L’adattamento anime di Takopi’s Original Sin è il risultato straordinario dell’alleanza tra un produttore audace, un regista a lungo ignorato e uno studio emergente, uniti nel prendere decisioni che molti non osano neppure contemplare. Un percorso accidentato, che si traduce però in un’abbagliante incarnazione dell’appello alla comunicazione che attraversa l’opera.
Se siete sensibili a rappresentazioni di abusi fisici o di comportamenti suicidari, vi suggerisco di avvicinarvi a Takopi con cautela. Anche qualora questi temi non siano per voi scatenanti, è una serie che rende al meglio quando la si affronta con la giusta disposizione d’animo: nonostante il suo messaggio di speranza, si può rimanere invischiati nelle paludi di miseria che esplora, offuscando così gli aspetti più interessanti del racconto. Se però vi sentite pronti, proseguite pure: non ne scriverei se non ritenessi che si tratti di un’opera di grande valore.
Per comprendere perché l’anime di Takopi sia stata un’esperienza tanto sorprendente, vale la pena ripercorrere due sentieri che qui si intrecciano. Il primo riguarda una professione cui raramente dedichiamo l’attenzione riservata ai ruoli creativi: i produttori . Cercando il termine su internet trovereste decine di pagine dedicate al ruolo, ma spesso i produttori compaiono come figure laterali che citiamo perché rivelano aneddoti curiosi o perché ci aiutano a mappare le reti di relazioni professionali di un progetto.
Quando ci si concentra sui meriti artistici dell’animazione e sulle condizioni di lavoro che la circondano, la verità nuda e cruda è che la maggior parte dei produttori oscilla dal neutro al lievemente dannoso sul primo fronte, restando al contempo inerte nel cambiare uno status quo nocivo sul secondo.
Si tratta, ovviamente, di una semplificazione : non vale per tutti i produttori, e il termine stesso, come usato poc’anzi, ricomprende ruoli molto diversi, con responsabilità e interessi del tutto eterogenei. Anche andando oltre gli animation producer , più prossimi per natura alle squadre artistiche, esistono veri e propri “suit ” (dirigenti in giacca e cravatta ) le cui motivazioni e scelte hanno ricadute tangibili e affascinanti sul piano creativo. Uno di questi è Kotaro Sudo , le cui eccentricità sono ampiamente riconosciute.
In un intervista rilasciata all’attuale datore di lavoro , Sudo ha spiegato che la sua vera passione è la musica non riconducibile all’animazione, un ambito che, ammette con franchezza, non conosceva poi così a fondo. Ha riconosciuto di non possedere la conoscenza capillare di ogni prodotto otaku pubblicato che alcuni suoi colleghi vantano. Invece di gareggiare nel loro “gioco dei numeri ”, orientato a inseguire i successi annunciati, preferisce imbattersi in opere uniche che altri non osano avvicinare .
Ciò non significa, sia chiaro, che ignori le performance economiche: è guidato però da una convinzione forte, ossia se sei l’unico a realizzare un certo tipo di opera che nessun altro fa e la porti a termine con solidità, ti aggiudichi immediatamente quel mercato di nicchia . Questa mentalità da sola non garantisce il successo, ma finora ha alimentato una carriera di tutto rispetto.
Sudo ha inoltre illustrato come si rapporta alle squadre riunite per questi progetti insoliti. Considerandosi privo di “senso artistico ”, preferisce non intralciare i loro processi . Quello che può fare, però, è indirizzarle con piccoli stimoli verso direzioni che forse desideravano già esplorare. Nei suoi progetti non sono solo i titoli a essere fuori dagli schemi: spesso lo sono anche le modalità produttive. Il primo incontro con qualsiasi team creativo prevede una richiesta precisa: raccogliere tutte le idee che in passato sono state respinte o giudicate irrealizzabili altrove . Questo approccio gli consente di conquistarne la fiducia e rafforzare quella sensazione di unicità.
Ciò che non dice esplicitamente, ma appare evidente osservando la sua carriera e ascoltando come altri parlano di lui, è che è anche una figura eccentrica, naturalmente attratta dalle opere bizzarre . Che si tratti dei suoi esordi nella promozione (Seitokai Yakuindomo , Yosuga no Sora , Penguindrum ), dei primi incarichi da produttore (Joshiraku , Muromi-san , Shimoneta ) o dei titoli più recenti, ora che è un nome affermato nel settore (guardate Bravern ), la sua personalità esuberante lo magnetizza non solo verso generi poco battuti, ma anche verso opere intrinsecamente strane .
La manifestazione più chiara della filosofia di Sudo è il tema dell’intervista introdotta precedentemente: il coraggioso adattamento anime di Pop Team Epic . Come lì raccontato, Sudo si imbatté nel manga e ne percepì un forte potenziale salvo ricevere scetticismo quando presentò il progetto ai vertici di King Records.
