistralmente costruito
  • Doppiaggio italiano sorprendentemente all'altezza

Cons

  • Dispiace non vederlo sul grande schermo
  • In alcuni casi forse troppo pretenzioso

The Green Knight è l’ultimo grande film fantasy postmoderno, approdato su prime video dopo una lunga serie di peripezie che, purtroppo, non l’hanno portato sul grande schermo. Viviamo in anni in cui si è sempre più consapevoli che tutto ciò che doveva essere scritto è stato scritto, almeno per la maggior parte. Perciò rimaneggiare formule abusate in modo interessante o anche solo rielaborare vicende più o meno conosciute della letteratura può essere un modo non meno utile per ottenere un riscontro positivo.

David Lowery, regista del film in questione, l’ha capito e, dopo due film fantastici alle spalle (Pete’s Dragon, remake del classico live action Disney, e A Ghost Story, più incentrato sull’horror), ha voluto rielaborare il poema cavalleresco Sir Gawain e il Cavaliere Verde, non solo apportando modifiche alla storia originale, ma anche immettendovi uno stile assai autoriale, tra il weird e l’onirico, regalandoci quello che, seppur non ci sia stata molta competizione, sia sicuramente il miglior film fantasy dell’anno.

 

The Green Knight David Lowery fantasy film prime video Dev Patel

Si alzi il Cavaliere

Alla corte di un anziano e stanco Re Artù è il giorno di Natale e tutti i cavalieri sono riuniti a festeggiare alla Tavola Rotonda. Tra di loro vi è anche Sir Gawain, nipote del sovrano, il quale si sente in parte spaesato in mezzo a tutti questi eroi, essendo egli un uomo più di mondo dei suoi fratelli di spada, e che per la sua natura meno battagliera non si è ancora guadagnato un vero nome, oltre a quello donatogli dal suo retaggio.

La festa è interrotta dall’arrivo di un cavaliere dalla pelle di corteccia, completamente verde, che sfida i commensali a un gioco: uno di loro, in un duello, dovrà colpirlo in qualunque modo lo desidera, ma a distanza di un anno tale avversario lo dovrà raggiungere alla sua Cappella Verde per farsi restituire il colpo. Sir Gawain, desideroso di provare il suo valore, accetta la sfida e, con la mitica Excalibur prestatagli dal re, mozza la testa al Cavaliere Verde. Il misterioso visitatore, però, raccoglie il suo stesso capo e ricorda al cavaliere il suo appuntamento, cavalcando via ridendo follemente quasi emulando il Cavaliere Senza Testa della Valle Addormentata.

The Green Knight David Lowery film fantasy prime video Ralph Ineson

Passa un anno, Gawain all’inizio non ha alcuna intenzione di intraprendere il viaggio, sia perché non crede alla minaccia del Cavaliere sia perché, probabilmente, ha paura di perdere effettivamente la vita. Le parole del re e, indirettamente, del popolo, fanno però crescere in lui il desiderio di rivalsa, di onore e di obbedienza. Perciò si mette in viaggio verso la Cappella Verde, con un piccolo aiuto datogli da sua madre, la strega Morgana.

Incontrerà così vari personaggi, alcuni lo aiuteranno dopo che Gawain avrà pagato un prezzo, altri lo ostacoleranno e lo porteranno a rischiare la sua stessa vita, altri faranno entrambe le cose, il tutto in una quest che ha il sapore di un percorso di formazione, come in ogni storia fantasy classica che si rispetti, con il focus sulla ricerca di sé stessi, della propria identità e del proprio posto nel mondo.

“È solo un gioco”

Questa frese, sussurrata all’orecchio di Gawain da Re Artù poco prima che inizi il duello col Cavaliere Verde, sembra quasi quel che il regista vuole dire al pubblico prima che il film termini la sua introduzione. Non solo quello che sta per accadere, non solo la svolta di trama, ma l’intera pellicola, l’intero mondo del cinema, dell’arte, delle storie in generale, è solo un gioco. Come in ogni gioco c’è chi si diverte, chi non è d’accordo con alcune regole, chi sa vincere con classe, chi sa perdere con dignità, ma alla fine tutto quanto si riduce alla sperimentazione.

David Lowery ha per l’appunto voluto giocare con la storia, prendere il poema epico e ritrattarlo a suo piacimento. Ognuno può trarre la morale che vuole da qualsiasi storia, in un modo che solo lui o lei può estrapolare, e parallelamente ogni regista può ritrattare un’opera originale, che sia libro, poema, o anche un altro film, come vuole. Ciò contando che sappia metterci il suo stile. E lo stile Lowery, sia narrativamente che esteticamente, dato che lui ne è anche lo sceneggiatore, ha saputo dare alle avventure di Sir Gawain un’interpretazione assai personale, che arriva a trattare temi come la personalità, l’identità e la storia del mondo.

