Recensioni

Sekiro Shadows Die Twice: la recensione della nuova opera (d’arte) di From Software!

Sekiro: Shadows Die Twice

8.9

GAMEPLAY E LONGEVITÀ

9.4/10

COMPARTO GRAFICO E SONORO

8.2/10

COERENZA E CURA DEL DETTAGLIO

9.0/10

Pros

  • Narrazione intrigante
  • Gameplay e difficoltà esaltanti
  • Level design folle e bellissimo
  • Libertà d'approccio ed esplorativa da paura...
  • Ben ottimizzato

Cons

  • Rigiocabilità e personalizzazione dell'esperienza limitate
  • Soliti problemi tecnici storici
  • Meno varietà generale
  • ...peccato per lo stealth, a malapena abbozzato

LA STORIA INSEGNA!

Sin dai suoi albori, il mondo dei videogiochi ha sempre avuto modo di evolversi, e non solo dal punto di vista tecnico e di potenza hardware, ma anche per quel che riguarda idee (che siano di design o narrative) espresse nelle opere videoludiche stesse: molti studi di sviluppo sono riusciti, nel tempo, a creare qualcosa che fosse unico, indimenticabile, in grado di diventare una pietra miliare del gaming e che potesse essere d’esempio per le generazioni successive, definendo quindi una forma di riconoscimento e autorialità dall’importanza storica. Da Konami a Capcom, da ID Software a Bungie, da Valve a Rockstar, abbiamo avuto modo di vedere come autori come Hideo Kojima e Shinji Mikami (tanto per citarne due a caso) abbiano evoluto il modo di intendere il videogioco semplicemente tramite idee, tematiche e concetti.

Parlando di tempi moderni (più precisamente, durante la settima generazione) possiamo affermare senza ombra di dubbio che Hidetaka Miyazaki e la sua From Software siano entrati a far parte di questi importanti studi di sviluppo: partendo da Demon’s Souls, passando per i 3 Dark Souls e Bloodborne, hanno sviluppato la formula degli ormai famosissimi “souls” che, tramite una serie di geniali meccaniche di vario tipo incastrate a regola d’arte, hanno reso questo un vero e proprio sottogenere, imitato e adottato da molti altri sviluppatori. Nell’ultimo biennio, From Software ha deciso di adottare solo alcune delle idee che hanno reso grandi i souls che, unite ad alcune totalmente nuove, hanno danno vita a Sekiro Shadows Die Twice, pubblicato da Activision lo scorso 22 Marzo su PS4, Xbox One e Steam. Scopriamo dunque nella recensione come se l’è cavata Miyazaki e il suo team con questo nuovo esperimento!

NARRAZIONE DIVERSAMENTE SILENZIOSA

Giappone feudale, periodo Sengoku: il protagonista prende il nome di Lupo, un bambino che viene cresciuto rigidamente dal padre tramite regole ferree, in un periodo dove l’incessante e brutale guerra tra le famiglie fa scorrere costantemente fiumi di sangue. Avendo quindi vissuto sin da giovanissimo con questo stile di vita, il nostro Lupo diventerà un abile guerriero dal carattere glaciale, acquisendo la carica di Shinobi, il suo ruolo diventerà molto presto quello di fare da guardia del corpo all’Erede Divino, un ragazzino  che, come il suo titolo suggerisce, discende da un’antica famiglia di origini divine, il quale sangue sembrerebbe avere proprietà sovrannaturali: tramite una sorta di infusione di questo sangue, la natura del Lupo subirà una trascendenza rispetto a quella umana che gli farà ottenere una forma di immortalità: ogniqualvolta che lo shinobi cadrà, esso si rialzerà per far si che possa continuare a difendere e proteggere il bambino, essendone quindi fortemente vincolato, per l’eternità.
Senza perderci in ulteriori chiacchiere, la storia inizia proprio in un momento nel quale Lupo e l’Erede Divino vengono separati: da una prigione, il nostro compito sarà quello di fuggire e andare in cerca del piccolo, per continuare ad assicurargli protezione.

