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Lost Records: Bloom & Rage, la recensione: custodire ricordi

La mia storia con Don’t Nod è iniziata nel 2015 con l’uscita di Life is Strange, titolo che fece presto breccia nel mio cuore diventando uno dei miei videogiochi preferiti di sempre: impreciso, graficamente un po’ arretrato, con qualche domanda aperta lasciata a fine esperienza, ma sincero e genuino nelle emozioni e nella storia che voleva raccontare – per me, era prezioso.

In dieci anni tante cose cambiano. Una di queste è stata proprio l’IP di Life is Strange che, passata allo studio DeckNine, è diventata ormai spettro senz’anima di se stessa: il declino di una serie che una volta amavo così tanto mi ha lasciata amareggiata e con una sensazione di vuoto che altri videogiochi non riuscivano necessariamente a colmare. Per questo motivo, sapere che Don’t Nod stesse lavorando ad un nuovo progetto, unione di teen drama e sovrannaturale, mi ha fatto pensare che quel vuoto potesse finalmente essere riempito. Eccoci qui, dunque, con Lost Records: Bloom & Rage, avventura grafica composta da due parti rilasciate rispettivamente il 18 febbraio e il 15 aprile 2025.

Velvet Cove, tra passato e presente

È il 2022. La nostra protagonista, Swann, è tornata nella sua terra natia, la piccola cittadina di Velvet Cove, dopo ben 27 anni dal suo trasferimento in Canada; è stata contattata da una sua amica d’infanzia, Autumn, perché quest’ultima ha ricevuto qualcosa di preoccupante: un pacco sigillato da un lucchetto, che recita “Per le Bloom & Rage, ricordate l’estate del 1995”. Riunitesi in un locale per discutere del possibile contenuto del pacco, le due scoprono di non ricordare nulla del proprio passato insieme; sanno solo di aver stretto una promessa insieme alle altre ragazze del loro vecchio gruppo di amiche, quella di non vedersi mai più.

Sono queste le domande che vengono poste al giocatore all’inizio della storia: cosa c’è nel pacco, e chi l’ha inviato? Perché è arrivato proprio ora? Cosa è successo nell’estate del 1995, e cosa ha portato alla rottura della loro amicizia? Tramite una narrazione non lineare, che alterna eventi del passato e del presente, l’obiettivo è cercare di ricostruire eventi che sono stati soppressi nella memoria delle protagoniste, forse cercando di proteggersi da una verità troppo dolorosa da affrontare.

Ambientazione e costante di questo capitolo di Lost Records è proprio Velvet Cove, un tipico paesino con pochi punti d’interesse, di quelli che, negli anni, sembrano quasi cristallizzarsi, restando sempre uguali e facendo sentire come in trappola i suoi giovani, che covano piuttosto desideri di libertà. Ma nonostante la città resti identica, così come i sentimenti di disprezzo delle protagoniste nei suoi confronti, l’atmosfera risulta nelle due linee temporali completamente diversa.

Nel 2022, quel poco che vediamo di Velvet Cove è caratterizzato da colori freddi, privi di saturazione: ci troviamo in un ambiente che ha da poco superato la crisi data dal Covid-19 (periodo che non ero pronta a rivivere così velocemente in forma di videogioco!), dove spesso e volentieri vi è mancanza di musica e di contatto con altri personaggi. È la rappresentazione visiva di una situazione di distacco, disagio, quella sensazione del vedere persone con cui avevi un rapporto profondo in un passato remoto e rendersi conto che ora siete poco più che estranei.

Nel 1995 siamo circondati da colori caldi e spensieratezza. Non è un caso che il primo posto visitabile nel passato sia la camera di Swann, come a volerci dare da subito non solo un senso di calore e accoglienza, ma anche un’immagine in miniatura di quella che è stata l’adolescenza durante gli ultimi anni Novanta. Videocassette di film cult dell’epoca, tamagotchi, riviste di moda e musica, statuette e peluche, e potrei andare avanti all’infinito: ogni singolo dettaglio delle ambientazioni di gioco è stato pensato per farti vivere un vero e proprio viaggio nel tempo.

Le protagoniste parlano spesso di quanto vogliano abbandonare l’arretrata Velvet Cove per allargare i propri orizzonti, ma il sentimento di malinconia che trasmette la direzione artistica del gioco fa pensare ad una rivalutazione del passato – una città che una volta Swann odiava diventa custode di ricordi, monito di un’estate che non potrà mai più essere rivissuta.

