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Il successo internazionale ha rovinato gli anime?

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Il Successo Internazionale ha rovinato gli anime?

Quache giorno fa mi sono imbattuto in una interessante intervista di una delle menti più apprezzate del settore anime, il regista di Frieren e Bocchi the Rock!, Keiichiro Saito. Interrogato da Mantan Web sulla sua collaborazione con il progetto Global Anime Challenge, Saito ha affermato di avere la sensazione che gli anime di successo oltreoceano siano tutti un po’ tendenti ad uno stile specifico. Citando il regista direttamente: “I have a vague feeling that the Japanese anime that overseas fans go crazy about may be a little biased“.

Al di là dei tanti articoli che riportavano in modo sensazionalistico queste affermazioni, il parere di un professionista del settore che stimo (o meglio adoro, ndr.) mi ha suscitato non poche domande e stimolato alcune riflessioni.

Davvero il successo internazionale rischia di influenzare le produzioni degli anime in Giappone? Il gap culturale sui prodotti animati è così importante tra madrepatria e resto del mondo? La trasformazione in fenomeno globale del medium ha realmente rovinato la qualità? Proviamo a scoprirlo.

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La crescita internazionale del fenomeno

Partiamo dai puri e semplici dati: come è cresciuto il fenomeno anime nel corso degli ultimi anni?

Prendiamo per esempio i dati della Association of Japanese Animations (AJA) nel 2002: il valore del mercato è di circa un miliardo di Yen e la quota estera si aggira intorno al 20% degli introiti.

Ora prendiamo come dato intermedio il 2012: la crescita in termini di valore economico è di un +22% e la quota di mercato internazionale è aumentata di soli cinque punti percentuali. Una crescita tutto sommato costante ma lenta.

Molto più interessante invece quello che accade nei 10 anni successivi e nell’ultimo report del 2023: tra il 2013 e il 2022 il valore in yen del mercato praticamente raddoppia, con la fetta rappresentata dall’estero che raggiunge quasi la metà degli introiti. Nel 2023 poi il definitivo sorpasso, con un’altra netta impennata di valore dell’industria dell’animazione nipponica di cui ora più della metà deriva dai consumatori stranieri.

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Il perchè di questa trasformazione dell’industria si può ricercare in vari fattori che hanno cambiato sia la tipologia degli spettatori a cui è rivolto il prodotto, sia il loro metodo di fruizione. Ripensiamo infatti ai primi anni del 2000, quando gli anime ci arrivavano in televisione, centellinati e spesso ad orari assurdi, o tramite le VHS in edicola (primo episodio di GT non ti dimenticherò mai, ndr.).

A partire dall’ultimo decennio però, con l’avvento di Netflix ed altri servizi che hanno ribaltato il metodo di fruizione di tanti prodotti, la facilità di avere spesso tutto disponibile in maniera immediata e il progressivo abbattimento di barriere linguistiche grazie a traduzioni e doppiaggi in tantissime lingue, hanno reso l’industria anime un fenomeno ben sviluppato al di fuori dei confini giapponesi, anche per il pubblico più generalista.

Con una migliore distribuzione, traduzioni in più lingue ed in generale un’esposizione più elevata del medium al palcoscenico globale, il pubblico di fruitori di anime non solo è aumentato ma è anche evoluto. Al fianco dei classici appassionati ora abbiamo un esercito foltissimo di amatori, gente che approccia al mercato anime in maniera disinteressata e leggera, come accade per tutti gli altri tipi di media, dal cinema alla letteratura.

Di per se questo fisiologico cambiamento ha avuto, come indicato poco sopra, un effetto estremamente positivo sulla crescita dell’industria e sul suo sviluppo. Ad aumentare non è stato solo il numero di spettatori ma anche quello delle opere prodotte, dei lavoratori del settore, dei distributori internazionali e dell’eco mediatico dell’industria, portando così alla creazione di generazioni cresciute insieme agli anime anche fuori i confini giapponesi.

