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Quante volte, nell’arco della nostra vita, ci è capitato di domandarci quale fosse la fonte del nostro amore nei confronti dei videogiochi? Per un motivo o per l’altro, ognuno di noi è stato segnato in passato da una certa esperienza videoludica che ha fatto breccia nel proprio cuore fino a trasformarla in una vera e propria passione, e che, proprio per questo motivo, non dimenticheremo mai. Per questo, non potremo mai ringraziare abbastanza coloro che hanno creato tali esperienze.
Però, tali sviluppatori non sono altro che semplici persone, e proprio come noi hanno un proprio passato ed una certa storia con il medium in decenni di studio ed impegno, trasportati da passione ed ispirazione.
In questo caso stiamo parlando di Bungie, che ha compiuto il suo trentesimo anniversario della sua fondazione lo scorso 7 dicembre: per celebrare tale traguardo, abbiamo deciso di ripercorrere il suo gigantesco percorso di sviluppo, zeppo di vicende ed evoluzioni che l’hanno resa ciò che è adesso, con gli occhi puntati su Destiny ed uno sguardo al futuro, prossimo e non che sia.
Ecco a voi la retrospettiva sulla lunga e frastagliata storia di Bungie!
Tutto ebbe inizio nel lontano 1990 quando Alex Seropian, un giovane studente dell’università di Chicago che, dopo essersi laureato in matematica, venne spinto dal padre a pubblicare il suo primo videogioco per introdurlo al mondo del lavoro; il titolo rispondeva al nome di Gnop!, rivelatosi un clone di Pong.
Il titolo venne pubblicato in modo indipendente su Macintosh: nei crediti, Alex specificava il fatto che il prodotto fosse gratuito, ed invitava i giocatori a condividerlo con gli amici nonostante il codice sorgente fosse comunque acquistabile al prezzo di 15 dollari.
Nell’anno successivo, Seropian concretizzò la fondazione del suo studio di sviluppo che venne nominato Bungie Software e nell’ottobre dello stesso anno rilasciò sulla stessa piattaforma Operation: Desert Storm, uno sparatutto strategico in tempo reale con visuale dall’alto nel quale il giocatore assumeva il controllo di un carro armato, ambientato in Medio Oriente durante la Guerra del Golfo.
Grazie all’importante aiuto di amici e parenti che addirittura finanziarono in parte il progetto, l’opera vendette un totale di circa 2500 copie, i quali processi di distribuzione vennero gestiti personalmente da Seropian dalla propria camera da letto.
Poco dopo, Alex fece la conoscenza di Jason Jones, un altro studente dell’università di Chicago che si stava laureando in informatica (nello specifico, programmazione e studio dell’intelligenza artificiale), con il quale fece squadra per pubblicare il suo primo titolo commerciale, Minotaur: Labyrinths Of Crete: si tratta di un gioco di ruolo d’avventura composto da combattimenti e fasi di esplorazione che sfruttava alcuni particolari protocolli del sistema operativo Mac per offrire un’importante componente multigiocatore, grazie al quale il gioco riuscì a distinguersi.
Nonostante i continui sostegni economici dei parenti di Seropian (in particolare della moglie), lui e Jones non riuscirono ad ottenere abbastanza fondi per assumere altri collaboratori che potessero aiutarli, e dovettero anche in questo caso gestire personalmente ogni aspetto del gioco.
Eppure, tra i due nacque subito un particolare affiatamento, in quanto riuscivano ad essere perfettamente complementari nella gestione del progetto: laddove Seropian riusciva ad essere abile ed attento nel marketing e nella pubblicazione (arrivò ad autodefinirsi businessman), Jones sfruttava i suoi studi e le sue conoscenze informatiche per programmare e scrivere materialmente il codice di gioco.
Minotaur riuscì ad avere un successo moderato, il che portò i due a voler osare e spingersi oltre, decidendo di voler trasporre il gioco in una versione in prima persona in un mondo di gioco tridimensionale: così, ispirato da Wolfenstein 3D, Jones studiò un modo per programmare un motore di gioco che potesse sostenere le tre dimensioni, lavorando in particolare sulle distanze e sui modelli.