Il veterano Akio Mishima , che ne sarebbe poi diventato produttore esecutivo, gli fece notare che in questo campo capita una sola volta nella vita di poter spingere davvero per un progetto specifico. E così fece: non solo ottenne l’approvazione, ma convinse l’azienda a finanziarlo interamente , un fatto che Pop Team Epic si diverte poi a sbeffeggiare più volte in scena, con le sue sfrontate protagoniste ben liete di “bruciare ” il denaro di King Records.
Eppure ha funzionato . Una serie che ostenta orgogliosamente il proprio essere “shitty ”, che accoglie una vasta gamma di artisti sperimentali e che presenta persino una struttura e una rotazione di doppiatori mai viste prima . Tutto ciò ha dato ragione a Sudo: realizza qualcosa di unico , eseguilo alla perfezione e diventi immediatamente il re di una nicchia virale.
Si potrebbe pensare che il produttore che aveva pianificato tutto avesse l’occasione ideale per restare in azienda e gongolare per la scommessa vincente, sfociata in un sequel non previsto, ma, nel più puro stile Sudo, ha spiazzato tutti lasciando King Records . Affidando Pop Team Epic S2 alla sua altrettanto temibile protetta , ha rifiutato di capitalizzare in modo prudente sul suo, per altri, inaspettato successo, scegliendo invece di entrare nella rete televisiva TBS per proseguire la propria carriera di produttore.
Sebbene da allora Sudo sia emerso in alcuni titoli interessanti, una recente intervista con Mantan conferma che solo ora stiamo vedendo i primi progetti che aveva pianificato al suo arrivo nel nuovo incarico. Il primo è una produzione cinematografica che adatta, nientemeno, degli snack educativi.
Tabekko Doubutsu è un modo divertente per insegnare ai bambini i nomi degli animali , ora portato in vita dallo stesso studio dietro l’animazione di Lupin the 3rd e dei film di Sonic . In un’epoca definita dalla comunicazione tramite social media e altri canali online, Sudo ha visto in un concetto universalmente apprezzato come gli snack un collegamento fisico ancora rilevante . E, come contraltare di un’idea così rassicurante, il produttore ha puntato anche su un’opera molto più gravosa che ha la comunicazione come tema: Takopi’s Original Sin . Biscotti e una rappresentazione senza sconti degli abusi sui minori : il classico uno-due dopo l’ingresso in una nuova azienda, almeno nella mente di Sudo.
La conversazione con Mantan sopra citata ha permesso al produttore di dimostrare la sua comprensione del materiale di partenza, così come la consapevolezza delle responsabilità legate alla gestione di temi tanto sensibili.
Sudo si è spinto fino a dire che riunire semplicemente animatori tecnicamente brillanti e appariscenti sarebbe stato inutile se non avessero compreso le tematiche della serie ; una considerazione da tenere a mente quando si osservano le persone che sono (e i loro conoscenti che non sono ) in posizioni importanti all’interno del team.
Il suo stesso rapporto con la serie ha attraversato un intero arco, mentre elaborava le proprie reazioni: è iniziato con l’apprezzamento, ma anche con la preoccupazione che i contenuti estremi venissero decontestualizzati e prendessero vita propria come meme durante la pubblicazione del manga. Alla fine, Sudo è giunto alla conclusione che l’autore originale Taizan5 stesse “armando ” gli eventi più d’impatto per attirare l’attenzione sul suo appello a una comunicazione migliore e più onesta.
Da allora, il produttore ha iniziato a delineare un piano affinché Takopi mantenesse il suo taglio originario: non troppo “affilato ”, al punto da perdere dettagli preziosi, ma nemmeno smussato e logoro. L’idea alla base della sua soluzione è piuttosto semplice, ma per capirne il peso vale la pena chiedersi: qual è l’aspetto più limitante del racconto serializzato negli anime?
Forse, contrariamente al senso comune, non sono i calendari di produzione e le spesso pessime condizioni, né le regole, scritte o implicite, su ciò che può andare in onda in TV. Detto questo, tutti questi elementi contano e vanno sempre considerati quando ci si domanda perché una team creativo abbia preso una certa decisione.
La restrizione più spietata è qualcosa di così radicato che la diamo per scontata, pur avendo ricadute più fondamentali: la regolazione della durata . La forma più comune di anime serializzati è, di gran lunga, lo show televisivo. Questi progetti richiedono inevitabilmente di costruire episodi entro slot da 30 minuti, che includono anche gli spazi pubblicitari. Ne risultano puntate di circa 24 minuti , di cui circa 3 riservati a una opening e una ending di durata fissa.
