Fumetti

Una grande storia di Superman di cui non hai mai sentito parlare

È facile farsi prendere dal panico quando si parla di personaggi dei fumetti dalla lunga storia editoriale. Se poi quel personaggio è Superman, che di anni ne ha quasi 90, ecco che raccapezzarsi tra i volumi da recuperare diventa ancora più difficile.

Si finisce così per cadere nelle trappole delle top 10, delle greatest hits e di tutte le varie liste e contro-liste che, gira che ti rigira, invece di semplificare la vita agli aspiranti lettori dei fumetti di supereroi, finiscono immancabilmente per circoscriverne l’esperienza alle solite storie arcinote, evitandogli al contempo di scoprire delle chicche meno conosciute.

Per carità, nulla da eccepire riguardo al valore di All-Star Superman, Red Son, Kingdom Come e compagnia cantante. Solo che approcciare la lettura dell’Uomo d’Acciaio con All-Star Superman è come tagliare il traguardo di una maratona partendo da dietro la linea: sulle prime potrebbe pure risultare appagante, ma sicuramente discutibile dal punto di vista dell’esperienza acquisita. Specie se poi si va in giro a vantarsi di essere un/a grande atleta.

Stavolta proponiamo quindi una storia dal sapore vintage (data d’uscita ufficiale: gennaio 1972) che ha gettato le basi di quelli che sarebbero divenuti alcuni dei problemi etici più interessanti concernenti la creatura di Jerry Siegel e Joe Shuster: Must There Be a Superman? (Deve esistere un Superman?)

La storia dietro la storia

Oltre al suo valore intrinseco, Deve esistere un Superman? può vantare una genesi piuttosto interessante.

Come tutte le grandi storie, comincia con un autore, Elliot S! Maggin (nde, il punto esclamativo non è un errore). Talento precoce, Maggin comincia a scrivere da giovanissimo. I suoi primi lavori sono per lo più racconti storici che vende ad alcune riviste per ragazzi, ma è frequentando l’università che la sua carriera ha una svolta. Durante il suo primo anno alla Brandeis University scrive una tesi intitolata What Can One Man Do? (lett. Cosa può fare un uomo solo?) e la presenta al professore di riferimento, che gli dà B+ (nel nostro sistema di valutazione scolastico equivarrebbe, più o meno, a 8).

Evidentemente Maggin deve aver sviluppato sin da subito un’alta opinione di sé: non solo palesa il suo disappunto per un voto, a suo dire, troppo basso, ma decide addirittura di riscrivere la tesi in forma di sceneggiatura di fumetto da presentare alla DC Comics. Il testo finisce tra le mani dell’editor Julius Schwartz, uno dei più importanti della storia della casa editrice, che all’epoca curava la testata di Lanterna Verde nel periodo in cui l’eroe protagonista faceva coppia fissa con Freccia Verde. La serie era stata infatti rinominata Green Lantern/Green Arrow e, nelle sapienti mani degli autori Dennis O’Neil e Neal Adams, ospitava un ciclo di storie passato alla storia per aver trattato tematiche sociali all’epoca (quasi) inedite per i fumetti di supereroi, come il razzismo, la tossicodipendenza, le sette giovanili e il degrado urbano.

Un bel colpo di fortuna, visto che What Can One Man Do? si interroga proprio sulle problematiche sociali che affliggevano gli USA degli anni ’70.

La storia, disegnata dallo stesso Neal Adams, viene pubblicata sul numero 87 di Green Lantern del 1971, che vede l’esordio della Lanterna Verde John Stewart, di cui James Gunn ha già annunciato la presenza nel futuro universo cinematografico DC. Non male come primo approccio al mondo dei fumetti.

Ora che però è entrato nel giro, a Maggin tocca lavorare a tempo pieno con l’editore e, al contempo, adempiere agli impegni universitari. Tra un esame e l’altro, stringe amicizia con nientemeno che il vice-presidente della Brandeis, che lo invita persino a cena per fargli conoscere la famiglia. Anche i restanti membri del nucleo familiare lo prendono molto in simpatia, soprattutto il figliastro del vice-presidente, un dodicenne vispo ed entusiasta di nome Jeph. Quest’ultimo ama i fumetti, e quando scopre che quel ventenne uscito dal nulla li scrive per professione, comincia a provare per lui una sorta di venerazione.

Jeph, che di cognome fa Loeb e in futuro diventerà uno dei migliori sceneggiatori di fumetti di supereroi di sempre (Batman: Il lungo Halloween, per dirne uno), gli racconta di aver scritto una storia dedicata a Superman, Why must there be a Superman?