Durante l’operazione però, si resero conto di quanto poco adatta e funzionale sarebbe stata tale versione di Minotaur e decisero quindi di scrivere una storia completamente nuova: così nacque Pathways Into Darkness come quarto effettivo gioco di Bungie, che ci metteva nei panni di un soldato delle forze speciali americane alle prese con antiche divinità e misteriose razze aliene.
Per alleggerire il carico di lavoro di Jones, subentrò nella produzione anche Colin Brant, un amico di Jones che si occupò della resa estetica delle ambientazioni e delle creature,: queste ultime vennero disegnate a mano, scansionate ed inserite manualmente negli ambienti di gioco.
E ancora una volta Bungie fece centro, in questo caso ben più del previsto: Pathways Into Darkness vinse infatti numerosi premi e riconoscimenti tra le riviste specializzate del mondo PC e Mac, arrivando quasi a decuplicare il numero di vendite di Labyrinth e divenendo uno dei giochi più venduti per la piattaforma insieme a opere del calibro di Mist e SimCity, per la prima metà dell’anno.
Ciò diede una tale spinta economica e commerciale ai due che gli permise di assumere un collaboratore di nome Doug Zartman che si sarebbe occupato delle relazioni pubbliche, e di trasferirsi dalla camera da letto di Seropian ad un vero e proprio ufficio, che un certo Martin O’Donnell – che da lì a breve sarebbe diventato il compositore di Bungie – ricorda come un luogo denso di forti odori e particolarmente poco ordinato.
Il successo notevole di Pathways Into Darkness fece comprendere a Bungie quanto importante fosse la narrativa all’interno dei videogiochi, così si misero all’opera per costruire veri e propri microcosmi narrativi per i loro prossimi progetti (che avrebbero assunto la forma di trilogie), e nei loro piani di sviluppo si imposero di riuscire a pubblicare almeno un gioco all’anno.
La prima trilogia fu quella di Marathon, il quale primo capitolo fu inizialmente inteso come sequel di Pathways Into Darkness: infatti, seppur alla fine Bungie finì per creare qualcosa di nuovo, Marathon risultò a tutti gli effetti come un’evoluzione dell’FPS precedente, arrivando addirittura ad essere definito da molti esperti del settore come una risposta su Mac a niente poco di meno che al primo Doom.
Il gioco era ambientato su una nave coloniale spaziale che porta lo stesso nome del gioco: attingendo a canoni fantascientifici abbastanza comuni per l’epoca, il giocatore poteva acquisire informazioni su trama e background narrativo dai vari terminali trovati in giro, che avrebbero inoltre dato informazioni sull’ambiente circostante affinché ci si potesse orientare al meglio, nonostante la presenza della mappa.
Nei due anni successivi vennero pubblicati i due sequel, Durandal ed Infinity, che elevarono la saga ad una delle trilogie di FPS più apprezzate e di successo degli anni ’90. Negli anni successivi Bungie decise di portare Marathon anche su Windows, mossa che indispettiti gli utenti Mac che, come avviene tuttora in molti casi, speravano che tale brand rimanesse esclusivo per le piattaforme Apple e creando quindi già allora una forma di console war.
Per motivazioni legate al setting, al consolidamento degli FPS tridimensionali e per il primo contatto con Microsoft molti pensano che Marathon sia a tutti gli effetti precursore di ciò che sarebbe diventato da lì a breve Halo Combat Evolved.
Ma prima di giungere ad esso vi fu, come detto in precedenza, una seconda trilogia che venne rilasciata tra la fine degli anni ’90 è l’inizio dei 2000: si tratta di Myth, uno strategico in tempo reale con visuale isometrica basato sulla gestione tattica dei soldati in battaglia.