Si può lavorare su multipli di questi numeri (gli episodi doppi non sono rari ) ma il paradigma non cambia . E così come la cadenza è settimanale , altrettanto rigida è la struttura stagionale : le serie vivono in cour da 12/13 episodi perché così è organizzato il palinsesto televisivo in generale; discostarsene introduce attriti che i produttori non desiderano.
È ovvio, ma le storie non nascono come tasselli uniformi che, impilati in esatta dozzina, portano a una conclusione soddisfacente. Ciò è ancor meno vero per gli adattamenti , il pane quotidiano dell’animazione televisiva. La struttura interna dell’opera originale non era vincolata a queste regole e, se lo era, rispondeva a quelle di un altro medium, con ritmi differenti . Questo disallineamento è alla base di molti problemi di composizione della serie, ma la sua natura cronica porta a rassegnarsi troppo in fretta all’idea che “le cose stanno così ”.
Vale la pena notare che lo status quo, per quanto distorto, risulta più confortevole della prospettiva, spaventosa, del cambiamento per chi produce. Questo spiega perché l’era dello streaming abbia, nel migliore dei casi, solo limato quei numeri, nonostante le questioni alla radice siano irrilevanti per i video online.
Alla fine prevalgono l’inerzia dei flussi di lavoro tradizionali e la possibilità di “scaricare ” comunque il prodotto in TV, motivo per cui le serie web finiscono per essere pressoché identiche . Ragioni non creative del passato continuano a incidere in modo fondamentale su come si raccontano le storie negli anime serializzati, anche mentre guardiamo al futuro.
Detto questo, che un problema sia cronico non significa che non esistano palliativi . Le squadre creative affrontano regolarmente queste criticità, trovando modi, grandi e piccoli, per mettere in discussione le norme. Tali sforzi, insieme alla fatica che comportano, sono ben visibili nelle adattazioni più ispirate di questa stagione.
Il regista di The Summer Hikaru Died , Ryouhei Takeshita, ricopre anche il ruolo di series composer, guidando una silenziosa ristrutturazione dell’opera; non priva di controindicazioni, ma comprensibile nel tentativo di modellare l’arco narrativo sui limiti intrinseci del formato . Pur considerando le perdite dovute all’accelerazione di alcuni elementi del mistero, che erode quella preziosa sensazione di spaesamento iniziale, questa scelta potrebbe favorire un approdo soddisfacente entro il numero ristretto di episodi.
In un titolo meno dipendente dalla trama, ma fortemente interconnesso, il team di CITY in Kyoto Animation ha coinvolto l’autore originale Keiichi Arawi per decidere cosa adattare e persino cosa ampliare in animazione, privilegiando l’atmosfera rispetto alla semplice inclusione degli eventi.
Considerato che le messe in onda televisive delle opere dello studio sono quasi interamente accompagnate da spot propri, KyoAni può aumentare la durata settimanale fino ad avere, di fatto, veri e propri episodi extra a disposizione. Allo stesso modo in cui, nei momenti particolarmente importanti, gli anime televisivi saltano opening ed ending, anche queste scelte apparentemente minori possono fare molto per massimizzare le risorse .
Un altro aspetto decisivo è comprendere il fascino specifico dell’opera su cui si lavora, e quindi il dosaggio che meglio si addice all’esperienza. Ancora una volta, la struttura rigida della TV non è amichevole verso approcci distintivi, ma non mancano le eccezioni.
Le serie brevi, di solito accoppiate ad altri titoli per riempire lo slot regolare da 30 minuti, sono abbastanza comuni, e talvolta le aziende spingono anche per soluzioni meno convenzionali. Basti guardare l’attuale anime Food Court , che ha optato per sei episodi a durata piena. Rispetto alla media delle trasposizioni da webmanga leggeri, che tendono a sopravvalutare il tempo che il pubblico è disposto a dedicare a prodotti concepiti per lo scroll sui social e simili, questo progetto dimostra un’ottima comprensione dell’appeal del materiale di partenza . Aiuta, ovviamente, che la serie sia molto divertente già di per sé.
E Takopi , dunque? Proprio come Food Court , anche qui abbiamo a che fare con un materiale di partenza breve . Con due volumi che raccolgono 16 capitoli, la serie avrebbe richiesto un sostanzioso ampliamento per riempire un intero cour. Sebbene il team abbia mostrato disponibilità ad aggiungere contesto agli eventi in modo organico alla visione di Taizan, Sudo si è opposto con decisione a dilatare l’opera fino alla durata standard . In fondo, la natura di Takopi rende il “trattenersi oltre il necessario ” non solo un problema di ritmo, ma il rischio concreto di corromperne messaggio e incisività.
