I Mitchell contro le macchine recensione: gli anni 2000 spiegati a grandi e piccini

I Mitchell contro le macchine

8.2

REGIA

7.5/10

SCRITTURA

8.0/10

CAST

7.5/10

COMPARTO TECNICO

10.0/10

DIREZIONE ARTISTICA

8.0/10

Pros

  • Divertentissimo
  • Animazioni sopra le righe d'impatto
  • Un ottimo utilizzo delle ispirazioni
  • Messaggio veicolato molto bene

Cons

  • Alcune imperfezioni nella logica della scrittura
  • Qualche moralismo di troppo e troppo diretto

I Mitchell contro le macchine (The Mitchells vs the Machines) è l’ultimo film d’animazione approdato su Netflix il 30 aprile. Una storia dalla scrittura e dai messaggi molto semplici, ma che punta a un genuino divertimento per il pubblico.

Netflix, animazione e robot impazziti. Un connubio indissolubile sin dal primo progetto di lungometraggio animato della piattaforma in rosso e nero.

Prodotto da Sony e Columbia Picture animato da Sony Animation Studios, il film è diretto da Michael Rianda, già veterano della serie Gravity Falls, alla sua prima esperienza con un lungometraggio animato, scritto dallo stesso Rianda e da Jeff Rowe. Il film ha una durata di 1 ora e 50 min ed è realizzato in 3DCGI con inserti di animazione tradizionale.

Trama

La giovane Katie Mitchell è una ragazza di 18 anni in procinto di iniziare il college, per sua stessa ammissione una tipa strana, creativa, ma con una punta di stramberia che non le permette di legare granché con i coetanei. La sua passione per il cinema la portano a girare piccoli cortometraggi fatti in casa con protagonista il suo cane Mochi, aiutata da suo fratello Aaron. Purtroppo la sua passione non è supportata dai genitori, che sembrano non capire le sue passioni e il suo modo di pensare, specialmente suo padre Rick Mitchell, uomo dalle mille risorse e amante della vita all’aria aperta, sempre preoccupato che la figlia possa non riuscire a concretizzare le proprie passioni.

Katie viene ammessa al college dove può finalmente studiare cinema e conosce online altri ragazzi iscritti al suo stesso corso con cui riesce a legare velocemente grazie agli interessi che li accomunano, un’esperienza nuova per Katie che sente di avere per la prima volta trovato un gruppo a cui appartenere.

Il giorno prima della partenza per il college, Katie e Rick litigano e per riparare al torto, Rick decide di organizzare un viaggio dal Michigan alla California in macchina con tutta la famiglia, iniziativa che procura a Katie solo un immenso fastidio.

Il viaggio di famiglia viene interrotto quando in tutto il mondo le macchine della multinazionale Pal, monopolita del settore, si ribellano all’uomo sotto la spinta dell’assistente elettronico privato del presidente della compagnia, che decide di intrappolare tutti gli umani e mandarli nello spazio per creare un nuovo mondo dominato dai robot.

La famiglia Mitchell, scampata alla cattura, dovrà attrezzarsi al meglio delle proprie possibilità per salvare il mondo da questa minaccia.

Scrittura e Regia

Come detto in precedenza, I Mitchell contro le macchine è una storia semplice dalla struttura altrettanto semplice: un ferreo sistema in tre atti che da sempre sicurezza quando c’è da raccontare una storia semplice e infarcirla di qualsiasi cosa si voglia.

Al netto di una struttura classica ferrea, la scrittura di tutto il resto della storia è fatto molto bene. Avendo come punto focale il rapporto tra Katie e Rick, loro sono i personaggi maggiormente caratterizzati della pellicola, entrambe le loro personalità eccentriche sono sviscerate nel corso del film in maniera ottima. Per quanto riguarda Katie, la sua caratterizzazione viene sviscerata nel giro di cinque minuti all’inizio della pellicola per dare modo al pubblico di avere subito ben chiaro in testa il tipo di protagonista che si troverà davanti, mentre per Rick viene preso molto più tempo per approfondirlo, cosicché gli spettatori possano seguire di pari passo il percorso che porta Katie a scoprire le molte sfaccettature di suo padre oltre a quella del vecchio rompiscatole che ha nella testa.