Bloom & Rage: legami che cambiano la vita

La storia di Lost Records tratta di uno dei periodi più delicati di vita, l’adolescenza, con un focus su quella che è l’esperienza femminile: si tratterà dell’orribile solitudine dovuta dall’essere diversi dagli altri, del sessismo affrontato sin da piccole che porterà a effetti apparentemente irreparabili in età adulta, e del rapporto con il proprio corpo, specialmente nell’età dello sviluppo.

In particolare, la nostra Swann rappresenta il prototipo della “ragazza invisibile”: timida e avente difficoltà durante interazioni sociali, con una bassa autostima dovuta al suo fisico non conforme agli standard di bellezza, e priva di amici a causa delle sue passioni di nicchia, come i film horror, il collezionismo di gingilli dall’aspetto grottesco e antiquato, e l’amore verso gli insetti. Abituatasi, pur soffrendone, alla sua condizione come emarginata, Swann decide di nascondersi dietro la sua videocamera, a tutti gli effetti un diario personale grazie al quale riprende tutto ciò che vede.

Tutto cambia quando, in circostanze che sembrano dettate dal destino, incontra altre tre ragazze che, come lei, risultano delle figure “escluse” dalla società per la loro natura anticonformista. Conosciamo Nora, uno spirito libero con un carattere espansivo e pieno d’entusiasmo, la sua migliore amica Autumn, la generosa figura materna del gruppo con la testa sulle spalle, e la più piccola Kat, la cui personalità introversa nasconde un animo coraggioso ed un forte senso di giustizia. Le quattro, accumunate dalla passione per la musica e ispirate dalle Riot Grrrls (un movimento socio-culturale di stampo punk e femminista originatosi negli anni Ottanta) decidono di fondare una band, chiamata “Bloom & Rage”.

Ciò che è davvero da lodare di Lost Records è proprio la dinamica tra le protagoniste, che risulta pienamente realistica. Non poche persone, in realtà, hanno criticato la scrittura dei dialoghi di gioco definendoli “imbarazzanti”, notando come le interazioni tra i personaggi fossero piene di momenti di disagio ed esitazione, ma il punto del gioco è proprio questo: trasportarci nuovamente nella nostra adolescenza, quando eravamo ragazzini che, ancora acerbi per quanto riguarda le interazioni sociali e nella disperata ricerca di sembrare il quanto più cool possibile, per non risultare degli “sfigati” con i nostri coetanei, spesso forzavamo il nostro carattere, imitando modi di fare altrui, risultando innaturali nel processo.

I momenti di esitazione, l’insicurezza, la pressione sull’apparire più grandi parlando di “cose da adulti” (come le innumerevoli battute a sfondo sessuale presenti nel gioco), e perfino la possibilità data al giocatore di mentire fingendo di conoscere qualcosa su cui in realtà Swann è ignorante. Sono tutti piccoli dettagli che, seppur abbiamo cercato di sopprimere in preda alla “vergogna”, facevano parte della nostra adolescenza. Non posso negare che alcuni modi di esprimersi siano invecchiati male, provocandomi quella sensazione d’imbarazzo al vedere alcune scene, ma non è questo ciò che un videogioco narrativo dovrebbe fare? Provocarmi delle emozioni, talvolta anche negative, facendomi rievocare ciò che una volta ero anche io?

I personaggi, poi, sono complessi e spesso, come del resto lo sono persone della loro età, contraddittori. Protagoniste che inizialmente sembrerebbero poter essere incasellate in un certo “stereotipo” smentiranno ben presto questa convinzione, rompendo le prime impressioni, maturando e poi sbagliando di nuovo: sono personaggi che reagiscono continuamente alle situazioni in cui vengono sottoposti, cambiando la propria visione, venendo coinvolti emotivamente.

Restando nel genere delle avventure grafiche, una mia pesantissima critica nei confronti di Life is Strange: True Colors, ad esempio, era la staticità dei due interessi romantici del gioco, privi d’evoluzione e su cui era quasi impossibile cambiare opinione nel corso della storia; ho riscontrato la situazione opposta in Lost Records, trovando dei personaggi talmente sfaccettati da dover tenere sempre alta l’attenzione nei loro confronti.