Il desiderio di rappresentare le realtà oscure dell’abuso sui minori è già di per sé difficile da bilanciare con l’inevitabile sensazione di sfruttamento che simili temi possono suscitare; cosa accadrebbe, allora, raddoppiandone la durata? La serie finirebbe per sguazzare troppo a lungo nella miseria, aumentando le probabilità di scivolare nel cattivo gusto e smussando brutalmente il suo filo attraverso la ripetizione di tragedie.
Comprendere che le decisioni sul numero di episodi non dipendono dalla scarsità di pagine da adattare, ma dal fatto che chi l’ha pianificata ha davvero compreso ciò che quelle pagine contenevano , è la chiave per capire perché questa trasposizione sia partita con il piede giusto.
In questo senso, vale la pena sottolineare che Sudo ha incoraggiato il team a mettere in discussione anche le consuetudini strutturali all’interno degli episodi . Fin dalle primissime fasi concettuali, e su sua indicazione, si è deciso di sfruttare davvero le piattaforme di streaming a cui l’opera era destinata, cosa che, come ricordato, avviene di rado persino a tanti anni dall’avvento della distribuzione online.
Per quanto sia già significativa la scelta di lasciare che opening (1:10) ed ending (1:05) sfidino lo standard del minuto e mezzo, ancor più importante è che ogni episodio di Takopi duri esattamente quanto i creatori hanno ritenuto opportuno . Ciò consente di raggruppare i capitoli in modo coerente e di gestirli con flessibilità, senza vincoli di minutaggio prefissati. Episodi della durata di 37:47, 21:35, 26:28, 23:41, 24:36 e 22:22 testimoniano la volontà di allontanarsi dalla norma in entrambe le direzioni , adattando di volta in volta il tempo settimanale alle specificità di ciascun segmento della storia, curato con attenzione.
Tutta l’accuratezza della pre-produzione può andare in fumo se non hai il team giusto, ma l’azzardo di Sudo ha pagato ancora una volta. Nel 2022, lo stesso anno in cui Takopi concluse la sua breve serializzazione, contattò una società di produzione d’animazione che non aveva mai realizzato una serie ; anzi, non aveva mai prodotto nemmeno un singolo episodio di anime. È il momento di parlare dell’altro grande attore di questo progetto: studio Enishiya .
Fondata nel 2018 dal produttore Shunsuke Hosoi , Enishiya ha sfruttato sin da subito la rete di contatti ereditata per partire al meglio. A uno sguardo superficiale, la carriera di Hosoi potrebbe far pensare a una figura più vicina alla pianificazione e al lato business, portando a sottovalutarne la prossimità con le troupe creative. Vale dunque la pena ricordare che, soprattutto durante il periodo in TOHO e con progetti come Hanebado! , Hosoi si è avvicinato in modo concreto ad artisti di rilievo. Tra questi figurano persone come Naoki Yoshibe (non a caso, presenza regolare nei progetti Enishiya fin dall’inizio ) e persino chi sarebbe poi diventato il series director di Takopi.
Da CEO della nuova compagnia, Hosoi ha saputo muovere i fili a ogni livello; una delle relazioni più importanti è con STORY , sussidiaria TOHO di Genki Kawamura , per la quale Enishiya ha subito contribuito a produrre gli spot di Tenki no Ko insieme all’ex animatrice KyoAni Chiyoko Ueno .
Con Hosoi impegnato a guidare lo studio, lo staff gestionale più giovane ha dovuto farsi avanti su varie mansioni produttive. Hiroshi Mitsuhashi , di scuola White Fox, è stato il primo, ma la figura che ha permesso il salto di qualità è stata l’animation producer Kei Igarashi . Formatasi allo studio 3hz negli anni in cui era un polo per giovani talenti, Igarashi è diventato in breve il produttore di riferimento di Enishiya per le sfide più importanti.
Non solo questo è ancora vero nel 2025, ma è anche diventato co-CEO in seguito alla discreta uscita di scena di Hosoi all’inizio di quest’anno. Un ruolo che oggi condivide con Yoshihiro Furusawa , i cui legami con TOHO e STORY dovrebbero tutelare la relazione, redditizia, che ha sempre sostenuto lo studio.
È probabile che, magari senza esservene resi conto, abbiate già apprezzato progetti Enishiya guidati da Igarashi tra il 2019 e il 2022. Il nome dello studio forse non spiccava da solo, ma si è dimostrato capace di confezionare visual all’altezza della fama altrui, e non solo semplici spot come quelli di Tenki no Ko .