Linda e Aaron Mitchell non sono da meno, anche loro hanno sottotrame interessanti che permettono ai loro personaggi di far valere la propria caratterizzazione. Linda ricalca e amplia di molto il carattere stereotipico della mamma sensibile e paciera, ma ossessionata dall’immagine della famiglia che confronta costantemente con quella perfetta dei loro vicini di casa. Aaron invece è una gag su gambe… un’ottima gag su gambe; come stramberia è al pari degli altri membri della famiglia, ma risalta perché non ha un vero e proprio motivo per essere strano, è solo un bambino molto timido, fissato coi dinosauri e dal panico facile che rende le sue gag molto divertenti.

Se la caratterizzazione della famiglia Mitchell può apparire semplice alla superficie, ognuno di loro risulta concreto, un personaggio a tutto tondo, pieno di sfaccettature. Va leggermente peggio coi personaggi di contorno, reclusi al loro ruolo di personaggi secondari privi di qualsivoglia importanza, da Mark Bowman, il presidente della Pal, ispirato ai giovani presidenti di colossi informatici della Silicon Valley, senza nessunaltro approfondimento; ai vicini Posey, che sembrano e sono lo stereotipo della famiglia perfetta sempre sorridente e soddisfatta che Linda vede su Instagram, fino ai due robot che seguono i Mitchell nella loro avventura, la cui sottotrama è piuttosto dimenticabile e servono solo come pretesto di trama per far scoprire ai protagonisti come sconfiggere il cattivo.

La comicità è il fiore all’occhiello del film. I Mitchell contro le macchine è pieno in ogni momento di gag spassosissime, studiate nei minimi dettagli per essere più buffe possibile, una comicità certamente infantile, ma che anche i ragazzi più grandi non faticheranno a trovare molto divertente.

Tutto quello che succede in I Mitchell contro le macchine è esilarante, dalle espressioni dei personaggi alle loro reazioni, ai buffi paragoni che Katie fa di quelle reazioni, con un massiccio utilizzo di meme, esoressioni gergali di del web 2.0, dei social network, sia nel senso buono che in quello ridicolo. Un lavoro di scrittura eccellente dato che nessuno degli inserimenti risulta forzato, ma tutto concorre ad aumentare il divertimento della strampalata, folle avventura della famiglia Mitchell.

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Disegni e animazioni

La 3DCGI di Sony ormai la conosciamo: disegni precisi e colorati, capaci di modellare personaggi credibili e ben riconoscibili, ma con una fortissima impronta surreale che da modo ai personaggi stessi di contorcersi e rimodellarsi come quelli di un vecchio cartoon, in aperto contrasto con quelli di una Pixar che cercano al meglio delle proprie possibilità di mantenere dei personaggi umani fedeli al reale e col massimo dettaglio possibile.

Per I Mitchell contro le macchine si è optato per una via di mezzo: i Mitchells, pur nelle loro forme cartoonose si muovono in un modo tutto sommato realistico, se non fosse per i continui sballottolamenti in qua e la che li lasciano praticamente illesi. Per contro è tutto quello che li circonda a muoversi un sacco. I robot di Pal non brillano per estro creativo (soltanto due modelli), ma sono molto simpatici da veder muovere per terra e per mare, le loro battute sono buffe e vederli distruggersi o andare in avaria molto divertente.

Una parte importante dell’estetica di I Mitchell contro le macchine la fanno gli inserimenti di animazione 2D di disegni a mano molto raffazzonati per accentuare alcuni momenti particolarmente d’impatto come se fossero video MLG. Quando una macchina fa una manovra fuori di testa, quando la protagonista urla al mondo il proprio disappunto e in altri momenti della pellicola appaiono questi disegni animati in maniera tradizionale e low frame che enfatizzano i momenti in maniera ridicola, ma perfettamente in linea con il resto del film.

Per concludere

I Mitchell contro le macchine non è un film perfetto, non ci prova neanche a esserlo, alcune sottotrame sono trascurate, gli eventi accadono molto velocemente, a volte troppo velocemente, e alcuni dettagli di sceneggiatura non sono stati curati abbastanza, per esempio ci sono due momenti in cui un personaggio appare in un posto e in un momento in cui non poteva fisicamente essere, ma per contro non ricordo un solo momento durante la visione in cui non stessi ridendo di gusto.

