Animazione

Il vero motivo della cancellazione di Apu

Ciò che segue non è l’ennesimo reportage di una notizia ormai arcinota, bensì un tentativo di aggiungere una nuova chiave di lettura al problema che ha visto coinvolto uno dei comprimari storici della serie animata più famosa al mondo. Vediamo, quindi, perché la cancellazione di Apu Nahasapeemapetilon da I Simpson potrebbe non essere imputabile al politically correct.

Innanzitutto, chi è Apu?

La risposta potrebbe sembrare scontata, ma in realtà è il perno attorno al quale ruota tutta la questione. Così, su due piedi, una persona tra tante risponderebbe che Apu sia un commerciante, proprietario e gestore del supermercato Jet Market (Kwik-E-Mart in originale) di Springfield. È un immigrato – inizialmente clandestino, otterrà poi la regolare cittadinanza americana – di origine indiana, particolare evidenziato dal suo marcato accento e dalla carnagione scura.

Tutto questo però non ci dice chi è, ma cos’è.

Eppure, sembra che al centro della critica mossa all’interno del documentario The problem with Apu, scritto e interpretato dall’attore “comico” Hari Karthikeya Kondabolu, ci sia solo questo strato estremamente superficiale del personaggio. E vista in quest’ottica – anch’essa estremamente superficiale – la critica potrebbe pure avere senso, ma i numeri del documentario fanno intendere che il suo impatto sulla cancellazione di Apu sia stato tutt’altro che fondamentale.

Cercando sui vari siti specializzati in critica televisiva e cinematografica che aggregano pareri di pubblico ed “esperti” si può notare come l’unanimità dei primi (quelli che davvero permettono alle serie di sopravvivere) abbia stroncato il documentario. Su Rotten Tomatoes ha ricevuto un responso positivo del 48% da parte del pubblico, con un voto medio di 2,6 su 5. Su IMDb il voto complessivo è ancora più basso: 3,9 su 10. Su Metacritic addirittura il pubblico è arrivato a dargli 3,2 su 10 Questo dato non è affatto da sottovalutare, perché porta a due conclusioni:

1) Gli indiani che guardano I Simpson sono così pochi da non essere riusciti a riequilibrare i pareri (o comunque non se ne sono fregati neanche un po’);

2) Neanche i social justice warrior, una delle malattie più ostinate dell’internet, si sono interessati a questa battaglia, individuandone immediatamente l’insensatezza;

Da ricordare che i social justice warrior sono riusciti a far incassare e parlar bene del film di Wonder Woman con Gal Gadot, uno degli adattamenti più brutti che si potessero fare di un personaggio così iconico (ma anche in generale).

“Dobbiamo girare un documentario per combattere gli stereotipi, mettendo però in evidenza SOLO gli aspetti stereotipati di un personaggio complesso”. Trovatela da soli l’incoerenza.

E se i produttori – come vuole il pensiero comune – pensano solo agli incassi e all’audience, è possibile che anche senza una vera e propria polemica si sia deciso di rimuovere un comprimario così iconico?

Un ulteriore motivo di sospetto è dato dal fatto che il documentario risale al 2017, mentre i rumor sulla cancellazione di Apu hanno cominciato a circolare da poco meno di un mese. Piuttosto strano per un network che vuole “evitare polemiche”, dato che a quel punto del documentario nessuno già si ricordava più.

Eppure, a conti fatti, un ruolo il documentario lo ha avuto. Ma non perché – come pensano tutti – abbia messo in risalto una presunta rappresentazione razzista degli immigrati indiani nel personaggio di Apu.

Il vero “problema con Apu” è molto più imbarazzante per i produttori dei Simpson di qualsiasi polemica sociale, e né chi ha scritto e diretto il documentario, né chi lo ha guardato/criticato sembra averci fatto caso o averlo anche solo ipotizzato.

La fonte d’imbarazzo sfocia proprio dalle premesse totalmente sbagliate del documentario, e dal perché quelle premesse siano sbagliate.

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Come spiegato in questo bellissimo video, THE APU THAT I KNOW, dello youtuber americano e animatore hotdiggedydemon, l’Apu degli esordi rappresentava (occhio al tempo passato) l’esempio perfetto di anti-stereotipo dell’immigrato secondo la concezione che ne avevano gli americani al tempo (e ancor di più ora). Lui incarnava e glorificava le qualità dell’immigrato modello: gran lavoratore, laureatosi in America con il massimo dei voti, membro attivo, importante ed integrato di una comunità che non lo percepisce affatto come diverso. Non perde però mai contatto con le proprie radici culturali, delle quali conserva costantemente il ricordo, e rimane una persona tollerante ed altruista con il prossimo, chiunque egli sia, e non impone le proprie idee a nessuno. La definizione di stereotipo riportato dalla Treccani è la seguente:

Modello convenzionale di atteggiamento, di discorso e sim.: ragionare per stereotipi. In partic., in psicologia, opinione precostituita, generalizzata e semplicistica, che non si fonda cioè sulla valutazione personale dei singoli casi ma si ripete meccanicamente, su persone o avvenimenti e situazioni (corrisponde al fr. cliché)

Alla luce di ciò che è stato scritto poco sopra, sembra che Apu incarni una visione generalizzata e semplicistica? Un personaggio come quello descritto sopra è riconducibile, più che altro, ad un modello e una fonte d’ispirazione per chiunque, indiani e non.