Il primo grande traguardo è stata la produzione del music video Raison d’Etre nel 2019. Il cortometraggio, frutto della collaborazione tra il regista Ryu Nakayama e la superstar del design Mai Yoneyama , ha segnato la prima, massiccia convergenza in Enishiya di talenti d’animazione di prim’ordine. Oltre a soddisfare le esigenze tecniche poste dai design di Yoneyama, si è distinto come un ritratto incisivo della lotta con la propria identità , con letture di genere molto esplicite.
Negli anni successivi in studio non sono certo mancati videoclip straordinari, affiancati (e talvolta fusi ) a lavori più propriamente commerciali per garantire un flusso di cassa sano. Ogni volta che mettevano in cantiere uno di quei progetti più ambiziosi, il magnetismo tra creatori eccezionali allargava ulteriormente la loro notevole rete di relazioni.
Vale per il loro seguito del 2020 a un certo MV di Rie Matsumoto , ma soprattutto per gli stupefacenti echi di FLCL firmati Chinashi e Moaang in Sore wo Ai to Yobudake . Non paghi, hanno trovato anche il tempo di realizzare altri splendidi corti come Massara , costruito sull’intimità e sulla finezza recitativa di Keita Nagahara , un altro maestro tecnico formatosi nella sede di KyoAni a Osaka.
Persino un’idea apparentemente assurda come un letterale “Ed Sheeran sakuga ” può dare risultati notevoli se ti affidi a questa squadra.
Questo aiuta a capire perché, pur non avendo all’attivo nemmeno un episodio, un produttore come Sudo fosse incline a fidarsi di loro . Se ciò era vero già all’avvio della pianificazione di Takopi, va ricordato che tra il 2022 e il 2024 lo studio ha partecipato ad alcune produzioni televisive di alto profilo.
Il debutto con Do It Yourself!! #05 (regia e storyboard di Eri Irei , oggi nota come Rikka ) è stato più che impressionante: un episodio rifinito al livello delle migliori prove di un anime già bellissimo, perfettamente accordato alla sensibilità di una serie che celebra il “fare con le mani ”, e per fortuna il team sa animare con tanta delicatezza quanta potenza . Sul piano produttivo, spicca l’attenzione all’artigianato in pratiche come l’in-between svolto esclusivamente in patria; non per una questione di nazionalità, beninteso, ma per evitare la miriade di problemi che molti incontrano subappaltando all’estero.
I due episodi successivi prodotti da Enishiya hanno infine valso loro un riconoscimento più ampio, complice anche la popolarità enorme dei titoli cui erano associati. Dungeon Meshi #06 si inserisce alla perfezione nella strategia di outsourcing di alto profilo della serie.
Ancora una volta, non hanno ottenuto tutto a forza bruta. La prima metà dell’episodio ha un fascino olistico, grazie al fatto che il rientrante Nagahara (qui regista e storyboard artist ) l’ha animata integralmente insieme al co-supervisore Hiroaki Arai . I due, soprattutto il primo, sfruttano un’impressionante resa dello spazio fisico per condensare in un’unica inquadratura divertente una molteplicità di gag che su carta occupavano più pannelli.
Con l’energia risparmiata da questo approccio, la seconda metà impiega quelle qualità volumetriche dell’animazione in modo ben più esplosivo. Spiccano in tal senso Ren Onodera e Toya Oshima , quest’ultimo anche altro direttore dell’animazione e vero coltellino svizzero del team stabile di Enishiya.
E il terzo episodio prodotto dallo studio? Sebbene il series director di Takopi avesse già collaborato con questo team, il suo ruolo di regista e autore dello storyboard in Frieren #14 è lo spunto perfetto per presentarlo e coglierne il fascino discreto. E cioè: Shinya Iino , spesso indicato con il suo pseudonimo online Ponte .
L’ultimo protagonista di questa produzione è, affettuosamente, un “sakuga nerd ” approdato ai ranghi alti : non solo creatore, ma anche partecipante attivo alle community dedicate all’animazione. All’interno dell’industria si è messo in luce innanzitutto nello staff gestionale di Kinema Citrus , in un’epoca in cui lo studio era sinonimo di giovani talenti promettenti; curiosamente, come diretto predecessore del fenomeno analogo che abbiamo menzionato a proposito di 3hz.
Ponte si è affermato come regista d’episodio proprio in quella stagione d’oro, contribuendo a titoli come Barakamon mentre scalava costantemente le gerarchie. Ma questa è solo metà del quadro. La sua presenza nella comunità giapponese del sakuga non è una curiosità del passato: è un tratto che si è evoluto di pari passo con la sua carriera professionale .
Persino il fatto di aver lanciato un proprio programma radiofonico può essere letto come un ponte tra il fandom e i contributori attivi dell’industria, soprattutto se si considera quanti partecipanti a quel programma hanno seguito traiettorie simili. Tra questi figurano nomi come Yuji Tokuno alias Mutobe (regista di uno degli episodi più impressionanti dell’anno, YAIBA #06 , e prossimo al debutto come series director ), Masato Nakazono alias zono (tra i registi emergenti più affidabili nell’orbita di MAPPA al momento ) e la superstar del compositing Fukkun , per citarne solo alcuni.
