Lo streaming online è una realtà consolidata ormai da diversi anni. Questo tipo d’intrattenimento, che vede in YouTube il pioniere e leader indiscusso, si è evoluto nel corso degli anni in diverse forme, generando emuli e competitor che hanno seriamente minato il precedente monopolio di media come la televisione e il cinema da sala.
Una tipologia di streaming (opposta alla fruizione gratuita di YouTube) si è però distinta più degli altri nell’attirare a sé le più disparate fasce di pubblico, grazie anche ad importanti accordi con multinazionali che ne hanno notevolmente aumentato l’appeal, sfoggiando così un’ampia varietà e qualità nei prodotti. Tale tipologia sono i servizi ad abbonamento, i vari Hulu, Infinity, Disney + e, soprattutto, i leader indiscussi di questa fetta di mercato: Netflix e Amazon Prime Video.
Oggi andremo a sviscerare pregi e difetti di questi due servizi, attraverso una ricostruzione storica e statistica tale per cui l’utente finale possa decidere di affidarsi al servizio più consono alle sue esigenze.
Partiamo dal più anziano e, diciamolo, popolare. Tralasciando gli esordi di azienda distributrice di DVD, Netflix come lo conosciamo oggi nasce nel 2008.
L’azienda fondata da Reed Hastings e Marc Randolph partì molto in sordina, cercando di farsi strada in un mercato inedito come quello online offrendo un servizio ad abbonamento che permettesse agli utenti di fruire sui propri pc prodotti su licenza. Tuttavia il catalogo di Netflix era davvero povero e poca gente era disposta a pagare un ulteriore abbonamento ad un servizio neanche paragonabile a quello, ad esempio, di Sky.
Non potendo assolutamente competere con colossi del genere sul loro stesso campo (i prodotti su licenza) l’azienda decise di offrire agli spettatori qualcosa che Sky e altri servizi via cavo non avevano: prodotti originali ed esclusivi. Se il pubblico avesse voluto vedere una serie o un film Netflix, non avrebbe avuto altra scelta che abbonarsi, appunto, a Netflix. Ma come fare per convincere il pubblico ad abbonarsi? Semplicemente, pensarono Hastings e Randolph, proponendo intrattenimento di qualità.
Fu così che, nel 2011, debuttò la prima serie originale Netflix: House of Cards. La serie fu meritatamente un successo clamoroso, grazie alla solida base dell’omonimo romanzo di Michael Dobbs e ad un Kevin Spacey assolutamente fenomenale.
Questo portò subito alla produzione di altre serie molto diverse fra loro per cercare di attecchire sulla maggior quantità di pubblico possibile, quali Orange Is the New Black e Hemlock Grove, che, pur non arrivando ai livelli di House of Cards, furono comunque apprezzate (giustamente) da pubblico e critica.
Nonostante fossero prodotti abbastanza diversi tra loro, tutti avevano in comune un’attenzione maniacale per i personaggi, una certa brillantezza nei risvolti di trama e – cosa che tutt’ora contraddistingue Netflix – la diversità dei temi rispetto ai prodotti tradizionali.
Quest’ultimo punto è uno dei perni attorno cui ruota il brand Netflix, tanto da essere diventato un vero e proprio meme. La presenza di personaggi di colore, omosessuali, donne o appartenenti ad altre categorie sensibili scarsamente considerate nei media tradizionali, è stata un po’ la croce e la delizia di un pubblico che, volente o nolente, ha dovuto sbattere la faccia contro una dura realtà: le minoranze esistono.
Tuttavia, è risaputo che le diversità vengono mal volentieri accettate da un pubblico più anziano, abituato a prodotti televisivi più superficiali, mentre i giovani accettano più volentieri le novità, specialmente le fasce più digitalizzate e figlie della globalizzazione. Questo, unito ad un costo tutto sommato accessibile, ha portato Netflix a diventare, nel bene e nel male, una vera e propria piattaforma per giovani.
