Con Freaks Out Gabriele Mainetti firma il suo secondo lungometraggio, nonché suo secondo film di supereroi totalmente nostrano, presentato all’ottantaduesima Mostra del Cinema di Venezia. Con soli due lavori alle spalle, il regista romano conferma non solo la sua abilità dietro la macchina da presa e, assieme a Nicola Guaglianone, nella gestione della trama, ma anche come il suo stile, lo stile italiano, sappia guadagnarsi una sua identità internazionalmente riconosciuta anche sul genere fantastico.
Ciò sicuramente non renderà tale film in grado di competere coi cinecomics Marvel in quanto a prodotto mainstream, ma altrettanto sicuramente lo contraddistinguerà in quanto a direzione artistica.
Roma, 1943. Nonostante Badoglio abbia firmato l’armistizio, i nazisti continuano a dominare la capitale italiana col pugno di ferro e a rastrellare le strade in cerca di ebrei e dissidenti. Nel Zirkus Berlin, famoso circo cittadino sotto gestione nazionalsocialista, il direttore Franz, un alterato visionario con sei dita a mano, continua a ricevere immagini dal futuro. Tra fidget spinner, joystick e prossimi processi a Norimberga, scopre che esistono altre persone come lui: mostri, come li chiamerebbe la società, umani dotati di capacità straordinarie che, se sfruttate, potrebbero permettere a Hitler di vincere la guerra.
Tali Freaks sono gli itineranti fenomeni da baraccone del circo Mezza Piotta: Israel, un ebreo illusionista interpretato da Giorgio Tirabassi, Fulvio, un uomo coperto di peli dotato di forza sovrumana interpretato da Claudio Santamaria, Matilde, una ragazza il cui corpo può irradiare energia elettrica interpretata da Aurora Giovinazzo, Cencio, un albino dalla lingua lunga capace di controllare orde di insetti interpretato da Pietro Castellitto, e Mario, un nano dalla mente semplice e dall’organismo magnetico.
Dopo il rapimento di Israel da parte dei nazisti, i quattro dovranno scegliere se tentare di andare a salvarlo o unirsi al Zirkus Berlin per poter sopravvivere, seppur sotto il dominio di un tiranno. Il perno di queste decisioni sarà Matilde, la quale, restia a usare i suoi poteri a causa di un traumatico evento accaduto in passato del quale si dà la colpa, instaurerà un’improbabile alleanza coi partigiani e il loro capo, Gobbo, per salvare Israel e i suoi amici.
Lo spettatore assiduo non ci metterà molto a notare la formula tipica di molti film d’avventura e i tropi ricorrenti in essi: il rapimento, il salvataggio, il climax crescente, l’incontro coi “ribelli” e numerosi altri. Ci troviamo ben lungi dal classico di Tod Browning al quale il film si ispira, un film dove la crudezza e il grottesco regnano sovrani, un ritratto della corruzione morale degli individui che affronta tematiche sociali in maniera molto più “cattiva” e con molte meno pretese di piacere al pubblico. Tuttavia, allo stesso modo di Lo Chiamavano Jeeg Robot, è la messa in scena di tali tropi a rendere Freaks Out un buon prodotto, la resa autoriale in cui gli espedienti sono resi a meritarne la visione.
Il pregio principale del film è quello che gli dà il titolo: i Freaks, i personaggi che permeano la vicenda. Non solo quelli principali, i mostri, ma anche i personaggi secondari hanno una caratterizzazione semplice ma profonda, con un proprio modo di parlare, di relazionarsi con gli altri e di vedere il mondo. La ruvidezza di Fulvio, la paura di far del male di Matilde, l’innata bontà di Mario, il sarcasmo di Cencio e quant’altro, li rendono immediatamente identificabili e aiutano nell’immedesimazione da parte del pubblico.
l regista sa di star girando un film fantastico d’avventura, e per questo non rende le sue creature, in tutti i sensi nei quali questa parola può essere interpretata, troppo complesse, rischiando di renderle noiose.
Ma se è vero che un mostro è tale non da ciò che la società pensa di lui ma dalle sue azioni, è ovvio che le azioni dei Freaks siano accentuate dal loro character design, e ognuno di loro ne ha uno particolare, che permette non solo il veloce riconoscimento del pubblico, ma anche una grottesca, nel senso buono del termine, caricatura di quello che è comunemente conosciuto come “persona normale”. Ognuno di loro, a modo suo, è un mostro, figurativamente o letteralmente. Non solo parlando del quintetto di Mezza Piotta, ma anche, ovviamente, dei nazisti, i quali sono sempre stati i mostri del Secondo Conflitto Mondiale, i veri mostri che tutti temono; vi sono poi anche i partigiani, le quali numerose menomazioni li rendono reietti non solo politici ma anche sociali.