Grazie a questi legami con comunità appassionate di animazione e a un curriculum in crescita che dimostrava la sua capacità di tradurre tali interessi in una televisione coinvolgente, la percezione di Ponte tra gli addetti ai lavori è sempre stata positiva. E presso il pubblico più ampio?
Chi tende a notare gli artisti solo quando guidano un intero progetto si è mostrato più scettico. Il motivo è semplice: l’animazione fortemente limitata delle prime stagioni di Dr. Stone ha penalizzato la reputazione di Ponte, poiché era il titolo a cui il suo nome risultava più visibilmente associato.
È vero che la prima stagione di Made in Abyss , dove ha ricoperto il ruolo di assistant series director, è un’opera osannata dalla critica, ma i riconoscimenti più visibili sono andati ad altri creatori. E questo ci porta a un’altra caratteristica interessante: anche quando partecipa a lavori amatissimi, lo stile di Ponte non è necessariamente appariscente come quello dei colleghi più celebri, pur risultando spesso tra i contributi più solidi delle produzioni cui prende parte.
Al di là della regia di Ponte, Frieren #14 presenta anche Nagahara come animatore e la presenza di molte persone che si riveleranno poi fondamentali per la produzione di Takopi.
Possiamo ricondurre tutto a Frieren #14 , che si configura come una vetrina eccellente per quelle abilità in senso lato sottovalutate. Nella prima metà, la disputa tra Fern e Stark è resa con un grado di chiarezza emotiva assente nell’opera originale. Ponte mostra i suoi fondamentali nell’uso delle ombre, con le implicazioni narrative che portano nello storyboard, senza rinunciare a un naturalismo sufficiente a evitare che lo spettatore alzi gli occhi al cielo di fronte alla metafora più plateale.
Pur non essendo il tipo di regista che “scuote la barca ”, si adatta volentieri agli scenari in cui l’apparato animativo è effettivamente presente, aggiungendo idee caratterizzanti come la cenere che cade quando l’omonima protagonista accarezza Sein. Il suo modus operandi consiste proprio in questo: comprendere il perimetro, adattarvi le proprie intuizioni, e accumulare abbastanza trovate artigianali da fare silenziosamente la differenza .
Le idee più ampie di Ponte arrivano nella seconda metà dell’episodio , sebbene non siano roboanti al punto da essere colte da tutti, non in una serie con tanta “potenza di fuoco ”. Ciò non le rende certo inferiori; Frieren #14 funziona tanto meglio grazie alla sua resa comica del furto del carro e dei ricordi di Frieren, alla costruzione enfatica (che sfrutta l’ottimo controllo dello spazio fisico di Ponte ) verso ciò che si rivela rapidamente una cattiva strategia, e a innumerevoli dettagli come il fatto di far ondeggiare costantemente i personaggi mentre la creatura batte le ali.
Spesso, la sua qualità maggiore come regista è che questi piccoli innesti risultano così naturali da essere dati per scontati dallo spettatore . I registi adattabili e felici di restare defilati vengono facilmente trascurati, ma ciò non significa che siano mediocri nel loro lavoro. Come dimostra Ponte , non è necessariamente così.
Affidando tutto a un regista e a uno studio insospettabilmente capaci, la visione di Sudo, un Takopi d’impatto ma anche ponderato , è diventata possibile. Il livello di perizia grafica lungo l’intera serie è notevole, costante nella qualità fino alle fasi finali e, al contempo, sorprendentemente vario negli angoli stilistici.
È innegabile che si tratti di una delle migliori produzioni anime dell’anno ; in una stagione regolare si sarebbe facilmente aggiudicata la corona estiva, ma un’anomalia a forma di metropoli si è messa di traverso. Non è un’esagerazione dire che questo ha consolidato la crescita di Enishiya come l’ascesa più esemplare nell’industria degli ultimi tempi.
Mentre altri studi nuovi (come CyPic o Soigne) hanno fatto molto rumore sin dal debutto, l’escalation graduale di Enishiya appare come l’esempio da seguire . Se nei prossimi anni procederanno con serie complete e lungometraggi selezionati con cura e ben distanziati, avranno completato la crescita per gradi più perfetta che si possa pianificare. Notevole, considerando che non hanno sacrificato la qualità lungo il percorso.