Ovviamente Maggin la prende per quello che è: il tentativo di un bambino di far colpo su una persona che ammira, e se ne dimentica dopo un po’. Eppure in quella storia c’è qualcosa di interessante. Qualcosa che, almeno per il momento, finisce archiviato in un cassetto del cervello di Elliot Maggin.

Nel frattempo, passano settimane, poi mesi, e in DC Comics servono storie. Julius Schwartz, molto colpito dalla prima prova del nuovo arrivato, gli chiede di proporre qualcosa per il personaggio di Superman, considerato dall’interno comitato editoriale il più difficile da scrivere. Maggin elabora così una mezza dozzina di soggetti, ma solo uno di questi fa saltare Schwartz dalla sedia: si intitola Must There Be a Superman?

Quella singola domanda è così provocatoria, così piena di possibilità narrative, da portare l’idea a venire approvata praticamente all’istante. Maggin sta dunque per esordire sul personaggio simbolo di DC Comics tra mille pressioni, tanto da impiegare oltre un mese per completare lo script. Alla fine, la storia viene pubblicata su Superman n. 247 (gennaio 1972), diviene un instant classic e lancia definitivamente la carriera di Maggin come scrittore di fumetti. Da lì a poco sarebbe divenuto una delle principali penne dell’Uomo d’Acciaio degli anni ’70 e ’80.

Abbiamo davvero bisogno di Superman?

Arrivati a questo punto è il caso di dirvi, almeno in soldoni, di che parla questa storia di Superman e i motivi per cui recuperarla. Partiamo dal presupposto che un titolo del genere già varrebbe da solo il prezzo del volumone da quasi 400 pagine in cui è stata ristampata, ma andiamo per gradi.

Il più grande valore di Deve esserci un Superman? risiede nella volontà – piuttosto inedita al tempo, praticamente introvabile nel panorama mediatico odierno – di far riflettere il lettore su temi complessi, senza però offrirgli una risposta esaustiva su un piatto d’argento. L’incipit vede Superman proteggere la galassia da una meteora fatta di spore. Il nostro eroe, più con l’ingegno che con la forza, riesce a risolvere il problema, ma gli effetti di un sole rosso nelle vicinanze lo stremano a tal punto da fargli perdere i sensi.

A salvarlo da morte certa è una Lanterna Verde di passaggio, che porta l’ultimo (più o meno) figlio di Krypton su Oa, pianeta nonché quartier generale del Corpo delle Lanterne Verdi. Qui ha un confronto con i Guardiani, razza aliena di saggi omini blu che, da grande tradizione dei loro omologhi terrestri, i Puffi, delucidano Superman sull’impatto ambientale e sociale dei suoi interventi sulla popolazione terrestre, suggerendogli di adottare un approccio indiretto.

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L’esempio che viene portato dai Guardiani per minare le certezze del protagonista e dei lettori sulla figura del supereroe è semplice quanto efficace: utilizzando i loro poteri per pulire le acque del mare dall’inquinamento, gli eroi della terra de-responsabilizzano l’umanità. D’altronde perché impegnarsi a inquinare di meno, quando c’è la Justice League lì pronta a pulire ogni volta, per di più gratis?

Alla luce degli approcci adottati dai vari governi mondiali a più di 50 anni dalla pubblicazione della storia, il dubbio sollevato dai Guardiani risulta assai più pratico e meno retorico di quanto apparisse ai tempi. In effetti non è stata mai proposta una soluzione sistemica all’inquinamento che funzionasse nel lungo periodo, quanto più la ricerca di “cure miracolose”, come trasformare lo smog in aria pulita anziché evitare in primis di produrlo in quantità fuori controllo.

Un antico proverbio cinese recita: “Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno; insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita“. Il fine ultimo di Superman in questa non è quello di “insegnare” alle persone normali a salvarsi da sole da eventi catastrofici come uragani e terremoti, bensì di responsabilizzarle al contributo che ognuno può dare alla comunità.

A Napoli un altro detto terrificante recita: “Aiutati che Dio ti aiuta“, ma laddove il detto in questione invita più all’egoismo e alla diffidenza che a rimboccarsi le maniche, in questo caso può servire a rendere chiaro il messaggio di una storia che racchiude bene un certo tipo di ideale americano: darsi da fare e assumersi le responsabilità dei propri comportamenti come singoli e come comunità di individui.

Può sembrare un messaggio a prima vista paternalistico, specie se rivolto a vittime di ingiustizie come avviene nella storia di Maggin. Tuttavia bisogna tenere conto del contesto in cui la storia è ambientata: gli anni ’70, epoca in cui infuriava ancora la Guerra del Vietnam e le proteste anti-colonialiste erano all’ordine del giorno.