Membro di una rock band di successo, marito della donna più bella di Springfield ed esempio perfetto di self-made man. Proprio lo stereotipo dell’immigrato, eh?

Questo però il pubblico lo sapeva già. Lo sapevano anche i produttori, gli sceneggiatori e persino chi la serie non la guardava. Quindi perché toglierlo di mezzo? Semplice, per mascherare il fatto che l’Apu che abbiamo conosciuto non sia più lo stesso.

Ce ne siamo accorti da un po’ (più di 10 anni), I Simpson sono decaduti. Ormai sono solo lo specchio distorto e parodistico di ciò che erano una volta: una serie animata adulta con una forte carica sociale ed emotiva che ha fatto breccia nel cuore di molti. Fate caso che in ogni stagione Homer diventi sempre più stupido, ma ignorate che anche gli altri personaggi hanno perso la loro umanità lungo la via, diventando – indovinate un po’ – degli stereotipi.

Vi ricordate la saggezza e la dolcezza di Marge prima della sua deriva come esponente del MOIGE? E vi ricordate di Lisa? Quella bambina buonissima, fragile e intelligente esclusa da una società che marginalizza il talento e l’espressione artistica, che però trovava sempre la forza di rialzarsi e combattere le ingiustizie? (Vedi il magnifico episodio Il Signor Lisa va a Washington recuperabile qui) Probabilmente no, perché per voi Lisa è diventata lo stereotipo del social justice warrior rompiscatole.

La colpa è del pubblico, come al solito, perché ricordiamo che una serie va avanti solo se la si guarda. Potrete dire allo sfinimento che sia meglio che chiuda, ma finché continuerete a guardarla c’è poco da fare. Il pubblico non sa perché la serie sia più brutta, non sa che è perché ha sempre preferito le gag slapstick di Homer o le marachelle di Bart agli episodi visionari e scritti bene. Non gli passa neanche per la testa che la colpa sia delle sua superficialità, che sia stato lui a rendere I Simpson uno stereotipo. Perché la colpa è sempre degli altri, vero? Degli sceneggiatori con poche idee, dei produttori avidi e senza scrupoli, dei documentari che non si fila nessuno. Molto plausibile, molto maturo, molto alla spettatore medio de I Simpson.

Volevate la risata facile? I produttori e gli sceneggiatori vi hanno accontentato, ed ecco che Apu diventa davvero lo stereotipo dell’immigrato indiano con diecimila figli, una moglie rompiscatole e commerciante di prodotti scadenti se non addirittura velenosi.

Ma il produttore sa che il suo pubblico è ignorante, che anche se non conosce il vero motivo per cui si porta dietro un personaggio da trent’anni, qualcosa di quella profondità è rimasto.

Una volta era un bel personaggio, ora è solo un problema da risolvere…

Il documentario The problem with Apu non è altro che lo specchio di ciò che I Simpson sono diventati: una serie superficiale fatta di battute dozzinali e critiche sterili, taglienti quanto una mazza da baseball. Allora il pubblico comincia a chiedersi: ma se Apu non è un personaggio brutto e stereotipato, come mai ora, quando guardo la serie, non mi piace più? Ed ecco che suona il campanello di allarme della produzione, la quale vuole mantenere i bassi standard perché più facili da soddisfare, e quindi elimina Apu con la scusa del politically correct, quando poi il vero motivo è sempre lo stesso: tenere a bada un pubblico che non sa quello che vuole.

Un pubblico che capisce è un pubblico che ragiona. Un pubblico che ragiona non guarda più I Simpson. (cit. l’autore di questo articolo)

In un certo senso, quel documentario, ha solo dato alla produzione una nuova scusa per continuare la serie. Gli ha praticamente fatto un favore. “Tolgo Apu con la scusa del politically correct (quando poi nello stesso palinsesto continuano a mandare in onda serie come I Griffin e quella monnezza di Brickleberry) ed ecco che la serie ottiene nuova visibilità, nel bene e nel male”. Quello che conta davvero è l’audience, motivo per cui Netflix continua a fare seguiti brutti di serie belle e seguiti brutti di serie brutte, tanto a nessuno frega dell’opinione di critici e spettatori, l’importante è che se le guardino.

Il problema è che il pubblico, ciuccio e presuntuoso, non lo capisce e crede di essere più intelligente di persone che nel curriculum hanno scritto a caratteri cubitali “fare soldi da una vita alla faccia dei cretini che guardano la mia roba”. Pensano davvero che aziende come la Fox o la Disney si preoccupino dell’immagine negativa procurata da un personaggio secondario o dal tweet di un regista politicamente scorretto. La Fox e la Disney, aziende gigantesche (tra poco saranno una sola) che danno peso ad una fetta di pubblico così marginale che a stento arriva 1%? Non è che forse siete voi quelli che si alterano per le cose sbagliate? Ma no, continuate pure a prendervela con la presunta codardia dei produttori. Continuate a prendervela con le minoranze ogni qual volta si tenti di fare davvero un passo avanti verso l’inclusione. Tanto a rimetterci siete solo voi, le belle serie e i personaggi secondari come Apu.

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Vittorio Pezzella

Cercò per lungo tempo il proprio linguaggio ideale, trovandolo infine nei libri e nei fumetti. Cominciò quindi a leggerli e studiarli avidamente, per poi parlarne sul web. Nonostante tutto, è ancora molto legato agli amici "Cinema" e "Serie TV", che continua a vedere sporadicamente.

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Vittorio Pezzella
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