Takopi ha beneficiato di tutti gli aspetti positivi che abbiamo esplicitamente evidenziato, e anche di alcuni che abbiamo lasciato impliciti . Uno dei motivi per cui era importante sottolineare che la pianificazione è iniziata già nel 2022 era chiarire che la produzione effettiva ha coperto un arco di tempo insolitamente lungo , fino a due anni per chi è stato più coinvolto. È una condizione necessaria quando si punta a un’animazione con questi standard qualitativi; tuttavia, non bisogna interpretare il risultato come se fosse stato tutto semplice.
La lavorazione di Takopi si è conclusa solo pochi giorni prima della messa in onda dell’ultimo episodio , con alcuni membri del team piuttosto provati dalla natura del titolo e dall’elevata richiesta qualitativa. Pur non scendendo mai a livelli preoccupanti, si può notare che il finale, in particolare, non lascia spazio a fronzoli. E, anche se non fosse stato così, resta il fatto che sono arrivati a ridosso della scadenza. Uno studio che cerca di comportarsi “nel modo giusto ” come Enishiya non è comunque immune da questi problemi , specie a fronte dell’ambizione.
Per quanto sia importante tenere presente tutto ciò, anziché la sua conclusione, dovremmo soffermarci ancora sulle fasi iniziali del progetto. Takopi può essere affrontato da varie angolazioni , ma, francamente, molte di esse porterebbero a un’esperienza frustrante e autolesionista.
Il desiderio di Ponte di non compiacersi della violenza, accennato nella sua intervista con Mantan , è un principio fondamentale che lo ha posto sulla stessa lunghezza d’onda del produttore sin dalla genesi del progetto. Detto ciò, il regista richiama anche la visione di uno dei suoi mentori: Masayuki Kojima , che ha guidato il già citato Made in Abyss con Ponte al suo fianco. Di fronte a opere altrettanto gravose, Kojima sostiene l’idea di affrontare ogni singolo tema esplorato in origine, ma è anche il tipo di autore che fa un passo indietro , vigile, per tenere d’occhio i personaggi.
In termini di Takopi, significa non arretrare davanti alle rappresentazioni dell’abuso , anche se (e in una certa misura proprio perché ) sono difficili da accettare, ma al tempo stesso evitare di indugiare sulla violenza fino a dimenticare la dignità e la soggettività delle vittime.
Anche definita questa posizione di fondo fin dall’inizio, l’inquadratura narrativa ha richiesto ulteriore fine-tuning prima di consolidarsi. Ponte menziona un cambiamento rispetto a un’impostazione più centrata su Shizuka, che avrebbe messo lo spettatore nei panni di una vittima di trascuratezza genitoriale e di gravi vessazioni scolastiche, fino ad arrivare alla versione che abbiamo visto: una “camera ” più vicina all’alieno del titolo, con il suo ottimismo ingenuo ma anche ammirevole.
Ciò è coerente con la volontà del team di offrire subito barlumi di speranza ; Takopi è in ultima analisi un racconto edificante , ma è facile dimenticarselo nel susseguirsi di eventi spesso cupi che conducono a quella conclusione.
Scelte come avvicinarsi appena al polpo felice e rendere più chiari i pantaloni di Shizuka contribuiscono a un sentimento per cui, per quanto buia sia la situazione, in quel mondo esiste ancora una quota di speranza .
Quest’ultima decisione è stata ovviamente presa dalla color designer Yuki Akimoto , una delle migliori nel settore, ma vale la pena notare che anche la prima lo è stata. In linea con la sua attitudine a lasciare spazio agli altri, Ponte è molto aperto ai feedback di chiunque nel team. La sua comprensione ampia dell’animazione lo porta a ritenere che, se la si intreccia con il racconto, allora tutti i suoi elementi sono tessere dello stesso puzzle .
La compartimentazione può essere utile dal punto di vista gestionale, ma crederci troppo sul piano creativo è intrinsecamente limitante. Certo, il ruolo principale di chi si occupa di colore e design non è “scrivere ” la storia su carta, ma proprio quegli strumenti sono tra quelli che, in ultima analisi, daranno vita a quello script . Tanto vale, dunque, ascoltarne anche la visione d’insieme. Non è un caso, allora, che Takopi abbia affidato a Awoi Otani i color scripts che definiscono gran parte della “texture ” dell’adattamento (come già era accaduto per l’inaspettatamente atmosferico anime Makeine ).
Se entriamo nel primo episodio, il series director lascia effettivamente i riflettori a un altro: il character designer e chief animation director Nagahara . Nel manga, Taizan accosta la durezza degli eventi a disegni grezzi, volutamente scomposti. È proprio il tipo di qualità illustrativa che tende a perdersi nell’adattamento animato, che richiede una miriade di disegni e la loro messa in movimento. Date le circostanze eccezionali del progetto e le competenze di Nagahara, però, qui si procede segno per segno con l’autore originale nel raffigurare le conseguenze dell’abuso .