Già sotto questo punto di vista si vede come From Software abbia adottato solo in parte il tipico sistema di narrazione dei Dark Souls: nonostante il concetto di lore sia comunque estremamente presente (sempre grazie alla descrizione degli oggetti, conversazioni con determinati NPC secondari e semplici dettagli del mondo di gioco), risulta tutto molto più comprensibile, con molti dialoghi più diretti, cutscene chiare, e una generale cripticità meno accentuata; la storia si baserà ancora una volta sui concetti di “ciclo continuo”, morte e rinascita, filosofia e senso della vita, offrendo un’esperienza tematica degna degli altri titoli From, con momenti intensi, colpi di scena azzeccati e le ormai classiche fasi finali d’effetto.
Al contempo, la narrazione silenziosa presente completa il tutto, donando svariati background sul mondo di gioco: quindi, si può dire che sotto questo punto di vista il lavoro di Myazaki sia in linea con il resto delle sue opere, ma quel po’ di accessibilità in più assolutamente gradevole.

Ma, come i souls ci hanno insegnato, alcuni elementi della narrazione hanno influenza sul gameplay: per evitare spoiler avanzati, possiamo riassumere il tutto dicendo che la morte e la resurrezione possono modificare alcune meccaniche, così come gli NPC e le loro quest.
A tal proposito, Sekiro vanta un numero invidiabile di personaggi con il quale è possibile interagire, con numerose quest secondarie dinamiche (che si modificano in base all’ordine con il quale facciamo determinate azioni) che possono intrecciarsi e regalare dialoghi e conseguenze “uniche”, ma non sarà sicuramente una passeggiata completarle tutte (in realtà sarà difficile anche solo avviarle tutte trovando tutti gli NPC, ma ci arriveremo); ancora una volta dovremo prestare estrema attenzione ad ogni dialogo per cercare di identificare il prossimo step e, in molti casi, effettuare backtracking.

TECNICA, STILE, COMPRENSIONE

Abbiamo dunque parlato di come tutto ciò che riguarda il mondo di gioco sotto il punto di vista narrativo sia valido e intrigante; ma è giunta l’ora di trattare quello che è probabilmente l’aspetto più importante di Sekiro, il gameplay.
Lasciando un momento da parte l’aspetto esplorativo (che riprenderemo molto presto) dobbiamo focalizzarci nello specifico sul combat system.

Uno dei motivi per il quale il combat system dei souls divenne così importante fu per il fatto che introdusse per la prima volta nelle sue meccaniche il concetto di Strategic Swordplay, che vieta lo spam impulsivo di attacchi leggeri (carta vincente di moltissimi giochi) per favorire uno studio molto più oculato delle proprie mosse e movimenti, ma soprattutto di quelli del nemici: l’apprensione dei comportamenti da avere dinanzi ai vari pericoli rappresenta la quintessenza dell’avventura videoludica dei Dark Souls, per il quale l’esperienza, l’osservazione, l’attenzione e la pazienza trasforma i giocatori da semplici novellini spaventati a combattenti veterani in grado di superare intere aree e sconfiggere vari boss senza nemmeno farsi sfiorare (“hard to learn, easy to master”, “difficile da imparare, facile da perfezionare”).

Sekiro eredita tali concetti e li stravolge, creando qualcosa di ancora più nuovo; a differenza del passato, qui la pazienza viene ripagata molto meno del sangue freddo: l’importante, in questo caso, non è più colpire il nemico abbastanza volte da sottrargli l’intera barra della salute, bensì trovare ogni mezzo possibile (che sia un attacco, un affondo, un parry, una contromossa o un’abilità) per destabilizzargli tanto l’equilibrio da fargli rompere la guardia, per poi finirlo tramite un’esecuzione.
Le mosse base sono tanto semplici quanto funzionali: attacco leggero, attacco pesante (affondo), salto, schivata, parata, deflessione; tramite i “testi esoterici” si sbloccano progressivamente dei letterali skill tree che, tramite i punti esperienza, potremo completare ottenendo abilità uniche, sia attive che passive, migliorabili, che offrono vari stili di combattimento in base alle nostre preferenze.

