Ho avuto il piacere e l’onore di ricevere i primi tre volumi di WIPE , una nuova collana di Unicopli diretta da Luca Porro , curata da Giorgia Taruffi e supervisionata da Ilaria “Shasam” Gentili . Seguo il progetto sin dal primo annuncio, principalmente per due motivi: stimo molto le autrici e gli autori coinvolti per il loro alto livello di competenza , e apprezzo l’accattivante identità visiva dei libri, che cattura la loro essenza pur nella sua semplicità e pulizia .
In questo articolo intendo recensire la cura editoriale di WIPE e il primo libro che ho letto, Ethos della violenza videoludica , che vede la penna di Elena Del Fante .
WIPE: i videogiochi come non li avete mai visti WIPE si pone l’ambizioso obiettivo di rileggere i videogiochi con uno sguardo diverso , analizzandoli da un punto di vista antropologico, psicologico e socio-culturale. Partendo dal presupposto che questo medium ha un valore intrinsecamente artistico e parla a , per e di noi , è ora arrivato il momento di “voltare pagina”, “fare chiarezza” e “liberarsi da un passato lavorativo che non ci rappresenta più, da un modo superato di fare le cose, da narrazioni che riducono il videogioco a chiacchiera, cliché, pregiudizio”. Ecco che allora i videogiochi non solo vengono redenti da stereotipi ormai vetusti, ma vengono anche presi come opportunità , strumenti che possono contribuire alla nostra crescita personale e arricchirci.
Giorgia Taruffi sceglie il bitmap come tratto stilistico di tutti i libri di WIPE, un elemento che rappresenta insieme la continuità passato-presente-futuro e il passaggio dalla confusione alla messa a fuoco , alla centralizzazione della questione. Un simbolo che rappresenta perfettamente la missione del progetto – la quale, a mio dire, è riuscita a pieni voti. Il nero e il giallo ricordano poi le classiche strisce poliziesche, indice della criminalizzazione del medium cui gli autori vogliono opporsi.
La precisa e attraente identità visiva, unita a una carta di ottima qualità , a una bilanciata grandezza del font dei testi e a una buona suddivisione dei capitoli , rende i singoli volumi non solo delle opere facilmente maneggevoli , ma anche dei prodotti efficaci , caratteristica importante in un’epoca in cui i libri si vendono prima di essere letti. Una sola nota dolente: ho trovato una serie di errori di grafia e di stampa , più di quelli che mi sarei aspettata di vedere in una collana così curata. Suggerirei di porre un po’ più di attenzione in fase di revisione, ma è un’inezia. WIPE rimane una collana che sa il fatto suo e porta a compimento ogni suo obiettivo .
Ethos della violenza videoludica: retrospettive di un tabù A dicembre ho concordato il titolo della mia tesi di triennale con la mia relatrice: Educazione sentimentale attraverso i videogiochi . Quando sono tornata a casa e mi sono addentrata nell’agognante fase di ricerca bibliografica, avevo in mente di inserire un contributo di Elena Del Fante: conoscevo già la sua figura, i suoi metodi che uniscono la psicoterapia al mondo videoludico , e desideravo approfondire da tempo la scuola di Video Game Therapy – di cui, tra l’altro, avevo già un piccolo accenno grazie a una lezione in università tenuta da una ricercatrice che ha collaborato alla stesura del manuale .
Sapevo che, qualsiasi saggio avesse deciso di portare per WIPE, mi sarebbe stato utile sia in termini di conoscenze, sia nella mia ricerca. Il caso vuole che sia finita a studiare, nello stesso momento, Video Game Therapy®. Teoria e pratica clinica e Ethos della violenza videoludica : è stata un’esperienza mistica e davvero arricchente .