Tutti e tre i giochi – The Fallen Lords, Soulblighter e The Wolf Age – ricevettero un’accoglienza positiva, sia per la stampa specializzata, che definì l’esperienza strategica proposta diversa dal solito, ma soprattutto per i giocatori, che portarono la community online di Myth ad essere una delle più attive di quel periodo.
Nello stesso anno di The Wolf Age venne anche rilasciato Oni, una sperimentale avventura in terza persona ispirata a Ghost in the Shell ed Akira che mischiava elementi di shooting a combattimenti corpo a corpo: seppur l’accoglienza della critica fu altalenante, il gioco riuscì a far parlare di sé e a totalizzare la bellezza di 50.000 copie vendute ad ottobre 2001, il che insieme ai successi precedenti, permise a Bungie di trasferirsi nuovamente, questa volta in un ufficio ben più organizzato e professionale.
Nel frattempo, Bungie aveva iniziato già da qualche anno a lavorare su un altro gioco completamente nuovo: partendo dalla base di Myth, l’intenzione era quella di proporre un nuovo strategico in tempo reale che permettesse al giocatore di zoomare talmente tanto sul campo di battaglia da riuscire a scorgere ogni minimo dettaglio grafico dei modelli delle unità.
Ma proprio in corso d’opera si resero conto del fatto che tali spunti concettuali fossero più adatti ad uno sparatutto in terza persona piuttosto che ad un RTS: così, il 19 giugno 2000 venne annunciato Halo: Combat Evolved, che cambiò nuovamente prospettiva trasformandosi in uno sparatutto in prima persona. Il titolo venne annunciato in esclusiva Macintosh.
Subito però, Bungie prese la decisione di unirsi alla divisione Xbox di Microsoft (dopo aver ricevuto importanti offerte anche da Activision), in quanto stando a Jones e a O’Donnell essa sarebbe stata conveniente in termini di publishing e di sviluppo sulla sua piattaforma console, il che sancì un cambio di pubblicazione ed Halo diventò esclusiva Xbox (Halo venne pubblicato anche su Windows e Mac negli anni successivi).
L’esperienza videoludica offerta dal titolo è qualcosa di cui non abbiamo bisogno di informarci: atterrare sul famoso pianeta ad anello, rimanere incantati dalla sua imponenza e affascinati dalla sua natura misteriosa mentre assieme ai marine superstiti si affronta per la sopravvivenza questa curiosa alleanza di razze aliene (anch’essa estranea all’anello) è un’emozione impossibile da dimenticare, di quelle che capitano davvero raramente di poter vivere.
La memorabile ed evocativa colonna sonora di Martin O’Donnell, destinata a diventare una delle più maestore ed importanti dell’intero medium, si adattava perfettamente alle variazioni di contesto narrativo ed atmosfera, che a loro volta alternavano momenti più scanzonati ad altri ben più cupi e dalle tinte quasi horror.
A tutto ciò si univa un gameplay solidissimo, che tra shooting, varietà di armi, nemici e veicoli riusciva ad essere trascinante e divertente: la possibilità di giocare in cooperativa con un amico in schermo condiviso rendeva tutto ancor più brillante, elemento rimane tutt’ora uno degli spunti di nostalgia più intensi che i giocatori dell’epoca possono ricordare.
Se a tutto ciò aggiungiamo una componente multigiocatore (disponibile tramite System Link) particolarmente ben studiata e competitiva, è facile rendersi conto di quanto il suffisso “Combat Evolved” fosse adatto e coerente con la produzione, specialmente per il mondo console.
Nonostante Halo fosse inizialmente inteso come gioco singolo, lo strabiliante successo che ebbe sia per la critica che in termini di vendite portarono Microsoft e Bungie a voler produrre un seguito, rendendo quindi tale brand una vera e propria saga, che divenne sin da subito colonna portante e bandiera simbolo di Xbox.
Così tutta l’attenzione venne indirizzata proprio su Halo, e le proprietà intellettuali di Myth e Oni vennero vendute a Take Two Interactive.