Anche adesso, mentre mi ritrovo a scrivere questa recensione, non saprei rispondere se mi venisse chiesto qual è il mio personaggio preferito, o di quale preferisco intraprendere la romance: ognuna di loro è curata nel dettaglio, a partire dagli atteggiamenti, la mimica corporea, le loro passioni, sogni e modo di esprimere le proprie emozioni. Nel gioco è inoltre presente una rappresentazione queer impeccabile, mostrata in modo naturale, sensibile, non forzato: il romanticismo di Lost Records è quello dei primi amori, di sguardi e tocchi impacciati, dichiarazioni un po’ goffe alternate a parole mai dette e rimpiante.

Superato l’imbarazzo iniziale, il rapporto tra le ragazze delle Bloom & Rage diventa dolcissimo: amiche inseparabili in cui Swann vede dei modelli, in quanto persone che, seppur nelle loro stranezze, continuano ad essere loro stesse senza paura; ma la cosa più importante è che si sente finalmente accettata, e per la prima volta riesce a sentirsi protagonista della propria vita, ritenendosi anche lei degna di essere ripresa dalla videocamera.

Un ritmo narrativo un po’ altalenante

L’alternarsi di scene calde e malinconiche di un’amicizia idilliaca e l’ansia oscura del presente data dal dover ricordare cosa abbia portato allo scioglimento del gruppo, unito all’elemento sovrannaturale e misterioso, stimola il giocatore a voler scoprire il resto della storia: è un tipo di narrazione che apprezzo molto per la sensazione di continua suspense ma, in questo caso, purtroppo, perde d’efficacia con la parte finale della storia.

Con il primo capitolo, “Tape 1: Bloom”, il ritmo della narrazione è tendenzialmente lento, concentrandosi sul far affezionare il giocatore ai personaggi, conoscendoli e osservandone la quotidianità. La bellissima direzione artistica e la possibilità di poter utilizzare la videocamera di Swann per riprendere l’ambiente circostante sono un invito a godersi il più possibile la tranquillità di Velvet Cove, quasi come se le ragazze volessero che quella dolce estate del ’95 durasse in eterno.

Sono dei giorni pacifici alternati intelligentemente a momenti d’inquietudine, dove la presenza del sovrannaturale e di accenni alla stregoneria fanno presagire uno scioglimento del mistero nel capitolo successivo – cosa che, tuttavia, non accade pienamente. “Tape 2: Rage” ha una durata molto breve (nel mio caso, ho giocato per nove ore al primo capitolo e tre al secondo) e, concludendosi velocemente, non risponde a quasi nessuna domanda sull’aspetto misterioso del gioco; anzi, sembra aggiungerne anche altre!

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Il secondo capitolo chiude in maniera eccelsa le storie profondamente umane (e non, dunque, sovrannaturali) dei personaggi, con un climax caratterizzato da un forte cambio d’atmosfera dove le emozioni delle protagoniste diventano esplosive: dolore, rabbia e paura invadono il giocatore così come i personaggi, ad un punto tale che il finale, nella sua frettolosità, non riesce a rispettarne le aspettative; la mancanza di risposte sulla fondamentale trama dell’Abisso genera confusione e lascia la sensazione di un gioco incompleto.

Va fatta a tal proposito un’osservazione: Don’t Nod ha confermato che Lost Records sarà un vero e proprio franchise che tratterà di varie storie centrate sull’Abisso. Un finale aperto è dunque una scelta furba, perché offre un generoso spazio di manovra per costruire un eventuale sequel; inoltre, l’intera ambientazione di Lost Records è disseminata da indizi che permettono di teorizzare proprio sull’aspetto magico del gioco, in un modo che sembra ben pianificato dagli sviluppatori.

Se la consapevolezza dell’arrivo di risposte in un sequel mi tranquillizza, non posso comunque giustificare la completa assenza di spiegazioni sugli eventi sovrannaturali di gioco – avrei preferito una distribuzione di informazioni più equilibrata, in modo da avere comunque un finale aperto e spazio per le teorie formulate dalla community, ma un senso di maggiore appagamento una volta conclusa l’esperienza.

Una formula familiare, ma migliore

Rispetto ai precedenti titoli Don’t Nod, Lost Records presenta un gameplay migliorato, più fluido e dal tocco realistico. Innanzitutto, il gioco ha un’altissima rigiocabilità grazie a due fattori: il primo è l’innumerevole quantità di dettagli, oggetti da trovare, note e chi ne ha più ne metta, che approfondiscono il world-building e la conoscenza dei personaggi; il secondo è dato, ovviamente, dalla formula di gioco a scelte, che influenza fortemente gli avvenimenti della trama, le relazioni con i personaggi e, chiaramente, i finali ottenibili.