Il radicale cambiamento del paradigma intorno all’animazione giapponese ha posto le basi per rivoluzionare per sempre il mercato. Ma questa rivoluzione, fatta di numeri giganteschi, introiti da capogiro e una risonanza mediatica mai vista prima, rischia anche di compromettere la qualità e il lavoro dei creativi coinvolti?

Yuki Kajiura 6 Demon Slayer

Cosa piace al resto del mondo?

Riprendendo l’intervista di Saito che ha dato il via al nostro ragionamento, secondo il regista è normale che le cose pensate per essere popolari lo diventino. Prendiamo per esempio l’importanza mediatica di serie come L’Attacco dei Giganti, apprezzatissimo sia in patria che nel resto del mondo, ma lo stesso vale per Demon Slayer e per altri anime simili.

Avere un riscontro così positivo in determinati tipi di anime ha generato una crescita della domanda esponenziale, alla quale i creatori hanno risposto con un naturale aumento dell’offerta. Shonen e battle shonen per esempio stanno vivendo una fase estremamente prolifica, sulla scia di fenomeni come My Hero Academia, Jujutsu Kaisen e Solo Leveling.

Da qui nasce la preoccupazione di Saito: vedendo come il pubblico d’oltreoceano risponde, cavalcando spesso generi e storie simili, si rischia secondo lui di influenzare cosa viene prodotto, creando una spaccatura tra i creativi (e ciò su cui vogliono lavorare) e l’audience (con le sue richieste).

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Una visione opposta che si spiega anche guardando la diversità del mercato interno rispetto a quello internazionale. Se oltreoceano come dicevamo il dominio delle vendite è saldamente in mano ad alcune serie dello stesso genere con poche eccezioni, il mercato giapponese è sempre vario e spesso ciò che funziona al suo interno non è detto che riscuota successo anche nel resto del mondo.

In Giappone negli ultimi anni, accanto ai Demon Slayer, MHA e al fuori categoria One Piece vediamo sempre opere come My Happy Marriage, Laid-Back Camp e altri slice of life. Un fenomeno mediatico così importante come Solo Leveling in occidente in Giappone non ha minimamente lo stesso riscontro, rimangono invece dei cult opere come Crayon Shin-chan, praticamente dimenticato fuori dall’arcipelago.

Analizzando quindi anche i gusti dei differenti mercati, è facile comprendere da dove nascano le preoccupazioni di Saito, ma questa effettiva paura di perdere varietà e, conseguentemente, qualità, è davvero fondata?

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Non li fanno più gli anime di una volta!“, o forse si?

Leggendo inzialmente queste affermazioni di Saito mi sono subito trovato d’accordo. Forse è l’età che avanza, ma mi capita sempre più spesso di vedere qualche chicca degli anni ’90, chiudendo solitamente con qualche frase fatta e semplicistica in stile “Non li fanno più gli anime di una volta!“, ma è davvero così?

Incuriosito dalle affermazioni di Saito e dai miei preconcetti, ho deciso di prendere tre stagioni anime recenti random (non posso dimostrarvelo ma dovete affidarvi alla mia buonafede) e confrontarle con altre tre dei primi anni 2000, per vedere se effettivamente nelle produzioni recenti ci sia meno varietà e, soprattutto, meno qualità.

Per il team recente abbiamo: Estate 2020, Inverno 2022, Primavera 2024.

Per il team passato abbiamo: Estate 2005, Inverno 2007, Primavera 2009.

Come vedete non siamo andati neanche troppo indietro col tempo visto che, dati alla mano, il cambiamento radicale avviene a partire dagli anni ’10 del nuovo millennio. Andiamo a vedere ora quali sono gli anime più rappresentativi di questi periodi.

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Estate 2020: una prima scelta interessante che vede tra le serie più popolari la seconda stagione di Re:Zero, Sword Art Online Alicization e Rent a Girlfriend. Serie di genere diverso e con una qualità certamente discutibile tolto l’ottimo isekai di White Fox. A queste però aggiungiamo ottimi anime con meno risonanza come il finale di OREGAIRU e i film di Given e di Violet Evergarden. Una stagione che non manca di rappresentare gli shonen con la seconda serie di Fire Force e un bel action come Deca-Dence.