Ponte ha spiegato che questo livello di riproduzione, e persino di elevazione, di tale aspetto è stato così oneroso da non poter essere usato senza parsimonia. Quando possibile, però, la penna di Nagahara ha portato la serie su un altro livello . E il primo episodio ne è una vetrina clamorosa.
È superfluo dirlo, ma il motivo per cui questo punto è così importante in Takopi non è il traguardo tecnico in sé, bensì l’effetto viscerale sullo spettatore . Riguardando i lavori precedenti di Nagahara, spiccano la rappresentazione dello spazio e un’animazione tangibile. La prima amplifica il senso d’immersione, favorendo un layout che rende la serie ancor più vicina al classico di culto Alien 9 . Ma è la seconda a fare la differenza per Takopi.
Se in passato Nagahara ha impiegato questa qualità tattile in modo tenero (e qui ne ritroviamo traccia nelle sue stesse key animation ), l’impegno in uno stile che ti fa “sentire ” l’animazione produce un effetto del tutto diverso quando si affrontano eventi così agghiaccianti.
Prima ancora di ogni rappresentazione dell’abuso, ancor prima dell’opening, la durezza della vita di Shizuka è palpabile nella consunzione dello zaino. La gravità della sua condizione viene trasmessa gradualmente attraverso dettagli come questo, con un impatto che trascende di gran lunga l’informazione oggettiva del tipo “i suoi effetti sono vecchi e ricoperti di insulti ”.
Quando poi l’estensione completa dell’abuso diventa esplicita , eventi già laceranti risultano ancor più insofferenti grazie (o per via ) dell’artwork: uno stile non realistico, ma così minuzioso da amplificare gli effetti della violenza reale. Credo che questo contribuisca in modo determinante a rendere la serie speciale, pur riconoscendo che in alcuni punti si spinge troppo oltre.
La resa delle ferite di Shizuka è talmente raccapricciante da mettere alla prova la sospensione dell’incredulità, soprattutto nei successivi episodi in cui è visibilmente ferita persino in classe. Un boccone difficile da mandare giù, anche tenendo conto dell’impianto soggettivo, e troppo vicino a una gratuità indesiderabile vista la sensibilità dei temi. Resta, comunque, un difetto marginale a fronte dell’enorme valore complessivo .
In questa prima parte abbiamo visto come l’azzardo produttivo di Kotaro Sudo , dall’idea di non “allungare ” Takopi a forza di minutaggi TV, fino alla scelta di episodi dalla durata variabile su piattaforme streaming, non sia un vezzo, ma la condizione che ha permesso all’adattamento di rimanere affilato senza compiacersi del dolore che racconta . È un disegno nato già nel 2022, con una pre-produzione lunga e consapevole, e con l’obiettivo dichiarato di preservare il nucleo etico dell’opera.
Su questa base si innesta l’ascesa di Enishiya (e del suo network guidato da Igarashi ) e la regia “silenziosa ” di Ponte : una filiera che ha fatto della misura e della flessibilità formale il proprio vantaggio competitivo , fino a consegnare una serie solida, variata negli accenti stilistici e coerente nel messaggio. In altre parole: la forma è già significato , ed è proprio da qui che ripartiremo.
Nella seconda parte di questo approfondimento, entreremo nel “come ” queste scelte si traducono a schermo: contrasti di linguaggio , prospettive soggettive che si scontrano , musica e messa in scena che raccontano più dei dialoghi . Un viaggio dal macro della produzione al micro dei singoli episodi, dove ogni decisione visiva è un pezzo della tesi di Takopi .
INFORMAZIONI AUTORE ALTRI SUOI ARTICOLI
Iniziò tutto all'età di tre anni, quando per la prima volta trovai il coraggio di premere il pulsante di accensione di quella "catapecchia" che, un tempo, era il "non plus ultra" della tecnologia. Era il mio tutto: la mia attrezzatura nell'esplorazione di antiche tombe dimenticate nei panni di un'atletica archeologa, la mia auto tra le strade di San Francisco e Miami nei panni di un ex pilota di auto da corsa diventato poliziotto, fino ad essere la mia cara Normandy a spasso tra le stelle della Via Lattea. Questi viaggi, che non dimenticherò mai, mi hanno reso, grazie ai loro valori e messaggi intrinseci, la persona passionale, curiosa e caparbia che sono oggi. La scrittura è il mio unico strumento per trasmettere i principi positivi che questo percorso infinito mi ha lasciato, e questo "Spazio" è l'Infinito che mi permette di condividerli. Ti andrebbe di proseguire questo cammino insieme? E ricorda: "la meta è partire" (Giuseppe Ungaretti).
Seguici su tutti i nostri social!