Il nuovo docufilm Netflix si chiama Enter the Anime, disponibile sulla piattaforma streaming dal 5 agosto. I presupposti erano sicuramente ottimi: condurre lo spettatore nell’immenso mondo dell’animazione nipponica, con tanto di interviste ed approfondimenti.
Alex Burunova (attrice nonché regista del documentario) si interroga su un particolare: come mai i Giapponesi, così squadrati e ligi al dovere, riescono a produrre anime e manga dai toni cupi, sanguinolenti ed inquietanti?
Ma soprattutto: gli anime sono esclusivamente nipponici o sono riusciti a navigare oltreoceano, influenzando la cultura dell’intero pianeta? Si parte così da Los Angeles, con l’eclettico Adi Shankar, creatore di Castelvania. Per poi arrivare a LeShaun Thomas, con il suo Cannon Busters.
Si ritorna man mano progressivamente al Giappone vero e proprio, con registi e produttori dagli occhi a mandorla come Toshiki Hirano (Baki), Rarecho e Yeti (Aggretsuko), Tetsuya Kinoshita, Seiji Kishi e Yuji Higa (Kengan Ashura), Yukio Takahashi (7Seeds), Kenji Kamiyama e Shinji Aramaki (Ultraman), e perfino una menzione alla leggendaria Toei Animation (per il nuovo adattamento dedicato ai Cavalieri dello Zodiaco), nonché ad Evangelion e la sua celebre opening interpretata da Yoko Takahashi.
Indovinate un po’? Tutti anime che chiunque può trovare agilmente su Netflix.
La cara Burunova, in tutta la pellicola, cerca di smorzare i toni con battute spesso pungenti pur di deliziare il pubblico, ma sembra piuttosto spostare il fulcro del documentario sempre più lontano, ritornandoci poi quasi bruscamente. In parole povere: Alex, pls, stop. In alcune scene la sua “curiosità” è più simile a quella di una tredicenne che non ha mai aperto internet in vita sua (nel 2019 davvero esistono persone che credono che il Giappone sia solo Hello Kitty?).
Animazioni e dissolvenze poi vagamente vaporwave sembrano piuttosto stonare con l’intero film, mantenendo una costante insoddisfazione (e quasi fastidio) nella visione. Le interviste poi sono più simili a… gag comiche? Il fine ultimo del film sembra distrutto poiché, come apertamente detto da Alex, i creatori di anime sono troppo distanti da me.
La domanda forse più crudele (ma palese) su questo prodotto è sicuramente una sola: Enter the Anime era davvero necessario? No, assolutamente no. Questo docufilm è totalmente inadatto sia per fan di lunga data delle animazioni giapponesi che per i novizi del genere.
Gli appassionati infatti si ritroveranno una descrizione totalmente approssimativa degli anime, solo in nome della pessima ironia e del palese product placement delle produzioni di mamma Netflix. I neofiti al contrario quasi sicuramente non ci capiranno nulla: troppe informazioni buttate letteralmente a caso, interviste addensate a regola (non proprio) d’arte e nessuna menzione al vero e autentico making of di un anime. Vera eresia poi per i patiti sarà la dichiarazione che il futuro dell’animazione è esclusivamente in CGI, come se decenni di disegni realizzati a mano fossero ormai obsoleti ed inutili.
Degna di nota è la sola (ma brevissima) menzione alla stop motion, utilizzata in Rilakkuma e Kaoru, serie presente sempre su Netflix.
Per chi quindi avesse apprezzato la produttività Netflix nel settore anime, troverà qualche fugace curiosità in merito. Alla fine, non si arriverà mai ad una vera conclusione, quanto piuttosto ad un mosaico caotico.
Se qualcuno fosse invece seriamente interessato ad approfondire la cultura nipponica, consigliamo piuttosto la docuserie Christiane Amanpour: Sex & Love Around the World, che proprio nel primissimo episodio ci conduce in Giappone, mostrando anche un riuscitissimo zoom proprio sull’animazione, i manga e la loro storica e progressiva genesi.
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