In questo periodo in cui il contatto umano è quantomeno limitato, leggere manga su vite vissute teneramente potrebbe aiutare a lenire i dolori della distanza, o quantomeno scaldare i cuori gelati dal freddo.
Cominciamo con un classico intramontabile della principessa dei manga, Rumiko Takahashi. Dopo il grande successo di Urusei Yatsura (Lamù) si cimentò in uno slice of life incentrato sulle vite dei condomini di una sgangherata pensione, in particolare sul tira e molla amoroso tra l’impacciato studente universitario Yūsaku Godai e l’amministratrice della pensione, la cara, dolce Kyōko Otonashi. A rendere ancora oggi Maison Ikkoku un classico intramontabile del genere è la caratterizzazione certosina dei personaggi e dei loro conflitti, dalla perenne incapacità di Yusaku di superare gli esami alla passività di Kyoko, che la porta a subire le angherie dei genitori e dei padroni della pensione. Non manca un marchio di fabbrica della Takahashi: un variegato cast di comprimari a colorare le vite sentimentali, e non, dei protagonisti. Tra questi spicca Akemi, apparentemente frivola e svampita, ma celante dietro la sua “audacia” una profonda ferita interiore. Tutti loro agiscono all’interno di un contesto sociale realistico, dove il precariato e la pressione da parte di familiari e datori di lavoro sono sempre pronti a intromettersi, facendo sì che la tensione rimanga sempre alta nonostante i toni comici della narrazione.
Dopo Maison Ikkoku è il caso di parlare di un manga che ne attinge a piene mani. Oh, poveri noi! – Tutti a casa Kawai di Ruri Miyahara è anch’esso ambientato in una pensione e ha per protagonista uno studente (stavolta liceale) che mal sopporta i suoi condomini. La differenza tra Yusaku e Usa è che il secondo non è attratto dall’attempata amministratrice della pensione, bensì dall’introversa e taciturna nipote, Ritsu. Apparentemente più frivolo del suo predecessore e con ancora più gag a sfondo sessuale, favorite dai personaggi di Shirosaki e Mayumi, Oh, poveri noi! si distingue per l’approfondimento sul tema dell’incomunicabilità e dell’isolamento sociale. Partendo da un incipit poco originale e votato quasi esclusivamente al divertimento, il manga alza pian piano i toni fino a rendere il peso delle ansie dei protagonisti un vero macigno anche per il lettore, ansioso di arrivare alla fine per godersi la naturale conclusione di un rapporto complicato, ma non per questo meno dolce e sincero.
36°C non è un manga facile da leggere, nonostante sia scorrevole, disegnato benissimo e scritto anche meglio. A rendere complicata la lettura è il tema: l’amore fedifrago. Tutte le storie contenute dal volume pubblicato da Dynit Manga nella splendida collana Showcase parlano di mariti che tradiscono mogli, inganni, illusioni e non detti visti da una prospettiva inedita: quello delle amanti, coinvolte in relazioni sbagliate che loro credevano sincere. Pensare che Yukiko Goto abbia tratto spunto dal suo vissuto, rende ancora più intima la connessione tra le storie e il lettore catapultato in un mondo estraniante di esperienze malsane, dalle quali le protagoniste escono sì ferite, ma anche rinforzate. Un manga ideale per imparare ad affrontare relazioni traumatiche con una prospettiva ottimista, ricordando che guarire è possibile anche senza dimenticare.
Molti avranno visto il pregevole film anime edito in Italia come La forma della voce, ma il manga da cui è tratto, A Silent Voice di Yoshitoki Ōima (anch’esso ispirato a esperienze e fatti reali) è un vero e proprio gioiello di raro impatto emotivo e ancor più rara utilità. La storia della formazione di un amore che passa attraverso il bullismo, l’ipocrisia, l’emarginazione, la redenzione e, soprattutto, l’empatia. Qui il tema dell’incomunicabilità è reso più esplicito dal sordo-mutismo della protagonista, aggiungendo un ostacolo fisico allo sbocciare di un amore inconsapevole nato dall’ingenuità infantile e dal senso di colpa. A silent voice è anche e un manga didattico che parla del male innocente, quello che non sappiamo di aver compiuto e della cui gravità non ci rendiamo conto fino a tarda età (e spesso neanche allora), colpendo perciò nell’intimo l’arcaica giustificazione del “So’ ragazzi!” L’idea che l’accettazione del diverso e il riconoscimento degli errori passati portino alla definitiva maturazione dell’individuo dovrebbe bastare a rendere obbligatoria la lettura di questo manga in qualsiasi scuola, ma poi rischieremmo di diventare persone decenti.
Maka-Maka di Torajirō Kishi (L’impero delle Otome) è un manga spiazzante sotto tutti i punti di vista. Di base è un fumetto (parecchio esplicito) sulla vita di due amiche e dei loro rapporti. In verità è una storia sulla spontaneità dei sentimenti; su come sesso, romanticismo e amicizia possano andare di pari passo senza precludere ad altre esperienze. Un manga che incita al pieno godimento della vita in tutte le sue sfaccettature, delusioni comprese, tramite un turbinio di emozioni genuine disegnate magnificamente e con un attenzione al montaggio e al ritmo narrativo fuori dal comune. Vedere le due protagoniste ridere e divertirsi in maniera così spontanea durante il sesso mette immediatamente a proprio agio il lettore, il quale proverà un immediato deja-vù per quegli atteggiamenti teneramente ridicoli che, in fondo, coinvolgono tutte le relazioni sane.
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