Raramente, specie negli ultimi tempi, ho visto così tanto cuore messo da un regista nel suo film. Michael Rianda è riuscito a costruire un film con sull’importanza dei legami e del senso d’appartenenza utilizzando uno schema semplice, ma tanta creatività e voglia di far passare un messaggio tra mille risate.

I Mitchell contro le macchine è un prodotto marcatamente indirizzato a famiglie con ragazzini, anche molto piccoli, che possono essere intrattenuti dai momenti divertenti e le strampalate avventure della famiglia Mitchell, dai dialoghi sopra le righe e volutamente buffoneschi, ma sa essere di intrattenimento anche per ragazzi più cresciuti, specie quelli che hanno vissuto l’infanzia nella prima decade degli anni 2000.

Nella pellicola compaiono alcuni elementi tipici del periodo 2000-2010, come i Furby e la presenza nella colonna sonora della hit Dragostea Din Tei, nella sua versione cantata da Rihanna Live Your Life. Non mancano poi le citazioni ai film d’azione di quel periodo che permeano tutta la pellicola.

Il punto di forza principale di I Mitchell contro le macchine è di essere perfettamente a passo coi tempi. La comicità portata in scena richiama ottimamente l’evoluzione del web 2.0, nella sua accezione di possibilità di emergere con i propri mezzi, incarnata dai cortometraggi di Katie, come in quella più ridicola, con i suoi video nonsense che diventano virali.

Il film riporta anche, si in maniera parodica, ma abbastanza calzante, i problemi di tutti i giorni derivanti dalla rivoluzione digitale: l’ossessione di apparire, l’incapacità o reticenza dei genitori più tradizionalisti di abituarsi ai tempi che cambiano e di capire le nuove generazioni di nativi digitali, e infine la perdita di comunicazione diretta.

Ogni aspetto della storia viene esplorato a 360 gradi, da molteplici punti di vista, e non risulta mai ne idolatrato ne ridicolizzato… solo espresso in maniera buffa.

I momenti che mi hanno lasciato più perplesso in tutto il film sono quelli in cui i personaggi bucano la quarta parete lanciandosi in frecciatine e morali sulle aziende di ambito tecnologico e la loro malafede delle loro operazioni, lasciando per un attimo la maschera dei personaggi di un film e lasciando trasparire il pensiero del regista. Personalmente non amo queste scelte in scrittura, ma va a gusti.

I più adulti tra voi potrebbero ritenere troppo infantile I Mitchell contro le macchine, ma mi sento comunque di consigliarlo. Il film è ottimo da vedere in compagnia e per tornare ragazzini, dato che chiunque dai 30 anni in giù potrà sicuramente immedesimarsi nei problemi della giovane Katie, nella sua voglia di esprimersi e di essere accettata. I più grandi invece potranno riconoscersi in Rick e Linda e nel loro impegno nell’inseguire le idee delle nuove generazioni pur non capendole del tutto mentre cercano di insegnare loro valori imprescindibili in qualsiasi periodo storico.

Appunto di fine recensione: consiglio di non skippare subito i titoli di coda del film o vi perderete la meravigliosa dedica di Michael Rianda alla propria famiglia che da sola vale quanto il film stesso.

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Riccardo Magliano

Ciao gente! Sono Riccardo Magliano, classe 1995, originario di Pontedera (PI), ma di stanza a Bologna per motivi di studio. Sono laureato in triennale al DAMS al momento studio per diventare sceneggiatore cinematografico. Sono grande appassionato e estimatore di prodotti d'animazione, dalle serie, ai lungometraggi, ai corti, l'importante é che raccontino qualcosa (cosa non sempre indispensabile perché tra i miei film preferiti c'é Fantasia). Qui su Spacenerd mi occuperò di recensioni e approfondimenti su tutto ciò che concerne l'animazione, specie quella occidentale, più e più volte colpevolmente trascurata dalla massa di fanatici di anime. Grazie a tutti per l'attenzione e buon divertimento

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