Infatti, secondo i dati riportati dal sito buisnessofapps.com (datati 2018), la maggioranza degli utenti Netflix è composta prevalentemente da giovani adulti di età compresa dai 18 ai 34 anni (escludendo, ovviamente, i minori che pagano con mezzi altrui). Inoltre, più della metà del pubblico (57%) risulta essere di sesso femminile. Contando che l’utenza di Netflix si aggira intorno ai 150 milioni di unità, seconda in questo senso soltanto a YouTube, questi dati risultano ancora più sbalorditivi.
Se da un lato sono incoraggianti in termini etici – perché che dir si voglia è comunque bello che ogni minoranza o maggioranza possa godere di un intrattenimento che la rappresenti – dall’altro ha cambiato notevolmente l’approccio di Neflix alla produzione dei propri prodotti. La piattaforma, così come YouTube, si basa su un algoritmo che permette di capire quanto una serie vada o non vada bene. Va da sé, quindi, che i produttori cerchino di assecondare i gusti dell’utenza, facendo in modo che i parametri di fidelizzazione risultino sempre alti. Per fare ciò, Netflix ha adottato un sistema di produzione che dimostra molto poco rispetto per l’intelligenza del suo giovane pubblico.
In pratica, se ci fate caso, l’azienda produce la prima stagione di una serie in modo tale che sia appetibile per il proprio target, ma in più la qualità risulta sempre medio-alta, come le produzioni degli esordi. Se la serie piace, allora Netflix smette di prestarle attenzione, facendola calare drasticamente di qualità, perché a quel punto sarà lo stesso pubblico a mandarla avanti per inerzia. Com’è possibile, direte voi, che il pubblico sia così stupido da non accorgersi che le stagioni successive siano più brutte? Non è una questione di stupidità, ma di semplice psicologia.
In tutti gli esseri umani esiste un meccanismo che si chiama bias di conferma. Senza entrare troppo nel dettaglio, il bias di conferma spinge il nostro cervello ad assecondare informazioni che già possediamo, rendendo molto più difficile smentirle o metterle in discussione. Per farvi un esempio, se siete stati educati fin da piccoli a pensare che la cucina italiana sia la migliore del mondo, è molto difficile che voi possiate cambiare idea, soprattutto se non sapete cucinare, non avete mai mangiato niente di diverso dalla mozzarella di bufala e in generale non capite niente di cibo. Il bias di conferma rende quindi difficile per l’individuo accorgersi della propria ignoranza, cementificandone le certezze a sfavore del dialogo costruttivo.
Tale condizione si aggrava nei soggetti più giovani, che avendo probabilmente visto poche serie o non avendone viste affatto, non avranno mai le informazioni pregresse necessarie per combattere il bias in entrata. Se non hai un’informazione su un argomento, prenderai per buona la prima che si avvicina di più al tuo modo di pensare, indipendentemente dalla sua validità. Di base, è il motivo per cui alle persone danno molto fastidio le recensioni negative di qualsiasi prodotto.
Ma questo come si collega al Metodo Netflix (in realtà, come vedremo più avanti, usato anche da Amazon)? In pratica, creando una prima stagione qualitativamente buona, la critica ne parlerà bene, andando a formare il primo bias (“dicono che è bella, io non l’ho vista quindi non posso dire il contrario, quindi è bella, quindi la guardo“). Una volta che nel pubblico avrà attecchito quell’informazione e la stagione risulterà gradevole, ecco che la trappola si concretizza, a meno che il fruitore non sviluppi un senso critico.
Non è qualcosa di cui vergognarsi, ci siamo passati tutti e molti di noi non ne sono mai usciti (e probabilmente mai lo faranno). Non è un caso che spesso i protagonisti di Netflix siano tutti giovani (con conseguente sovrapproduzione di teen drama), o che le loro turbe affatto ragionevoli vengano glorificate, o che l’infantilismo emotivo conti più di una caratterizzazione oculata. Anche le serie qualitativamente migliori e adulte di Netflix come Bojack Horseman soffrono in minima parte di questa tendenza.