Inverno 2022: sembra che l’abbia scelta di proposito ma qui troviamo sia la seconda parte del finale di Attack on Titan che la terza di Demon Slayer, i fenomeni mediatici per eccellenza. C’è spazio per l’esordio positivo di My Dress-up Darling e la seconda stagione di Vanitas, con due chicche come La Divisa Scolastica di Akebi e Teasing Master Takagi-san. Una stagione trainata dai big classici, ma con alcune serie molto interessanti.

Primavera 2024: se da una parte qui il mainstream è rappresentato da Kaiju n.8, MHA e Demon Slayer (senza contare serie analoghe come WIND BREAKER o Mushoko Tensei), non mancano belle soprese come Jellyfish Can’t Swim at Night, Girls Band Cry o il finale di Sound! Euphonium. Una stagione piuttosto variegata e di grande qualità se contiamo pure che, in questo periodo, venne rilasciato anche il film di Look Back.

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Estate 2005: in Giappone avranno apprezzato il film di Shin-chan, ma tolti Eureka Seven, Emma: A Victorian Romance e l’ottimo Honey and Clover, una stagione davvero dimenticabile. Salta subito all’occhio però la varietà di generi, da un thriller come Basilisk a numerosi anime comedy. Fun fact: inizia in questo periodo la nuova serie di Doraemon.

Inverno 2007: parte Naruto: Shippuden, esce un anime iconico come Afro Samurai e un romance musicale che tutt’oggi setta uno standard come Nodame Cantabile. Pochi anime ma di altissimo livello. Non manca neanche il mio Shinkai preferito: 5 Centimetri al Secondo.

Primavera 2009: il pattern ha voluto che in questa stagione uscissero tre dei miei anime preferiti, Full Metal Alchemist: Brotherhood, K-On e La Malinconia di Suzumiha Haruhi. Ci sono inoltre ottimi successi come Cross Game, anime autoriali come Phantom: Requiem of Phantom, Eden of the East e un nome conosciuto come Pandora Hearts.

fullmetal-alchemist-brotherhood

Tutt’altro che morti, ma qualcosa è cambiato

I gusti sono gusti ma converrete con me che, in tutte le stagioni esaminate, qualcosa di livello c’è sempre stato, ieri come oggi. Forse ora, grazie al volume di produzione maggiore, siamo pure in grado di vedere molte più serie di livello in periodi sempre più ravvicinati rispetto al passato. Ma quindi Saito aveva torto? Erano paure infondate le sue? Non proprio.

Il discorso di Saito andrebbe letto sotto una chiave diversa rispetto a quella allarmistica e provocatoria con cui viene spesso riportato. La qualità non si è abbassata, o almeno non lo ha fatto vertiginosamente, ciò che sembra venire meno oggi però è una buona varietà di titoli e mancano all’appello serie di stampo autoriale pronte a sperimentare qualcosa di mai visto.

Certo, più andiamo avanti più è difficile fare qualcosa di nuovo che non sappia di già visto, ma sembra che si sia persa un po’ quella vena sperimentale che, soprattutto negli anni ’90, ha reso immortali opere come Neon Genesis Evangelion o Cowboy Bebop.

Di base quindi non stiamo andando verso un calo generale della qualità degli anime, ma stiamo un po’ perdendo ciò che ci ha fatto innamorare di questo mezzo, la sua infinità varietà di storie e i suoi millemila modi diversi di emozionarci e intrattenerci. Su questo Saito, che ad oggi è uno dei pochi che prova ancora a sorpendere (vedi Bocchi the Rock!), ha effettivamente ragione, e non possiamo negare che l’immensa massa di pubblico estero che ha rivoluzionato l’industria sembra proprio la causa principale di questa recente tendenza.

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Nascere in un paesino umbro ti porta ad avere tanti hobby.
Cresciuto tra console e computer, è da sempre amante di cinema, serie TV e musica, nella quale si diletta in maniera molto amatoriale. Anime e manga invece sono il pane quotidiano ma anche lo sport lo appassiona. Crede di aver visto ogni singola disciplina inserita dal CIO alle Olimpiadi.

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