Vi è anche uno skill tree riguardante le abilità del braccio prostetico (più incisive e efficaci): è possibile equipaggiarne 3 alla volta, e anche esse sono potenziabili (ma in questo caso tramite denaro, materiali e oggetti speciali): ognuna di queste mosse speciali ha un suo consumo di Emblemi spiritici, ottenibili sconfiggendo nemici o acquistandoli dai vari Idoli dello scultore).
Queste meccaniche di skill tree rappresentano in tutto e per tutto l’intero sistema di personalizzazione dell’esperienza: non essendovi un classico metodo di progressione (vi è un modo per migliorare Vitalità e Forza d’attacco, ma risulta essere più un miglioramento generico passivo che un vero e proprio sistema di caratterizzazione della run), tale quantità di abilità e le loro combinazioni sarà tutto ciò che determinerà il nostro modo di approcciarci al combattimento: ovviamente, ne consegue una rigiocabilità che, seppur interessante, risulta meno alta che in passato (anche per l’impianto Action adventure del gioco, che si distacca da quello Action GDR dei souls).

Ma quindi, come funziona il tutto? Dannatamente bene.

Laddove nei souls “bastava” livellare molto per avere la vita più semplificata, in Sekiro bisogna avere le capacità manuali e l’istinto di fare le mosse giuste nel momento giusto (chiaramente anche in questo caso uno studio oculato delle mosse nemiche è di estremo aiuto). La fantomatica e discussa difficoltà di Sekiro è la rappresentazione di come From Software sia stata dannatamente attenta agli elementi di gameplay inseriti, e ciò rende il tutto incredibilmente relativo: ogni giocatore può avere un suo determinato tipo di difficoltà in base alle sue qualità; se sarete in grado di avere, per vostra natura da videogiocatore, sangue freddo, precisione nei movimenti e capacità di agire in fretta, vi sarà tutto molto più intuitivo, ma se invece sarete più propensi a gestire i combattimenti in modo più strategico e lento, potreste sinceramente percepire il combat system di Sekiro come qualcosa di veramente complesso.

Essendo i nemici particolarmente aggressivi, può capitare molto spesso di rimanere impauriti dinanzi a loro e ai loro attacchi, rischiando di far si che finiate per premere i vari comandi di difesa senza una logica in preda al panico, andando a fare chiaramente una pessima fine: considerando la primaria importanza della deflessione e della rottura della postura nemica, dovremo farci coraggio, presentarci faccia a faccia con il nemico e non aver paura di sbagliare.
Il tutto però va comunque considerato in base alle minacce che dovremo affrontare: vi è un buon assortimento di nemici differenti (anche se meno variegato che in passato), ognuno con le sue capacità di attacco/difesa/movimento, così come le boss fight, di meno in quantità che in passato ma ognuna assolutamente esaltante, impegnativa, diversificata (ad eccezione di qualche ripetizione) ed estremamente soddisfacente da superare.

Il sistema di “resurrezione” permette di avere sempre una sorta di “backup” della vita: seppur gli elevati danni dei nemici possano sembrare troppi, avremo comunque una seconda vita ogni volta che moriremo, il che offre al giocatore una possibilità di approccio ai nemici ancora diverso che in passato; attenzione però, l’abuso di resurrezione potrebbe avere alcune conseguenze negative  (che, per non spoilerare, non spiegheremo nello specifico).

Una grande differenza rispetto ai souls è il numero davvero smodato di mini boss: il gioco è pieno di nemici unici, specifici, più forti di quelli normali, ognuno in grado di dare una certa personalità all’area nel quale si trovano, e non essendo reali boss fight, avremo totale libertà di approccio nei loro confronti, inclusa la possibilità di superarli senza affrontarli o fuggire dal combattimento a nostro piacimento (ovviamente è sempre meglio sconfiggerli, in quanto, oltre a non respawnare, ci doneranno ricompense notevoli).

