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The Monster Maker, il film perduto di Stan Lee e Alain Resnais

The Monster Maker e la frustrazione di Stan Lee

Siamo nella prima metà degli anni ’70 e la Marvel Comics stava attraversando un periodo di crisi.
Stan Lee, già uomo-immagine della casa editrice, venne invitato dal Dipartimento di Stato per la Salute, l’Educazione e la Pubblica Assistenza a pubblicare una storia sull’abuso di droghe nei fumetti.
Grazie all’aiuto di Chip Goodman, convinse il padre di quest’ultimo, Martin, capo e fondatore della casa editrice, a dare alle stampe tre numeri di The Amazing Spider-Man (96, 97 e 98) in cui il compagno di stanza di Peter Parker, Harry Osborn, diventava dipendente da sostanze stupefacenti.
La storia fu un successo, ma anche un vero e proprio caso editoriale, in quanto venne pubblicata senza l’autorizzazione del Comics Code Authority, il codice di autoregolamentazione dei fumetti americani che vietava, tra le altre cose, qualsiasi rappresentazione dell’uso di droghe all’interno degli albi.
La copertura mediatica ottenuta dalla storia costrinse l’Authority (non quella di Warren Ellis) a modificare le proprie regole, rendendole molto meno stringenti.

Questa battaglia vinta ebbe però un effetto particolarmente duro sul morale di Stan Lee, che già da molto tempo aveva cominciato a detestare l’industria dei fumetti, destinata, a suo dire, inevitabilmente al fallimento.
Il sorridente cercò quindi di sondare terreni diversi, avvicinandosi a quello che era da sempre il suo più grande sogno: sfondare nel mondo del cinema.
Si rafforzò quindi la sua amicizia con Alain Resnais, il regista di acclamati film dal notevole spessore artistico come Hiroshima Mon amour e L’anno scorso a Marienbad, che era, come Federico Fellini prima di lui, un devoto fan della Marvel Comics.
A differenza di Fellini, però, Resnais non voleva soltanto porgergli i propri omaggi, voleva anche collaborare a una sceneggiatura (oltre a voler dirigere un film di Spider-Man).
Da questa collaborazione venne fuori The Monster Maker (da con confondere con il The Monster Maker di Sam Newfield del 1944), un fantasy realistico ambientato a Rat Island, una piccola isola nell’East River, dove tutto l’inquinamento di New York si sarebbe accumulato, formando un mostro gigantesco.
Il protagonista del film era un produttore cinematografico frustrato che supera la propria insoddisfazione cercando di risolvere il problema dell’inquinamento.

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Visto che il personaggio principale era un creatore di cultura-spazzatura spinto dalla moglie a cercare uno scopo più nobile, era difficile non considerare The Monster Maker come un’opera autobiografica.
Forse Stan Lee vedeva il suo percorso proprio in questi termini: un uomo passato dalla produzione di materiale di scarso valore a un ruolo onorevole nel mondo e a parlare dei mali della società, anche se il sorridente ha sempre tenuto a precisare che la tematica ecologica era tutta farina del sacco di Alain Resnais.
Al fine di poter dedicare più tempo alla scrittura di The Monster Maker, Stan Lee si prese, per la prima volta nella sua vita, un periodo di pausa dai fumetti.
Quella pausa fece molto bene alla Marvel, la quale diede maggiore spazio a scrittori molto migliori del sorridente sulle varie testate, come Roy Thomas, Archie Goodwin, Gary Friedrich e Gerry Conway.

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Al vecchio Stan non andò invece così bene: sebbene ne avesse definito il processo creativo come “emozionante”, il soggetto di The Monster Maker, venduto per 25.000 dollari, non divenne mai un film.
La casa di produzione che lo acquistò volle apportare diversi tagli allo script, i quali vennero approvati da Lee, ma rifiutati in tronco da Resnais, portando così alla morte del progetto.
Dopo la pausa, Stan Lee ritornò alla Marvel con la coda tra le gambe, e la trovò al top, con tanto di articolo di Rolling Stone (sulla cui copertina campeggiava un disegno di Hulk) a certificarlo, causandogli una ulteriore botta al morale.
Dopo The Monster Maker, non scrisse mai più una sceneggiatura per il cinema.

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Per sua fortuna, qualche decennio più tardi avrebbe realizzato comunque il suo sogno di diventare una star del cinema, performando innumerevoli cameo in film tratti da personaggi creati per lo più da altri di cui lui si era sapientemente appropriato.

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Vittorio Pezzella

Cercò per lungo tempo il proprio linguaggio ideale, trovandolo infine nei libri e nei fumetti. Cominciò quindi a leggerli e studiarli avidamente, per poi parlarne sul web. Nonostante tutto, è ancora molto legato agli amici "Cinema" e "Serie TV", che continua a vedere sporadicamente.

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