Purtroppo però tale sovraccarico di ambizioni portarono lo sviluppo di Halo 2 ad essere particolarmente problematico, in quanto vennero messe in ballo troppe idee in modo disorganico e male organizzato: molte sequenze di gioco, cutscenes e dialoghi vennero continuamente riorganizzati e rielaborati nelle fasi avanzate dello sviluppo, mentre altri furono proprio rimossi.
Nonostante tali inghippi, il 9 novembre 2004 uscì Halo 2, e riuscì a bissare lo strepitoso successo del primo capitolo: la trama ebbe una clamorosa ed inaspettata apertura narrativa, che portò quello di Halo ad essere un vero e proprio universo, tra nuovi personaggi, situazioni, ambientazioni, cambi di punti di vista e soprattutto un eccezionale ampliamento della caratterizzazione dei Covenant, che vennero approfonditi dal punto di vista gerarchico, religioso e sociale in un modo che non era mai stato visto prima.
Vennero aggiunti inoltre nuovi nemici, nuovi veicoli e nuove armi con tanto di qualche nuovo spunto di gameplay come la possibilità di rubare i veicoli nemici e di usare le armi leggere in akimbo.
In tutto ciò, anche la componente multiplayer fece numerosi passi avanti in termini di fruizione, quality of life ed accessibilità in particolare grazie all’implementazione dell‘Xbox Live.
Dopo il rilascio di Halo 2, Bungie rivide le sue priorità affinché lo sviluppo di Halo 3 non finisse per diventare altrettanto faticoso e frustrante: così, il team di scrittura, la direzione e le pipeline di lavoro vennero riorganizzate, e i lavori su Halo 3 riuscirono ad essere ben più leggeri e funzionali.
La campagna di marketing fu mostruosa per il tempo, in particolare il trailer Believe e lo slogan “finish the fight” portarono l’hype per Halo 3 alle stelle.
Così, il 25 settembre 2007 Halo 3 fece il suo debutto su Xbox 360, e ancora una volta l’accoglienza fu astronomica: per celebrare l’uscita del gioco molte catene di negozi di elettronica e simili organizzarono un’apertura straordinaria alla mezzanotte del day One, e la partecipazione a ciò fu talmente alta che si crearono lunghe ed interminabili file di appassionati fuori dai suddetti locali attendendo con brama una copia del gioco (divenne storica la foto della prima copia venduta in assoluto che venne consegnata da Bill Gates in persona).
La campagna riuscì ad essere la degna conclusione della trilogia con momenti epici ed intensità narrativa fuori scala, spinti all’ennesima potenza dalla colonna sonora ancor più imponente che in passato, mentre il comparto multigiocatore raggiunse vette di design ed equilibrio di gioco tutt’ora invidiabili.
A completare il quadro ci pensarono due modalità in particolare: la prima è Cinema, che permetteva di assistere al replay delle partite di ogni genere, anche nelle missioni di campagna, con la possibilità di sganciare la telecamera dalla prima persona per assistere dall’esterno a particolari azioni, fare screenshot o semplicemente ampliare la visione degli ambienti e delle mappe di gioco.
La seconda prende il nome di Forgia, ed è letteralmente un editor mappe con il quale i giocatori potevano creare qualsivoglia tipologia di modalità speciali in mappe personalizzate: ciò rese evidente anche la natura prettamente spensierata e divertente del gioco in contrapposizione a quella competitiva, che portò la community a sbizzarrirsi con attività e minigiochi di ogni genere.
Grazie a tutto ciò nacquero persino alcune vere e proprie web series realizzate dai fan realizzate in game a sfondo sarcastico ed umoristico (la più famosa di esse è la leggendaria Red vs Blue).
Per tutte queste motivazioni Halo 3 divenne uno dei giochi più amati del 2007 e quindi, essendo stata quell’annata una delle migliori dell’intera storia del gaming, anche di sempre: poco dopo la sua pubblicazione, venne annunciata la separazione tra Microsoft e Bungie, mantenendo però un certo rapporto di lavoro che portò quest’ultima a lavorare su altri due capitoli della saga.