Dimenticatevi il finale a scelta come nel primo Life is Strange: le varianti in Lost Records sono moltissime, al punto da aver creato discussioni molto accese nella community durante i primi giorni di rilascio del titolo nel cercare di capire come ottenere tutti i finali.

Ci sono poi degli elementi conversazionali che ho apprezzato molto, che aiutano il giocatore a vivere i dialoghi in modo molto più attivo: la possibilità di guardarsi intorno notando dettagli che potrebbero sfuggirci aggiunge nuove scelte di dialogo, ed il fatto che i vari personaggi, avendo personalità diverse, apprezzano in maniera distinta il dare risposte tempestive o prendersi più tempo per riflettere. Alcuni personaggi non vorranno essere interrotti mentre parlano, mentre altri non ameranno lunghi momenti di silenzio; insomma, il giocatore è portato ad agire come se avesse davanti delle persone reali.

Un’altra innovazione di gameplay risulta nella videocamera di Swann, utilizzabile per filmare tutto ciò che ci circonda nell’ambiente di gioco: questa funzione viene usata per progredire nella storia, per scovare collezionabili ed anche per semplice diletto del giocatore; con i nostri filmati potremo creare delle cassette divise per tema, visionabili in qualunque momento. Seppur una graditissima funzione, soprattutto per il valore aggiunto all’immersività ed allo stile vintage del gioco, l’ho trovata un po’ sprecata in alcune sezioni di storia dove, senza fare spoilers, l’uso viene limitato fortemente.

Infine, lascio un messaggio di supplica alla Don’t Nod: vi prego, non è necessario aggiungere una sezione stealth in un’avventura grafica a scelte, soprattutto con un cambiamento improvviso di visuale e telecamera che rende il movimento del personaggio così poco intuitivo. Risparmiateci questa tortura per il prossimo titolo della serie!

Luci e ombre

Come precedentemente accennato, Lost Records si distingue per la sua direzione artistica e cura degli ambienti esplorati. Colori vibranti e bellissimi effetti di luce, così come una particolare attenzione per l’aspetto naturalistico di Velvet Cove – tutti elementi che mi hanno fatto passare più tempo del dovuto nella modalità fotocamera. Da acclamare l’estetica massimalista del titolo, specialmente in un’epoca videoludica dove le UI si fanno sempre più minimal e neutrali.

Un altro aspetto a favore del gioco risulta proprio nel design dei personaggi, valorizzato dalla presenza di caratteristiche fisiche non sempre rappresentate a dovere nei videogiochi: cicatrici da acne, lentiggini e nei, lividi e diversità nelle strutture fisiche, imperfezioni nei capelli e nel trucco – tutto rende le protagoniste ancora più vere. Ho apprezzato molto l’attenzione data all’espressività, specialmente degli occhi, che spicca nelle varie inquadrature in primo piano dei personaggi.

Ma i fan dei precedenti titoli Don’t Nod lo sanno: il vero punto forte è la musica, e ciò è reso chiaro sin dal momento in cui si palesa per la prima volta il menù iniziale. Da canzoni come “See You In Hell” che attingono direttamente dal movimento Riot Grrrl, alla malinconica “Dreamers” e la magica “Lazuli”, ogni traccia è stata selezionata per risultare indimenticabile grazie all’associazione con le scene di gioco.

Parlare in maniera così positiva del comparto artistico del gioco, però, mi fa provare un immenso dispiacere: l’ottimizzazione del titolo non è assolutamente al livello della sua direzione artistica. Continui cali di FPS sotto ai 30, pop-in di modelli e caricamenti tardivi di textures, per non parlare di un gran numero di glitch grafici: oggetti che magicamente passano da una parte all’altra di un tavolo, qualche schermata nera quando si cerca di interagire con qualcosa, e mi ritengo essere stata anche fortunata rispetto ad altri giocatori.

Normalmente non sono così critica verso l’apparato tecnico di un videogioco, specialmente quando un prodotto proviene da uno studio più piccolo che, certamente, non possiede gli stessi fondi di colossi dell’industria; tuttavia, in un’avventura grafica in cui l’unica componente di gameplay, oltre alle scelte nei dialoghi, è l’esplorazione dell’ambiente (tra l’altro, con un grande focus sulla fotografia), non posso chiudere gli occhi di fronte a una performance così povera. Capirete che se la meccanica principale è l’uso della videocamera di Swann, non posso dover subire un grande lag ogni volta che la uso e la ripongo.