Purtroppo però, buon sangue non mente: i problemi tecnici storici di gameplay dei titoli From Software continuano ad essere evidenti, tra telecamere gestite male negli spazi stretti, compenetrazioni e hitbox a tratti sballate e, di tanto in tanto, gli input dei comandi che sembrano effettivamente non esser percepiti dal gioco: tutti problemi che, seppur non rovinano in toto il sistema di combattimento, è un vero peccato che dopo tutti questi anni non siano ancora stati risolti.

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DI BENE IN…UN PO’ MEGLIO!

Un’altra cosa di fondamentale importanza è ancora una volta la composizione della mappa di gioco: nonostante non esista una forma di interconnessione geologica delle aree come avveniva nella Lordran di Dark Souls, ogni singola area di gioco ha un determinato posizionamento talmente coerente con il paesaggio che si ha la sincera percezione di essere sempre nella stesso posto (i panorami offerti da determinati punti ci permetteranno di vedere in lontananza altre aree di gioco e di comprendere quindi la propria posizione rispetto alla mappa generale); purtroppo però, la varietà delle suddette ambientazioni non è così esaltante: dalle classiche pagode dallo stile giapponese ai collinari promontori, dalle oscure grotte di Ashina a letterali bassifondi naturali, si percepisce comunque alla lunga una certa ripetitività nell’estetica dei paesaggi (nulla di troppo grave, sia chiaro), che risultano comunque sempre bellissimi artisticamente parlando.

A tal proposito, un altro elemento che ha del sensazionale è il modo in cui la nostra partita può procedere: se le prime ore di gioco risultano decisamente lineari, dopo un certo punto vi troverete dinanzi a un bivio, le quali strade vi porteranno ad altri bivi con altre aree che a loro volta posseggono ulteriori percorsi ancora, la quale totale e completa libertà esplorativa da ad ogni giocatore la possibilità di esplorare intere sequenze di aree prima di altre, e ciò rende la run di ognuno di noi potenzialmente diversa l’una dall’altra: se consideriamo che ogni singola area ha suoi determinati nemici, NPC, oggetti, ricompense e boss fight, l’intreccio esplorativo nei confronti di tali ambientazioni ci permetterà di procedere nell’avventura nel modo in cui noi e noi soltanto vogliamo; per rendere l’idea, basti pensare che, ad un certo punto della storia, il sottoscritto si è ritrovato a poter proseguire in un totale di cinque (per davvero!) aree totalmente differenti e distanti tra di loro: vero, alcune di queste erano totalmente secondarie, ma la sensazione di libertà che si ha nel procedere durante l’intera avventura e nel poter scegliere liberamente quale strada prendere è qualcosa di veramente unico e speciale, che conferma per l’ennesima volta il fatto che From e Myazaki siano totalmente a sfavore della linearità esplorativa.

Parlando di puro design tecnico delle singole aree, se date agli ottimi level designer di From Software la possibilità di saltare, abbassarsi e muoversi in verticale grazie al rampino, essi vi creeranno qualcosa di semplicemente meraviglioso, e Sekiro ne è la prova.

La praticità del rampino rende giustizia alla libertà di approccio che si ha nell’esplorazione delle aree, infatti le mappe sono veramente zeppe di aree segrete, e ogni nostro sforzo di “cercare di più” sarà ricompensato con oggetti, shortcut (meno importanti che in passato, ma comunque utili), NPC nascosti, altri miniboss, e in alcuni casi intere zone nuove; il tutto è incentivato dal costante approccio visivo che avremo nei confronti di tali segreti, infatti non dovremo mai buttarci “a caso”, ma riusciremo sempre a vedere dove è possibile effettivamente andare (notando magari dei nemici o degli oggetti in lontananza), ci toccherà solo capire come.

La soddisfazione di trovare tali segreti rappresenta qualcosa di veramente piacevole, anche se forse si cade un po’ nell’eccesso: è vero, il rampino è estremamente pratico da usare, ma basti pensare che sono veramente poche le cose che troveremo “sulla strada giusta”, conseguentemente, se l’esplorazione vi intriga, le zone saranno dei letterali parco giochi del movimento, ma, in caso contrario, potreste ritenere stucchevole tale massiccia presenza di passaggi segreti con relativa oggettistica (a conti fatti, si trovano talmente tanti oggetti utili che l’esplorazione diventa quasi di primaria importanza, e non semplice completismo, come poteva capitare in passato).

