Raya e l’Ultimo Drago, approdato su Disney Plus, è il cinquantanovesimo classico d’animazione dell’omonima casa di produzione, nonché il loro nuovo tentativo, dopo Moana, di introdurre una principessa non presente in un contesto europeo.
In un mondo diviso in cinque nazioni ormai da anni divise e minacciato da degli esseri oscuri chiamati Druun, che tramutano le persone in pietra, Raya, principessa del regno del Cuore, deve recuperare tutti i pezzi della Gemma Drago per riportare la pace a Kumandra. Per farlo dovrà chiedere aiuto all’ultimo drago rimasto: Sisu.
Tuttavia sembra che Sisu non sia la creatura grandiosa che tutti dipingono: è inesperta e impulsiva, e a Raya servirà l’aiuto di più persone per riunire i regni che compongono le coste del fiume a forma di drago: Zanna, Artiglio, Cuore, Dorso e Coda. A intralciare i suoi propositi sarà Namaari, principessa di Zanna, che anni prima aveva tradito la fiducia di Raya e compromesso il suo rapporto con le persone.
A prima vista non possono non saltare all’occhio le diverse similitudini con un’altra serie fantasy di non poco successo: Avatar: L’Ultimo Dominatore dell’Aria, soprattutto per quanto riguarda l’ambientazione orientale e le il tema delle nazioni in conflitto tra loro che devono essere riappacificate. Tuttavia il modo in cui la trama viene introdotta e sviluppata non sembra per nulla cadere nel rip off, quanto più in una semplice presa di ispirazione per la creazione di qualcosa di più personale.
Il worldbuilding è paradossalmente sia un pregio che un difetto del film: è interessante nominare ogni regno come una parte del fiume a forma di drago e affidare ad ognuno di essi una propria cultura, arte e società, dettate da stili di vita differenti e variegati. Sembra quasi di vedere un film tratto da un romanzo di Brandon Sanderson, per quanta immaginazione vi si è messa. Ciò è reso ancor più interessante per il fatto che per ogni regno corrisponde un tipo di cultura dell’estremo est dell’Asia, principalmente l’area indonesiana.
Al contempo, però, nessuna di queste nazioni viene esplorata a fondo, il film riesce appena a grattare la superficie, vediamo solo un breve assaggio di questi esotici setting. Se al film fosse stato aggiunto un quarto d’ora in più, arrivando così a durare due ore pulite, forse avremmo avuto il tempo di godere di più di tali regni. Si sa, però, quanto siano ristretti i tempi degli scrittori e le deadlines della Disney non lasciano troppo tempo per approfondire certe questioni. Basti guardare la docuserie su Frozen II su Disney Plus per capire quanto siano ristrette le tempistiche degli scrittori. Visto quel che hanno fatto con così poco tempo è senz’altro lodevole.
La speranza ormai più plausibile è quella di vedere una serie animata ambientata in questo mondo, più avanti. Visto il lavoro che hanno fatto con Rapunzel: la serie e le serie annunciate di Moana e La Principessa e il Ranocchio, c’è ancora la possibilità di tornare a esplorare Kumandra in maniera più approfondita.
Inoltre, in un’ambientazione così medievaleggiante e lontana dal nostro tempo e dalla cultura occidentale, stonano non poco certe espressioni eccessivamente moderne, come l’essere una “drago nerd”. Fortuna che non vengono ripetute più di un paio di volte.
I personaggi secondari, principalmente il gruppo che accompagna Raya nel suo viaggio, sono tutti sfaccettati e ben caratterizzati: ognuno ha un proprio modo di parlare, di muoversi, di relazionarsi con gli altri e un passato differente che li spinge a cercare di salvare il mondo. Peccato non si possa dire la stessa cosa del resto del cast: molte entrate che presagivano un ruolo importante sono state abbandonate o lasciate al caso. Tale pecca poteva essere risolta probabilmente col già citato allungamento della pellicola.
A ciò collegato, e dispiace dirlo, Raya è forse il personaggio meno interessante tra quelli principali. Non tanto per il suo scopo, il suo carattere, ma per la sua incoerenza. All’inizio del film viene spiegato il perché lei non voglia, anzi, quasi non debba fidarsi di nessuno, lo dice anche lei stessa più volte.
Tuttavia quel che fa nel corso della sua avventura è il contrario: si fida e si apre troppo alle persone che incontra. Sarebbe stato più interessante da vedere una Raya chiusa, cinica e determinata all’inizio che però impara a schiudersi e ad ammorbidirsi man mano che si relazione con chi gli sta intorno. Sarebbe stato anche un modo migliore per approfondire il conflitto tra lei e Sisu.
Sisu è infatti il personaggio più interessante del film: il suo essere estroversa, emotiva, amichevole è adorabile a guardarsi. Non è da meno nella sua forma umana: le sue espressioni facciali sono nettamente più esagerate e quasi caricaturate rispetto al resto dei personaggi.
L’antagonista, Namaari, è stata ben costruita, le sue motivazioni risultano credibili nel contesto in questione, seppur i suoi mezzi non siano condivisibili, com’è d’uopo per ogni buon villain. Si può quasi dire che l’intero film giri non solo sulla ricerca della Gemma Drago, ma sul triangolo caratteriale tra lei, Raya e Sisu: ognuna di loro ha un modo di fare, un modo in cui l’una vede l’altra. La distanza tra questi tre diversi punti di vista è il motore che manda avanti la vicenda e viene ben approfondita nel corso della trama.
La suddetta trama si sviluppa con la formula Disney che tutti noi conosciamo, ma che non dà ancora fastidio, almeno non quanto il precedente Frozen II. La morale che si vuole insegnare, pregna certo della classica bontà della Disney, non risulta né forzata né eccessivamente mielosa, ma pare proprio prendere spunto dalle filosofie orientali di unione e di armonia tra diverse forze, in un modo che sia giovani che adulti possano comprendere, proprio come fece il già citato Avatar.
L’animazione è spettacolare, la fluidità dei movimenti, degna dei migliori prodotti dell’azienda, è unita all’incredibile attenzione ai dettagli, seconda solo alla Pixar, che siano i movimenti dei capelli, il fotorealismo dell’acqua o anche una goccia che cade su una roccia e la inumidisce. Il character design punta sul realismo, rendendo i personaggi delle vere e proprie “persone in computer grafica” e non delle caricature delle stesse, com’è solito nella maggior parte dei prodotti animati, anche della Pixar, ma questa è una semplice scelta artistica.
La mancanza effettiva di canzoni non disturba affatto la visione, sia perché contribuisce a dare al film un’impronta più seria sia per la presenza una colonna sonora spettacolare, caratterizzata da delle track ricche di cori che accentuano il tono epico del film. Per questa dobbiamo ringraziare James Newton Howard, che ha già lavorato per la Disney “avventurosa” creando le musiche di Atlantis e Il Pianeta del Tesoro.
In poche parole, Raya è l’Ultimo Drago è un buon film. Non uno dei migliori della Disney, ma di sicuro migliore dei suoi due più recenti, mediocri prodotti, in grado di rivaleggiare con Moana. Una buona storia fantasy che sarebbe potuto essere ottima se fosse durata di più e si fosse applicata maggiormente nell’esplorazione di un mondo molto affascinante che non riesce a dare il suo massimo a causa del poco tempo a disposizione. Un buon trampolino di lancio per i prossimi film Disney, che stanno sempre più uscendo dai confini del Vecchio Continente per esplorare nuove idee.
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