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Partiamo, per esempio, dal cambio di etnia del protagonista: nel poema Sir Gawain viene descritto come il più bello di tutti i cavalieri, dai capelli color del grano. Ma il film non pretende né di raccontare la vera storia né di rispettarne gli archetipi: Sir Gawain è interpretato, magistralmente si aggiungerebbe, da Dev Patel, attore indiano di tutto rispetto, la cui etnia è l’unica, ovviamente a parte sua madre, non caucasica della corte di Camelot. Ciò dona un ulteriore senso di estranietà al cavaliere: forse lo scopo del regista era davvero far sentire al pubblico quel senso di non appartenenza, anche esteriormente.

Inoltre la madre di Gawain, Morgana, è una strega, pratica riti pagani, lontani dalla cristianità che circonda Artù, dalla quale Gawain viene sempre allontanato emotivamente, persino dallo stesso re. Alla festa di Natale Artù fa un discorso apparentemente di elogio verso il nipote, asserendo che a differenza degli altri cavalieri non ha le mani macchiate di sangue. Per questo Gawain uccide, o almeno cerca di uccidere, il Cavaliere Verde? Non solo per provare il suo valore, ma anche per mostrarsi degno dei suoi compagni, dai quali è differente sia interiormente che esteriormente? Ed anche per questo compie il viaggio?

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Eppure, per quanto Gawain si sforzi di adeguarsi alla massa, il suo atteggiamento nei confronti di coloro che incontra è altruista, coraggioso e devoto, qualità che sembrano sempre più smentire il suo desiderio di omologarsi a un mondo di egoistica gloria personale che forse non gli appartiene realmente.

Un fantasy visivo visiva

David Lowery non lascia che la sua retorica sull’identità non etnica di un individuo influenzi l’estetica della sua opera: come già detto, egli imprime il film di uno stile assai autoriale, che rende la narrazione non solo interessante dal punto di vista scritto, ma anche, e forse principalmente, visivo.

Già dal titolo il regista sottolinea l’importanza che i colori avranno nella storia: l’arrivo del Cavaliere Verde a Camelot è un evento ultraterreno, mistico, arcano, perché, come verrà detto successivamente, il verde è il colore della vita, della terra, ma anche putrescenza, della decomposizione. Il verde appare sempre quando il film è nei suoi momenti più climatici, più vicino ad un cambiamento profondo. Probabilmente per far capire che la magia, nel mondo, sta morendo, e il Cavaliere Verde è uno dei pochi elementi arcani che ancora persiste nel mondo ordinario, e al contempo dunque il verde simboleggia la sua rinascita, la primavera magica e caotica nella realtà retta e cristiana che Artù ha fatto di tutto per imporre in Britannia.

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Tale rettitudine è accentuata dal colore blu, del quale sono vestiti cavalieri e nobili: è gioioso ma anche cupo, vivace ma anche ladro di luce. Il giallo è un colore che attira l’attenzione, indica pericolo, fa subito battere il cuore a chi vi è immerso. E’ il verde che perde la sua aura magica e diventa quasi pericoloso. La cappa che indossa Gawain è dorata, è l’emblema della sua nobiltà d’animo e speranza per il suo retaggio, ma tale cappa si sgualcirà, s’intorbiderà, si rovinerà col tempo, perdendo la sua lucentezza allo stesso tempo in cui Gawain perderà le sue certezze.

Allo stesso tempo, parallelamente alle mutazioni caratteriali dei personaggi, oltre ai colori, muteranno anche gli stili di regia: la macchina da presa girerà su sé stessa capovolgendo il quadro come in un film di Shyamalan, o inquadrerà centralmente dei dettagli come in un film di Wes Anderson. Tutto senza che vi vengano date spiegazioni sul perché delle scelte artistiche intraprese. Sin dalla prima inquadratura si percepisce l’alone perturbante, come lo chiamerebbero Freud o Hoffmann, ricco di un simbolismo dal quale spetterà allo spettatore estrapolare i vari significati.

Come rendere reale in fantastico

Non ci si deve aspettare quindi un fantasy d’azione, pieno di pathos e scene sopra le righe: i capitoli nei quali è suddivisa la storia sono lenti, amalgamati, ognuno si prenderà il proprio tempo per esplorare introspettivamente i personaggi ed esteriormente il mondo fantastico che li circonda. Numerose infatti saranno i piani sequenza durante i quali non ci staccheremo da Gawain durante il suo viaggio: cammineremo dove lui cammina, vedremo quel che lui vede e, addirittura, sogneremo quel che lui sogna. Il tutto, molte volte, in lunghi silenzi nei quali il comparto sonoro gioca un ruolo fondamentale: l’accentuazione dei rumori di sottofondo nelle scene più cupe e di suspense, o la musica medievaleggiante durante le scene di calo di tensione

L’elemento fantastico è reso ancora più dagli effetti speciali e visivi: parlando del primo insieme, come non citare il trucco del Cavaliere Verde: a parte forse la mancanza di dettaglio intorno agli occhi, il realismo con cui è stato curato il rivestimento della sua pelle è sorprendente, nonostante il basso budget riservato alla realizzazione del film.