In Ethos della violenza videoludica , Del Fante opera una retrospettiva del concetto di violenza e analizza il suo fallace collegamento con i videogiochi , ribaltando completamente lo stereotipo. L’analisi della psicologa è lineare e chiara, grazie anche alla sua suddivisione in livelli: Venter ricostruisce la storia della violenza nei media; Mens mostra i dati e le analisi psicologiche sulla violenza simulata e sull’uso dei videogiochi; Cor opera una riflessione ad ampio respiro sul significato simbolico e culturale della violenza videoludica; Animus conclude la ricerca con un invito a riconsiderare il medium nei suoi aspetti positivi e trasformativi. L’opera segue esattamente il viaggio che intraprendono i sentimenti della violenza nell’essere umano, illuminandone le ombre oltre ogni tabù .
Del Fante comincia la trattazione da un’importante, fondamentale premessa: la violenza è una costante dell’esistenza umana ; basta accendere il telegiornale delle 20:00 per rendercene conto. Tuttavia, spesso, l’opinione pubblica utilizza questo termine a sproposito, come sinonimo di aggressività , ma sono due concetti che in psicologia sono nettamente differenti. L’aggressività racchiude tendenze e atteggiamenti socialmente considerabili come ostili, a danno di qualcun altro; la violenza si pone invece come la parte più distruttiva dell’aggressività, esprimendo comportamenti intenzionalmente messi in atto per ferire terzi. Se l’aggressività è intrinseca nell’essere umano ed è funzionale alla nostra sopravvivenza, la violenza si rimette alle facoltà decisionali di ognuno di noi.
Questa chiarezza terminologica è fondamentale per capire il messaggio di Ethos della violenza videoludica : i videogiochi agiscono come sfogo ed esperienze catartiche delle nostre tendenze aggressive .
L’unica differenza tra vedere un sanguinoso film d’azione, picchiare qualcuno tra i vicoli di Grand Theft Auto o sparare agli avversari su Call of Duty è il livello di partecipazione attiva del giocatore che, come dimostrano gli studi illustrati da Del Fante, rimane in ogni caso assolutamente consapevole di essere dentro una dimensione fittizia e non subisce alcun condizionamento nella vita reale. Questo perché il player , per immergersi nel gioco, ne accetta implicitamente le regole e definisce liberamente la propria partita. Non è il videogioco in sé ad obbligarci ad adottare comportamenti violenti; siamo noi che, consapevolmente o meno, scegliamo sempre quando e come portarli avanti.
Come abbiamo detto poco sopra, Ethos della violenza videoludica insiste nell’attribuire ai videogiochi una funzione catartica. Dal punto di vista psicologico, giocare aiuta a liberarci di tutte quelle emozioni e pulsioni che non trovano altra via di sfogo nella nostra vita quotidiana , attraverso sfide, obiettivi e ricompense che ci motivano e stimolano nel continuare l’esperienza di gioco.
Non è tanto diverso dal praticare uno sport – a questo proposito, Del Fante dedica anche un dignitoso paragrafo agli e-Sport -, dal suonare uno strumento o da un qualsiasi altro hobby che ci permette di esprimerci liberamente . Perché allora il videogioco viene preso continuamente di mira dall’opinione pubblica, nonostante la comunità scientifica abbia da tempo smentito e smontato ogni stereotipo e connessione con la violenza? Lascio a voi trovare la risposta.
Ethos della violenza videoludica è un saggio che si propone non tanto di dare ragione a noi poveri videogiocatori schiacciati da mille falsi miti, quanto di offrire un’occasione di riflessione sul perché esistono, al fine di poter dialogare e confrontarsi con chi la pensa diversamente. Quest’opera ci dà gli strumenti per costruire uno sguardo critico e non giudicante , che ci consente di aprirci davvero al diverso , anziché chiuderci nella nostra comunità perché il pubblico non ci capisce.
Il videogioco è un linguaggio artistico e, come tale, può avere mille sfumature e utilizzi : sta a noi saperli apprezzare, comunicare e raccontare agli altri. Ed è quello che WIPE ed Ethos della violenza videoludica riescono a fare, con risultati spettacolari.
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