Persino l’antagonista Franz ha un approfondimento talmente ben studiato non tanto da renderci empatici per lui, quanto più da dargli uno spessore che va oltre il macchiettistico. Ciò che fa è comprensibile per ciò che gli è accaduto e per ciò che ha dovuto subire sia dalla società sia da ciò che ha visto coi suoi poteri. Dopo lo Zingaro, è un’ulteriore prova di quanto Nicola Guaglianone sappia lavorare perfettamente con i villains sopra le righe.
Spiace però dire che, per quanto sia un progetto più ambizioso del suo predecessore, Freaks Out potrebbe non definirsi una riuscita migliore di esso. Più carne al fuoco viene messa, più è difficile gestire la resa, e a causa di ciò presenta molti aspetti poco sfruttati e forzature per far andare avanti la storia.
Alcune situazioni, soprattutto nella prima metà del film, sono rese in maniera troppo conveniente per i personaggi: in un determinato momento sono costretti a separarsi per poi, per puro caso, ritrovarsi allegramente in mezzo al Foro. Ma che fortuita coincidenza, si sa che Roma è molto piccola e ci si può trovare facilmente!
Parlando dei personaggi, è doverosa una prima, piccola menzione disonorevole a Irina, per come viene presentato, avrebbe il potenziale per essere la moral compass di Franz, ma alla fine risulta inutile sia ai fini della trama sia allo sviluppo del villain.
In secondo luogo i partigiani, a parte il Gobbo, più che una vera e propria caratterizzazione, hanno dei gimmick, delle stravaganze che, sì, li contraddistinguono, ma null’altro. Basti pensare al Guercio, che a parte la bravura nello sparare e la smemoratezza, non ha molto da aggiungere alla sua costruzione.
Ma il personaggio che più di tutti gli altri avrebbe meritato molto di più, soprattutto dopo il primo impatto, è proprio quello interpretato dalla “musa” di Mainetti, Claudio Santamaria, Fulvio. Come primo impatto si parla proprio dei primi minuti di film, nei quali non spiccica una sola parola: bastano le sue azioni a farci capire che tipo di “mostro” potrebbe essere: può piegare una sbarra di metallo, ma subito dopo lo vediamo intento a leggere un libro, cosa che verrà evidenziata da lui stesso poco dopo, mentre dice che quando era piccolo i libri erano i suoi unici amici. Dunque da lui ci si aspetta un personaggio simile a Bestia degli X-Men, il quale, per quanto abbia una gargantuesca potenza fisica, possiede una cultura che lo porta a preferire il dialogo nelle situazioni difficili e a citare testi che nessuno di coloro che lo circonda capisce. Invece abbiamo un burbero omone che parla in “romanaccio” e che si lascia andare a ululati e alcune delle scene più violente del film.
Spostandoci sul lato tecnico, gli effetti speciali rendono molto meglio di quelli visivi, non che i secondi siano brutti (almeno per la stragrande maggioranza) ma vedere la gestione a mano del trucco e del parrucco, delle scenografie sia della Roma degli anni ’40, del fatiscente campo dei partigiani nella foresta e delle loro improbabili armi convenzionali aumentano la sensazione di realismo magico, di veridicità della fantasia, nonostante stiamo assistendo ad una palese storia di supereroi sgangherati.
Parlando della computer grafica, l’effetto migliore è probabilmente il potere di Matilde: esso è mostrato come una sorta di fuoco che cresce e che arde le sue viscere, mettendo in risalto le ossa e le vene. Una trovata interessante, al posto di prevedibili scariche elettriche che potevano scaturire dal suo corpo.
Gli unici effetti ad avere un cenno di palese finzione sono, se cosi si piò dire, fortunatamente già visti nel trailer: gli scarafaggi che, comandati da Ciencio, a un tratto formano la svastica sul pavimento, e la scena in cui i personaggi vengono sparati da un cannone. Non che siano orribili, ma potevano essere resi meglio.
Seppur probabilmente il suo precedente lavoro è destinato per ora a rimanere anche il suo miglior operato, Freaks Out è comunque un film interessante e bello da vedere, con una morale sicuramente già vista e forse qualche espediente forzato, ma con una resa più che promossa, personaggi adorabili, persino quelli negativi, e soprattutto tanto amore per la fantasia.
Non solo per aver scaldato il cuore del pubblico a Venezia, non solo per il successo raggiunto come sola seconda opera di un autore, ma soprattutto perché sta mostrando al mondo che anche l’Italia è capace di avere successo creando film “fantastici” a modo suo, Freaks Out è un film da vedere. Così come non dovremmo aver paura dei “mostri”, almeno come ci sembrano a prima vista, non dovremmo aver paura di andare al cinema ad assistere alle loro potenzialità.
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