Se hai aperto questo articolo, probabilmente sei un curioso novellino del mondo degli esports, o magari una persona molto informata alla ricerca di piccole realtà in giro per il mondo e soprattutto nel nostro stivale. In entrambi i casi, sei nel punto giusto.
Quindi benvenuto, giovane astronauta: sarò il tuo Cicerone nel mondo grande e dispersivo degli esports, qui con la speranza non di colmare tutte le tue lacune, ma di riempirti di curiosità e farti fare le tue ricerche per scoprire di più su una delle realtà più giovani e vibranti attualmente nel mondo.
Gli anni ‘80 sono famosi, tra le altre cose, per l’estrema popolarizzazione dei videogiochi Arcade. Il capostipite di quella che ora viene conosciuta come la “Golden Era” dei giochi arcade fu Space Invaders. Definirlo il fenomeno del tempo è semplicemente riduttivo. Difatti, leggenda vuole che il lancio di Space Invaders in Giappone fu talmente incontrollabile che si ebbe uno shortage di monete da 100 yen (utilizzate per giocare ai cabinati ai tempi).
La popolarità del gioco in oriente rese naturale l’esportazione di questo in occidente: negli USA si ebbe una vera e propria febbre del gioco per Space Invaders. I soldi continuavano ad arrivare, i giocatori continuavano a migliorare e gli high scores continuavano a salire. Fu estremamente naturale per Atari, il colosso dei videogiochi dell’epoca, trovare un modo per lucrare ancor di più sul gioco.
Ed ecco che nel 1980 fu annunciato lo “Space Invaders Tournament”, un evento chiuso agli statunitensi che attirò più di 10.000 partecipanti del nuovo continente. Lo “Space Invaders Tournament” è storicamente considerato non solo come la prima competizione videoludica di larga scala nel mondo, ma come il motivo per la quale i videogiochi divennero da quel decennio non solo un hobby più popolare, ma un vero e proprio sport.
Il torneo di Space Invaders non fu solo il primo evento esports di sempre, ma fu anche il primo in cui il vincitore fu una donna: Rebecca Heineman.
Spianò la strada ad altre grandi compagnie, come Nintendo (che dalla sua ha il triste destino di far chiamare a tutti i genitori del mondo una qualsiasi console con il suo nome per gli anni a venire ndr.), ad altre grandi competizioni. Ma dovremo aspettare la fine del decennio, con la competizione basata su Netrek, per avere il primo evento Multiplayer ed Online della storia.
Negli anni ’80, inoltre, fu fondata Twin Galaxies, una associazione che aveva ai tempi lo scopo di girare gli USA per raccogliere e registrare i vari High-Score dei cabinati in un personale libro dei “Guinness”. Oramai è famosa molto più nella scena dello speedrun.
ID Software ha il merito di aver creato il plasmato FPS ad inizio anni ’90 con Wolfenstein 3D (1992) e lo hanno perfezionato grazie a Doom 1 e 2 (1993-94). Negli anni ’90 non esisteva il termine FPS; giochi di questo genere erano noti come “Doom-clone/Doom-like“. La casa di sviluppo, inoltre, ha lavorato per creare il primo vero gioco improntato solo ed esclusivamente al multiplayer e alla competitività: Quake.
Quake fu, dal punto di vista tecnico, un capolavoro, e non solo: offriva tutto quello che si ritiene oggi normale in un FPS, tra cui diverse mappe multiplayer (strutturate su più livelli), spawn di armi con timer specifici (non solo shooting, ma anche ricordare i pathway), una quantità di nemici da “fraggare” (sinonimo di “killare”) resa potenzialmente infinita grazie all’utilizzo di internet. Così come per Space Invaders, i giocatori cominciarono un cammino che li portò a diventare atleti, rendendo il dubbio del primo torneo di Quake non un “se”, ma un “quando”.
Nel 1997, ID Software organizzò quello che ad oggi è considerato il primo vero torneo esports moderno: il “RED ANNIHILATION“. Oltre 2000 partecipanti si sfidarono online per poter essere nella top 16 del mondo e volare ad Atlanta per potersi sfidare in una serie di 1vs1 per avere il titolo di campione ed il primo premio: una Ferrari 328 GTS.
Fu Dennis “Thresh” Fong ad ottenere il titolo di campione, e ad essere riconosciuto come il primo “pro-gamer” da Guinness World Records. Divenne per diverso tempo una vera e propria celebrità, al punto che anche Rolling Stones scrisse un articolo, definendolo l'”uomo del momento”.
Sebbene Quake sia a tutti gli effetti una pietra miliare della storia degli esports, sarà lo Starcraft della Blizzard a diventare il fenomeno mondiale dal 1998.