Il primo fu Halo 3 ODST (inizialmente annunciato come Halo Recon), un vero e proprio spin off ambientato tra Halo 2 e Halo 3 che avrebbe raccontato la storia di un gruppo di ODST impegnati a respingere l’occupazione di New Mombasa da parte dei covenant: seppur anche gli altri capitoli presentavano sequenze horror cariche di tensione, Halo 3 ODST era pressoché totalmente incentrato sulla cupa atmosfera notturna di questa città ormai devastata e sotto il controllo del nemico.
Non essendo più nei panni di Master Chief, vi furono alcuni cambiamenti nel gameplay volti proprio a dare una spinta all’immersione: oltre alla mancanza di un salto ampio e degli scudi energetici degli Spartan, tornarono i medikit da trovare in giro per le strade e venne inserito il visore notturno.
Nonostante la mancanza di un reale reparto multigiocatore, venne comunque introdotta Sparatoria, una classica modalità ad ondate da giocare in cooperativa.
Il secondo fu Halo Reach, un prequel ambientato subito prima degli eventi di Halo Combat Evolved sul pianeta Reach, che seguiva le vicende della squadra Noble, un gruppo di Spartan che aveva la missione di difendere il pianeta dall’invasione su larga scala dei Covenant, i quali ultimissimi frame del gioco corrisposero al prologo di Combat Evolved.
Con la comparsa di una commovente lettera durante i titoli di coda con il quale il team di sviluppo ringraziava la community per il supporto e la passione riposta negli anni in questa saga si concluse l’avventura di Bungie con Halo.
Dopo essere ulteriormente cresciuta in termini di dipendenti ed essersi trasferita nuovamente in un ufficio a Bellevue, vicino Seattle, Bungie attraversò un periodo da studio indipendente nel quale, con il programma Bungie Aerospace provò ad incentivare gli studi più piccoli ed i progetti indie, fornendo loro supporto e risorse tramite la propria piattaforma: purtroppo tale operazione non ebbe tanto successo, in quanto i piani di pubblicazione di questi giochi da parte di Bungie non riuscì ad offrire ad essi e ai relativi team di sviluppo la visibilità che avrebbero sperato.
Subito dopo, venne stipulato con Activision un accordo di pubblicazione decennale per il prossimo loro progetto, mantenendo la proprietà dell’IP: a febbraio 2013 venne annunciato Destiny, la quale uscita era programmata per il settembre dell’anno successivo per PlayStation 3 ed Xbox 360.
Considerato il lavoro svolto con la saga di Halo, vi era estrema curiosità ed interesse da parte dei giocatori nel capire come sarebbe stato il nuovo universo creato da Bungie: pur rimanendo uno sparatutto in prima persona fantascientifico in salsa spaziale, la sua struttura differiva molto da quella di Halo in quanto la base del gioco voleva essere la stessa di un MMO.
Considerata però l’impronta decisamente più action rispetto a quella di ruolo per i canoni del genere, quella di Destiny venne definita come un’esperienza cooperativa a mondo condiviso. Il gioco proponeva quindi un totale di tre classi di guardiani da poter utilizzare con l’obiettivo di combattere l’oscurità e difendere la Luce in diversi pianeti esplorabili, contro varie razze aliene ben differenziate ed in un vasto assortimento di attività da compiere, tra quelle più semplici come la storia principale a quelle endgame, come le incursioni.
Anche in questo caso, Bungie riuscì a creare un universo fantascientifico di un certo spessore, con una lore profonda, personaggi coerenti, tematiche ed ambientazioni suggestive, il tutto spinto ancora una volta da un comparto artistico e sonoro di altissimo livello.
Eppure a differenza di Halo, la storia avrebbe comunque avuto un ruolo secondario affinché venisse dato spazio agli aspetti social, di puro gameplay e alla condivisione dell’esperienza: ci volle veramente poco prima che determinate armi, boss fight, modalità e scenari divenissero iconici.