S(OULS)TEALH?

Lo stesso non si può dire però dell’approccio furtivo: si, in molti casi avremo la possibilità di agire furtivamente per eludere i nemici ed eliminarli silenziosamente, sfruttando, appunto, la possibilità di spostarsi tra i tetti e i rami degli alberi (ma anche, più banalmente, nascondendosi tra i cespugli o dietro un angolo).

Però, se l’esplorazione è incentivata da un design verticale sensazionale, lo stealth non lo è più di tanto; l’orizzontalità, infatti, non è elaborata quanto avremmo voluto: in molti casi ci ritroveremo con corridoi di nemici, spesso posizionati uno di fronte all’altro e senza troppi ripari/angoli dietro al quale nascondersi, impedendo quindi un’approccio totalmente silenzioso.

E’ possibile comunque “provare” ad agire in questo modo, ma per far si che sia utile bisogna finire per forzare l’intelligenza artificiale, facendosi notare per poi nascondersi e attirarli in luoghi isolati, singolarmente: nonostante esistano oggetti e tecniche che favoriscono la furtività, tutto ciò non è minimamente stimolante o funzionale, anche a causa dell’IA nemica assolutamente basilare, che fa rende i nemici spesso spaesati, confusi e, diciamocelo, stupidi.

Il gioco infatti ci spingerà comunque a utilizzare tale approccio solo per pulire l’area dalle minacce peggiori, e non per superare così intere aree: converrà infatti eliminare silenziosamente solo determinati nemici, per poi approcciarsi aggressivamente agli altri, creando un interessante mix tra stealth e combattimenti: assolutamente gradito, invece, il fatto di poter agire furtivamente anche nei confronti di pressochè tutti i miniboss del gioco, così da riuscire a togliergli una delle due barre della vita facilmente, evitandosi quindi uno scontro più estenuante.
Insomma, nonostante lo stealth può funzionare nel caso in cui lo si sfrutta con intelligenza (e risulta comunque soddisfacente farlo), va ammesso che le componenti furtive potevano essere realizzate in modo sicuramente più curato.

Graficamente parlando, invece, è chiaro che il motore di gioco stia iniziando a sentire il peso degli anni ma, nonostante ciò, non ci si può lamentare: seppur alcune texture siano palesemente meno curate e dettagliate di altre, l’impatto generale riesce a convincere, grazie all’impronta più artistica che tecnica che gli sviluppatori hanno preso anche questa volta, tra scenari d’impatto, giochi di luce riusciti e effetti particellari sempre più spettacolari (in particolare, le scintille delle spade che si incrociano).
Anche in questo caso, va elogiata la qualità delle animazioni, sia quelle del nostro shinobi che quelle dei nostri nemici: ogni movenza di ogni creatura del gioco è curata, realistica e incredibilmente ben fatta.
Degna di nota anche l’ottimizzazione del gioco, che sin dal day one ha permesso di giocare a frame rate stabili (30 su console, 60 su PC) senza particolari cali.

CONCLUSIONI

From Software mantiene alcune delle sue carte vincenti e le mescola con altre, dimostrando per l’ennesima volta il loro incredibile talento nel creare qualcosa di più unico che raro.
Sekiro è un grande videogioco, che metterà a prova il vostro sangue freddo (come nessun gioco ha mai fatto), ma anche il vostro senso dell’esplorazione con un design ancor più elaborato e che ci racconterà una storia dalle mille sfaccettature, che per la prima volta unisce il sistema narrativo storico di From Software con quello più classico, diretto e accessibile.
Nonostante non sia affatto privo di difetti, ci sentiamo in dovere di dire che From Software ha fatto nuovamente centro, riconfermandosi nuovamente come una delle software house più fresca e competente degli ultimi anni.

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Mattia Mariano

Salve a tutti, sono Mattia, e da circa 18 anni ho un'intesa passione per il mondo dei videogiochi, e con essa mi porto dietro una forte propensione alla discussione e al dialogo il più discorsivo possibile riguardo questa incredibile arte.

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