Un’altra declinazione della diversità di Netflix – questa assolutamente positiva – è il permettere a progetti sperimentali normalmente irrealizzabili di trovare una distribuzione adeguata. Parliamo di perle come la serie animata Love, Death & Robots di David Fincher, i film Roma di Alfonso Cuarón e The Irishman di Martin Scorsese, o il cortometraggio Anima di Paul Thomas Anderson. Un’altra faccia della medaglia che aggiunge una notevole dose di qualità alla patina adolescenziale della piattaforma.
Si può dire che il catalogo di Netflix vari a seconda del lancio di una moneta. L’inseguimento ossessivo della modernità e della diversità, porta tanto a prodotti stucchevolmente ruffiani, quanto a inaspettate sorprese che non ritroveremo in nessun altro servizio. Ne risulta che, per i giovani, Netflix equivalga al Valhalla, essendone loro il target principale, mentre per un pubblico più ricercato potrebbe non essere una certezza.
Sul giovane rivale di Netflix c’è da fare un discorso totalmente opposto al precedente. La piattaforma streaming di Amazon è partita anch’essa molto in sordina, tra lo scetticismo generale di chi vedeva nel catalogo troppo limitato l’impossibilità di farsi valere adeguatamente. Ma così come Netflix fece all’epoca, anche Prime Video è riuscito a ritagliarsi una fetta esclusiva di pubblico che diverge totalmente dalla concorrenza.
Sempre secondo buisnessofapps.com, la piattaforma – che ad oggi conta 100 milioni di utenti – è preferita da individui di età compresa tra i 35 e i 54 anni a maggioranza maschile. Ciò non deve stupire per molti motivi, primo tra tutti quello economico. Se è vero che il prezzo di 36 euro annuali (o 3,99 al mese) per l’intero pacchetto Prime (quindi non solo Video) non sia affatto una cifra alta per un adulto con uno stipendio (ossia chi normalmente e regolarmente acquista da Amazon), altrettanto non si poteva dire per un ragazzino con i soldi contati, che magari da Amazon compra solo saltuariamente e probabilmente preferirebbe spendere quella cifra per prodotti più vicini alla sua estetica.
Un’utenza più adulta comporta quindi un pubblico abituato ai media tradizionali, navigato e disilluso, probabilmente scettico nei confronti delle novità e ricco di pregiudizi (e quindi con bias già ampiamente formati). Per attirare la loro attenzione, Amazon ha deciso di puntare tutto sulla qualità. Professionisti affermati, progetti enormi e una sicurezza derivata spesso e volentieri dall’utilizzo di materiale già esistente (molte serie Prime Video sono infatti trasposizioni di romanzi o fumetti) al solo scopo di arruffianarsi, ancora una volta, un target preciso. Amazon gioca sul sicuro, e lo fa davvero bene, riuscendo a porsi a metà tra un catalogo alternativo ed uno puramente mainstream. Praticamente, Prime Video ha copiato il Netflix degli esordi, quello di House of Cards, con la differenza che il target di riferimento può consentirgli di continuare a puntare su una produzione autoriale.
I temi scelti sono ricercati e pesanti (fantapolitica, noir, dramma), così come gli autori di riferimento e gli addetti ai lavori selezionati dalla produzione per preservarne l’estetica. Attualmente le produzioni Amazon sono tra le più esaltanti a livello qualitativo e sicuramente sapranno soddisfare i palati più raffinati.
Alla luce di queste analisi, quale dei due servizi è il migliore?
Se avete prestato attenzione avrete sicuramente capito che la risposta è solo una questione di target.
Probabilmente i più giovani preferirebbero Netflix, i più grandicelli Prime Video, ma non è detto. Magari alcuni di voi, abbonati all’uno o all’altro servizio, potrebbero rimanere intrigati dalle possibilità della controparte, provando a switcharle e traendone inaspettato godimento, combattendo anche quei famosi bias che, diciamolo, hanno un po’ scocciato.
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