Con le idee ben chiare, Bungie fece uscire nel corso degli anni successivi numerose espansioni, che mantennero la community di appassionati sempre attiva e rendendo quindi il gioco uno dei primi e più riusciti Game as a Service dell’intero mondo videoludico.
Dopo I Signori del Ferro (ultima espansione di Destiny, uscita nel 2016), venne annunciato Destiny 2 per Xbox One, PS4 e anche PC (su Battle.net) , che avrebbe seguito le linee concettuali e di sviluppo del primo gioco: anche in questo caso tutto andò abbastanza liscio, anche se non mancarono polemiche sulla gestione di contenuti rispetto al prezzo.
Nel 2019 (anche in questo caso, dopo intere espansioni, stagioni e contenuti aggiuntivi di vario tipo) venne annunciata l’interruzione dei rapporti con Activision, che avrebbe smesso di fare da suo publisher per Destiny, che rimase come da accordo di proprietà di Bungie.
In quell’occasione, la piattaforma di riferimento PC passò da Battle.net a Steam e venne pubblicata New Light, versione gratuita del gioco che permetteva ai nuovi giocatori di approcciarsi ad esso senza alcuna soglia d’entrata, mentre le espansioni in uscita rimasero ovviamente a pagamento.
Così Bungie tornò ad essere completamente indipendente, ed avviò un lungo processo di importazione dei contenuti dal primo gioco (attualmente ancora in corso), affinché quella di Destiny finisse per risultare un’esperienza unica e completa senza che vi sia la divisione in capitoli, in favore dell’accessibilità.
A confermare tale volontà ci penso anche Oltre la Luce, espansione principale uscita l’anno scorso (di cui trovate qui la nostra recensione, ndr.), che permise ai guardiani di accogliere l’oscurità ed utilizzarne i poteri a fin di bene: probabilmente, se fosse rimasta sotto Activision, questo sarebbe stato lo spunto base per la produzione di un terzo gioco nuovo, separato e distaccato dai primi due.
Insieme ad Oltre la Luce però, venne applicata una pratica di rimozione di molti dei vecchi contenuti (i primi di Destiny 2) affinché venissero riposti in una sorta di cassaforte, per poi essere recuperati quando sarebbe stato più opportuno: stando a Bungie, tale mossa permise al team di sviluppo di riorganizzare per intero la struttura del software, ripulendo il codice di gioco, alleggerendone il peso dei file e migliorandone la godibilità generale.
Com’era lecito aspettarsi, questa pratica fece storcere fortemente il naso a molti dei vecchi giocatori, che pagarono di tasca propria questi contenuti a prezzo pieno: essendo un’operazione ancora in corso, non siamo ancora in grado di dire se, come e quanto tutto ciò si rivelerà effettivamente funzionale alla godibilità dell’esperienza a lungo termine.
E così arriviamo al giorno d’oggi, a pochi mesi dall’uscita della nuova espansione La Regina dei Sussurri che avrà come protagonista la leggendaria Savathun, sorella di Oryx Re dei Corrotti, mentre nell’attuale Stagione dei Perduti si sta svolgendo in questo periodo l’evento stesso di celebrazione dei 30 anni dalla nascita dello studio, con una serie di eventi, ricompense e riferimenti legate proprio alla sua storia e ad alcuni dei suoi elementi più iconici.
Essendo Bungie sempre stata lungimirante e previdente, i piani futuri per Destiny e i suoi nuovi progetti sembrano già essere stati tratteggiati e definiti, e noi con loro continueremo a seguirne gli sviluppi: chissà, magari capiterà nuovamente tra diversi anni di ricordare ancora questa storia e di tornare a parlare di ciò che ci fece battere il cuore e che ha continuato a farlo per molto tempo.
In questo caso, calza a pennello l’augurio di arrivederci che Bungie riportò sulla famosa lettera di ringraziamento dei crediti di Halo Reach: “We’ll see you starside”, ci vedremo tra le stelle!
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