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Sul campo degli effetti visivi la computer grafica per creare la volpe e addirittura i giganti non risulta per nulla finta, fattore aiutato, nella seconda parte, dall’aggiunta di una densa nebbia, che nonostante tutto aiuta a mantenere una sensazione di estraneità.

Le voci italiane

Nota di merito va al doppiaggio italiano, gestito sorprendentemente dalla dalla Scuola di Milano, inusuale dato che ormai è quasi solo a Roma che si doppiano i film. Paolo De Santis riesce a dare a Gawain la giusta dose di rabbia, tristezza, disperazione e onore nei momenti esatti, senza risultare forzato in alcuna battuta, com’è ormai d’uopo in molti doppiaggi streaming. Gianni Quillico ha fatto un lavoro degno di nota nel mantenere la pesantezza sussurrante di Re Artù, e quando parla a voce più alta non compie l’errore di urlare: mantiene la spossatezza gravosa di un re che ormai ha ben poco da dare al mondo. Il buon Gianandrea Muià ha un ruolo secondario ma non per questo poco importante, e quasi non si riconosce per quanto riesce a modulare i toni. Infine, ma forse il più importante, il maestoso Claudio Moneta nel ruolo del Cavaliere Verde. Per quando al voce sia distorta e pitchata, il suo tono lugubre, eppure macabramente cordiale, è di una magnificenza grottesca.

Il gioco dell’arte

Per quanto molti masticatori del fantastico classico, soprattutto delle vicende di Re Artù e dei suoi cavalieri, potrebbero non apprezzare un’ennesima trasposizione di una delle loro più famose avventure, potrebbero rimanere sorpresi di come il postmoderno riesca a rinnovare ancor di più temi che vantano più di mille anni di età. Perché una storia può avere più interpretazioni, più varianti, e nessuna di esse per forza deve essere quella vera. Questo è il potere della finzione, e in questo caso più specificatamente, del cinema: narrare una storia già vista, ma sorprendere comunque le orecchie, la vista e la mente.

In un’epoca in cui si sta passando sempre di più allo streaming e si stanno abbandonando sempre più le sale, è un crimine vedere un’opera così gargantuesca sul semplice monitor di un computer, un televisore o (e qui si va sulla denuncia penale) di un telefono. Probabilmente è questa la più grande, per quanto involontaria, pecca del film, unita forse a una o due scene fin troppo artisticamente pretenziose, ma non per questo fastidiose.

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Come disse il filosofo Gadamer nel suo testo più importante, Verità e metodo, “Il vero e proprio enigma che il tema dell’arte ci pone è proprio la contemporaneità del passato e del presente […]; dobbiamo chiederci che cosa una tale arte in quanto arte porti con sé, ed in che modo l’arte sia un superamento del tempo“. The Green Knight è un film che fa molto di più di raccontarci una storia: ci insegna a imparare di più dalle storie in generale, a superare le barriere del tempo, a giocare con i numerosi significati che un artista vuole esprimere. Forse è questo che voleva dire Artù a Gawain prima che il duello iniziasse, forse è questo che David Loery vuole dirci tramite Artù.

Forse invece era solo una semplice frase in un film e tutto questa recensione è un’esasperante prosopopea di qualcuno che ha voluto vedere troppo. Sta di fatto che, se si vuole dare una propria impressione su uno dei film fantasy più interessanti degli ultimi anni, o semplicemente se ci si vuole godere una buona storia, si dovrebbe andare immediatamente su prime video e accompagnare sir Gawain nella sua avventura. E mi raccomando… occhio alla testa!

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The Green Knight, la recensione: È solo un gioco 2

Fin da bambino sono sempre stato appassionato di due cose: i romanzi fantasy e il cinema, passioni che ho coltivato nel mio percorso universitario, laureandomi al DAMS Crescendo hoi mparato a coltivare gli amori per i videogiochi, i fumetti e ogni altra forma di cultura popolare. Ho scritto per magazine quali Upside Down Magazine e Porto Intergalattico, e ora è il turno di SpaceNerd di sorbirsi la mia persona!
Sono un laureato alla facoltà DAMS di Torino, con tesi su American Gods e sono in procinto di perseguire il master in Cinema, Arte e Musica.

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