L’ho trovato un peccato, perché di fronte a tali difetti l’arte di Lost Records rischia di passare in secondo piano. Fortunatamente, gli sviluppatori sono stati attenti ai feedback dei giocatori e hanno rilasciato nel tempo delle patch per rimuovere parte dei glitch – proverò la cosa con mano la prossima volta che giocherò il titolo, sperando in un’esperienza più fluida.

Considerazioni finali: com’è cambiato il modo di videogiocare?

Vorrei concludere questa recensione con una piccola riflessione sulle avventure grafiche e su come sia stato ricevuto Lost Records: Bloom & Rage dalla critica. Ho letto molte opinioni contrastanti sul gioco, sia in Italia che all’estero, ma in varie critiche ho ritrovato gli stessi due problemi, di matrice sociale e non effettive colpe del titolo. In primis, l’incapacità di immedesimarsi nell’esperienza femminile, portando a banalizzare o non comprendere certe questioni sollevate; in secondo luogo, ho notato una speedrun collettiva della storia.

Mi spiego meglio. Ho notato una mancata comprensione nei confronti sia dei personaggi protagonisti, che di una figura antagonistica – in alcuni casi, lacune che facevano pensare che certi avessero ignorato completamente quella componente di gameplay fondamentale di questo genere di giochi, ossia l’esplorazione dell’ambiente e la visione di tutti quei dettagli e simboli che Don’t Nod ha disseminato per entrambi i capitoli.

Chiarisco che per me non esiste un modo adatto di giocare a qualcosa, e nella mia vita ho portato a termine ben pochi platini. Tuttavia, l’ambiente è parte della storia stessa, e soprattutto nelle avventure grafiche sono due parti che comunicano costantemente; ignorare completamente l’aspetto visivo e tutte quelle componenti che ci permettono di avere una visione d’insieme della storia risultano proprio in questo: un’opinione data da una parzialità di elementi.

Non la ritengo una colpa dei giocatori: viviamo in una società in continuo movimento, dove le informazioni e gli stimoli si sostituiscono ad altissima velocità, combattendo per avere la nostra attenzione (che, negli anni, ha visto una riduzione). I videogiochi sono un altro medium vittima di questo: devono stupirci sin da subito, e la storia deve mantenere sempre lo stesso ritmo per non rischiare di annoiare il pubblico. La costruzione della tensione e l’approfondimento per gradi dei personaggi sono aspetti che si stanno perdendo proprio per questa tendenza.

Quello che io colpevolizzo è questo: bisogna riconoscere, e saper distinguere, quali sono i nostri limiti in quanto videogiocatori e quali invece sono le colpe del videogioco. Un titolo basato sulla storia, che incita il giocatore a prendersi il suo tempo e vivere i suoi momenti a Velvet Cove con calma, non avrà chiaramente lo stesso ritmo narrativo di un videogioco dove l’azione è padrona.

Per concludere, Lost Records: Bloom & Rage è stato, per me, un bellissimo spaccato di vita. Purtroppo grezzo dal punto di vista tecnico, ha saputo comunque fare breccia con la sua sincerità, con i suoi messaggi e con alcune delle scene più emotive che io abbia visto in un videogioco negli ultimi anni. L’obiettivo delle protagoniste è di ricordare, rievocare le memorie di quell’estate riportando a galla ciò che era davvero importante: insieme a loro, posso assicurare, non dimenticherò quegli eventi del ’95.

Lost Records: Bloom & Rage
Gameplay e longevità
8
Comparto grafico e sonoro
7.5
Coerenza e cura del dettaglio
8.5
Pros
Una storia emozionante che risalta grazie a personaggi complessi e multi-dimensionali
Direzione artistica originale e grande cura per i dettagli
Comparto sonoro impeccabile
Cons
Un finale troppo aperto, con poco spazio dedicato alla parte sovrannaturale del titolo
Troppi glitch grafici e cali di fps, che rendono l'esperienza frustrante
8
VOTO
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Hymingea

Appassionata di videogiochi, libri, fumetti e webtoon, è stata introdotta al mondo nerd in giovane età grazie ai titoli Nintendo. Il suo interesse verso l'arte, la mitologia e la psicologia fa sì che voglia sempre cogliere l'ispirazione e i significati più nascosti delle opere che analizza.

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