Non bisogna poi dimenticare le radici da scrittore dei Maggin, le cui prime storie adolescenziali erano ambientate durante Seconda guerra boera, una vera e propria guerra coloniale che vedeva contrapposti l’allora Impero britannico contro le repubbliche indipendenti dei boeri sudafricani.

In quest’ottica, Superman rappresenterebbe il lato “buono” dell’interventismo statunitense, che però deve farsi da parte per permettere alle nazioni oppresse anche dalla sua figura ingombrante di svilupparsi pienamente nel rispetto della loro indipendenza. Di base, l’eroe invita il popolo alla rivolta contro l’oppressore, uno dei motti della controcultura, seppur non in maniera troppo esplicita, vista anche l’ingenuità delle storie di quegli anni.

Tra le altre cose Superman si ritrova a combattere gli abusi di un proprietario terriero statunitense sui lavoratori messicani, simbolo assoluto dello strapotere americano sulle minoranze assoggettate alla sua influenza. Ascoltando la triste storia di un bambino immigrato, l’eroe rivede sé stesso, costretto ad abbandonare il pianeta natale sull’orlo della distruzione, incarnando così l’immigrato che ha pienamente beneficiato dello sviluppo economico di una superpotenza, rendendo il suo ruolo all’interno della trama ancora più ambiguo e difficile. Non male per un personaggio considerato l’icona del boy scout.

Deve esistere un Superman? è una storia che cerca di racchiudere una serie di temi molto complessi nell’arco di appena 17 tavole, e lo fa nello stile tipico della sua epoca. Sovrabbondanza di balloon-pensiero eccessivamente descrittivi e uno stile di disegno, quello del grande Curt Swan, che sebbene abbia definito il look di Superman per come lo conosciamo, soffre immancabilmente del passare del tempo, pur conservando una certa eleganza e un dinamismo non da poco.

Con la narrazione estremamente dilatata dei tempi moderni, fatta per favorire il binge-watching ossia la fruizione di una quantità enorme di contenuti nel più breve tempo possibile, è incredibile constatare quanti eventi accadano in un solo albo autoconclusivo di un fumetto che, già all’epoca, aveva sulle spalle trent’anni di vita editoriale.

L’influenza di questa storia è riscontrabile in molti di quelli che oggi consideriamo capolavori imprescindibili della storia editoriale di Superman, da Che cosa è successo all’uomo del domani? di Alan Moore, lo stesso Curt Swan e George Perez, allo stesso Kingdom Come di Mark Waid e Alex Ross, di cui lo stesso Maggin ha realizzato l’adattamento in prosa. Inoltre, Must There Be A Superman? è una traccia della soundtrack del film Batman v Superman: Dawn of Justice, composta da Junkie XL per la sequenza dell’incubo di Batman.

Però a questo punto qualcuno si starà chiedendo: ma Jeph Loeb come l’ha presa? La risposta è: benissimo.

Considera un grande onore il fatto che una persona da lui ammirata avesse tratto spunto da una sua idea per scrivere una delle storie più influenti di Superman. Negli anni successivi Maggin, ricordatosi del suo debito e in imbarazzo per aver involontariamente “rubato” l’idea all’amichetto, si sarebbe scusato più volte, non mancando mai di sottolineare come Loeb fosse il vero autore del soggetto originale.

Dal canto suo, Loeb riconobbe tranquillamente la superiorità della versione di Maggin. Stiamo parlando pur sempre di una storia partorita da un dodicenne. Inoltre, come abbiamo visto, il background di Maggin è ravvisabile in ogni pagina. Lo stesso finale della vicenda sembra essere una sorta di risposta alla domanda della sua primissima pubblicazione. Dell’idea originale di Loeb deve quindi essere rimasto poco o nulla. Infatti l’autore del Lungo Halloween ha mai smesso di ammirare Maggin e di considerarlo il suo mentore nell’ambito dei fumetti – ruolo che effettivamente ha ricoperto qualità di editor dello stesso Loeb -, rinsaldando ulteriormente un’amicizia che dura ormai da 50 anni.

A questo punto non resta che consigliarvi di recuperare la storia, ristampata da Panini Comics qualche anno fa all’interno del volume Il grande libro di Superman, contenente altre chicche più o meno vintage con protagonista l’Azzurrone.

Vi servirà per arrivare preparati al film di Superman di James Gunn, in uscita il 9 luglio in Italia, e alla conseguente Summer of Superman.

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Vittorio Pezzella

Cercò per lungo tempo il proprio linguaggio ideale, trovandolo infine nei libri e nei fumetti. Cominciò quindi a leggerli e studiarli avidamente, per poi parlarne sul web. Nonostante tutto, è ancora molto legato agli amici "Cinema" e "Serie TV", che continua a vedere sporadicamente.

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