La cultura videoludica in Sud Corea era completamente diversa da quella occidentale: a causa di una violenta crisi economica che colpì la penisola asiatica, i sudcoreani erano costretti a metodi alternativi ed economici per accedere all’intrattenimento videoludico. Ecco che il paese fu letteralmente invaso dai “PC Bangs”, una prima generazione di internet café completamente incentrati sul gaming e sull’offrire l’utilizzo di macchine per giocare a prezzi estremamente competitivi.
I PC Bangs divennero un luogo dove socializzare, giocare, e sopratutto sfidare gli altri presenti a giochi competitivi. Fu qui che scoppiò Starcraft: Brood War, un gioco Real-Time Strategy che non metteva in gioco le capacità di sparare di un atleta, bensì le sue capacità di quick thinking e di pianificazione a lungo termine.
Non si necessitava più di ore e ore di esercitazione sul “flick” (spostare la mira velocemente da un punto all’altro dello scenario di gioco e sparare), bensì sull’analisi delle strategie, degli errori e della gestione delle risorse, cominciando una traslazione da esports di forza bruta che premiano giocatori con riflessi più rapidi e apparecchiature migliori, a esports di flessibilità mentale, dove chiunque studi e si eserciti può aspirare ad arrivare a quell’ambito primo posto.
Il fenomeno Starcraft porterà il Sud Corea a trasmettere le competizioni a tema Starcraft persino in televisione nazionale, attirando sponsor tra cui Samsung e SK Telecom che mai prima d’ora si pensava potessero investire in qualcosa che, nel mondo occidentale, era ancora considerato un fenomeno di passaggio. Gli atleti divennero vere e proprie superstar nel loro paese. Ormai la penisola aveva creato un percorso per il resto del mondo da seguire per un passaggio da videogiochi per arte a videogiochi per competizione.
Il notevole successo economico ottenuto nelle competizioni virtuali del 20esimo secolo hanno portato l’industria dei videogiochi a produrre, in un’ambiente estremamente competitivo e relativamente saturo, non più solo giochi con enfasi al singleplayer con modalità multiplayer a parte per sfidarsi con i propri amici e altri giocatori in giro per il mondo, ma anche giochi improntati solo ed esclusivamente alla competitività e allo spingere il giocatore a migliorarsi sempre più.
Fu così che dal maestoso Half-Life, anche con il lavoro di due modder indipendenti, nel 2000 Valve rilasciò Counter-Strike, un gioco che fece ciò che nessuno fino ad ora aveva ancora osato: una competizione che valorizzava le capacità del singolo, ma soprattutto quello della squadra. Per la prima volta, sui palchi della CPL (Cyberathlete Professional League, competizione adesso inattiva) e della WCG (World Cyber Games), tra i vari Unreal Tournament e Quake III, non si tifava più per il singolo che “stompava” (schiacciare, distruggere) l’avversario, ma per il simbolo di una squadra, magari famosa per essere più brava in determinate tattiche, o per un’altra, che magari eccelle di più nell’avere giocatori con capacità tecniche ben più forti.
Il prodotto di Valve per anni eclissò qualsiasi altro gioco competitivo al mondo nelle esibizioni, proprio perché la competizione di squadra intrattiene molto più della competizione in singolo. Diversi giochi a questo punto andranno a seguire l’idea, su tutti il famoso Defense of the Ancient (DotA), una mod per Warcraft III con un’idea semplice: due squadre hanno come obiettivo quello di distruggere l’Antico dell’altra. Nasce nel 2003 il genere MOBA, quello che diventerà nel decennio a seguire il genere più seguito con fenomeni conosciuti da chiunque come League of Legends (2009) e DOTA2 (il seguito di DotA rilasciato da Valve nel 2013).
Soffermiamoci su League of Legends, ed in particolare sul suo lancio. Ai tempi, LoL non aveva nulla se non 17 campioni e una mappa. Il coraggioso lancio dalla allora piccola compagnia indipendente Riot fu timidamente accolto dalla piccola community di DotA come una buona e fresca alternativa alla mod (la quale scena competitiva cominciò a stagnare vista la difficile reperibilità della stessa e l’astruso procedimento per l’installazione), nonostante dai più era considerato una versione troppo “casual” del genere, vista la presenza di diverse meccaniche (su tutte il richiamo in base gratuito ed illimitato) considerate estremamente semplici.
Sebbene il lancio non sia stato dei migliori, League of Legends è oggi una colonna portante nella scena degli esports. Magari meno conosciuto è l’impatto che ebbe questo sul mondo in generale. Seguendo la scia del successo del MOBA, diversi giganti dei triple A e nuove compagnie indie proposero i loro esports flagships, più o meno famosi.
All’alba del nuovo decennio, stilare una lista di tutti i titoli esports al mondo è compito astruso e pressoché inutile: il parco titoli è ormai talmente saturo di prodotti e di spin-off che sarebbe più facile elencare i giochi single player usciti nell’ultimo anno. Basti sapere che nel 2019 per Nintendo Switch è uscito l’esports di Tetris – Tetris 99 – e non è nemmeno il titolo più inaspettato e francamente strano che si è sentito.
Su tutti ricordiamo il fenomeno di Overwatch di Blizzard, che mai prima si avvicinò al gioco di squadra competitivo (al più ricordiamo il PVP di World of Warcraft, comunque decisamente di nicchia rispetto al famosissimo FPS della casa), che portò la compagnia a rilasciare da quel punto in poi, vista anche la fusione con la Activision, quasi solo titoli improntati sulla competizione (Heroes of the Storm, il nuovo Call of Duty…).
Il 21esimo secolo ha portato una nuova stella italiana nel mondo. Nel 2004, per la prima volta nella storia di Quake III (e, per inciso, nella storia degli esports), fu un italiano a vincere il titolo di campione mondiale: Alessandro “Stermy” Avallone ottenne il titolo, battendo il precedente campione Jonathan “Fatal1ty” Wendel, oggi famoso per il suo branding di accessori e periferiche da gaming.
Il titolo di Stermy (e ovviamente l’introito generato da questo) ben presto fa cambiare le carte in tavola allo stivale. Tornei nazionali, sponsor, e tutto sommato una completa rivoluzione del modo di vedere i giochi competitivi seguono a breve, coronando diversi atleti italiani che ad oggi sono non solo famosi, ma considerati dei “mostri sacri” della loro disciplina.
A tutti gli affezionati di “Counter Strike: Global Offensive”: sapevate che la piattaforma Faceit è stata creata proprio da Stermy? E bene sì, una delle piattaforme competitive più importanti del mondo per CS:GO, Rocket League e DOTA2 porta nome italiano!
Partiamo dal giovanissimo Riccardo “Reynor” Romini, giovane 18enne di Poggibonsi (Siena) che si è affermato nella scena competitiva di Starcraft 2 vincendo diversi tornei rubando i primi posti a tantissimi europei e perdendo ai mondiali del 2019 solo contro Dark, il campione Coreano. Ad oggi, Reynor continua a partecipare alle competizioni europee e mondiali di Starcraft, portando a casa un numero di trofei tale da ottenere il secondo posto in Italia come atleta virtuale più pagato.
Nella scena di Rocket League europea è famoso Francesco “Kuxir97” Cinquemani, 23enne siciliano che gioca attualmente per il Team SWAG, distintosi nel 2016 per aver vinto con il team Flipside Tactics il Rocket League Championship Series. Ad oggi, dopo una breve pausa, è tornato nella scena, tornando a lasciare la sua impronta come uno dei migliori giocatori del gioco di sempre.
Continuando con Fortnite, considerato uno dei migliori giocatori di FPS al mondo (e uno degli streamer italiani più seguiti), Giorgio “Pow3r” Calandrelli è un atleta del gioco conosciuto per essere la punta di diamante della divisione dei FNATIC legata al titolo. Tra tornei europei e mondiali e una lunga serie di titoli ottenuti nei più svariati giochi FPS, il 28enne romano sta cavalcando un’onda di successi non indifferente, e davanti a se ha un futuro ricco di gloria per le competizioni, e fama su Twitch.
Concludiamo infine con League of Legends ed il primo italiano ad approdare nella scena competitiva ufficiale europea: Daniele “Jiizuké” Di Mauro, 25enne campano diventato famoso nel mondo con il soprannome “Italian Stallion“. Vincendo nel 2018 il titolo di Rookie dell’anno e adesso nella line-up degli statunitensi “Evil Geniuses”, Jiizuké è conosciuto nella community come un orgoglio nazionale, e nel mondo come uno dei migliori giocatori fuori dal competitivo degli 11 anni di storia di LoL.
Il titolo non è ironico, né tanto meno esagerato. Alle Olimpiadi 2020 (adesso 2021, ndr.), per i giochi di apertura delle competizioni, avrebbero dovuto svolgersi anche due competizioni (Rocket League e Street Fighter V) di esports per la Intel World Open. Gli esports, dopo aver superato sulle varie piattaforme di streaming online la NBA per numero di visualizzazioni concorrenti, sfiorano anche il medagliere dell’esibizione sportiva più antica e famosa della storia.
Anno dopo anno, gli esports stanno avvicinandosi sempre più allo “sport” che all'”electronic”, e la linea che separa gli atleti di sport fisici da quelli di sport virtuali va via via ad assottigliarsi. La semplicità dell’entrare nel mondo dei videogiochi competitivi è ad un picco tale che non è raro sentire di ragazzi ancora non maggiorenni diventare campioni mondiali di una disciplina elettronica.
Per questo motivo, e per l’estrema popolarità dei videogiochi sempre e comunque crescente, il futuro degli esports sarà florido e vivace, sicuramente con i suoi alti ed i suoi bassi (vedi doping negli esports), ma sempre in continua evoluzione, e con copertura mediatica sempre maggiore.
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