Grazie all’invito di Anime Factory , ho avuto la meravigliosa opportunità di assistere all’anteprima di I colori dell’anima sottotitolata in italiano presso il Multisala Gloria by Notorious Cinemas di Milano. Le premesse erano già più che buone: la regista è nientemeno che Naoko Yamada , già nota per il suo lavoro impeccabile in Liz and the Blue Bird e A Silent Voice . Il suo marchio di fabbrica è la produzione di lungometraggi delicati , che comprimono suoni, voci, colori e sentimenti in un’unica opera di un paio d’ore.
Credetemi, è veramente complesso descrivere I colori dell’anima a parole, perché si rischia di banalizzare o semplificare eccessivamente alcuni aspetti. Questo film si configura infatti come un’esperienza sensoriale ed emotiva : va anzitutto vissuto, colto nella sua vasta ricchezza di stimoli e messaggi profondi . Se siete curiosi o interessati, vi consiglio di andare a vederlo direttamente al cinema: come tutte le altre opere di Naoko Yamada, I colori dell’anima risuona personalmente nel cuore di ogni spettatore , comunicando con la nostra unicità.
Kimi no Iro Totsuko frequenta un collegio femminile cristiano e ha la caratteristica di poter vedere i colori delle persone che la circondano. In particolare rimane folgorata dall’aura che sprigiona Kimi , una sua compagna d’istituto abbastanza popolare nella scuola, e tenta di avvicinarsi a lei in tutti i modi. La gioia di Totsuko si sfalda quando, all’improvviso, viene a sapere che Kimi si è ritirata dalla scuola. Determinata a voler rivedere quel colore ancora una volta si mette alla sua ricerca, scoprendo che la ragazza lavora in una libreria nascosta chiamata La casa del gatto bianco e passa il suo tempo libero ad esercitarsi con la chitarra.
Alla storia delle due ragazze s’intreccia quella di Rui , un giovane appassionato di musica che frequenta spesso il negozio e, dopo diverso tempo, trova finalmente il coraggio di parlare con Kimi. Così, i tre formano per caso una band e cominciano a suonare insieme, schiacciati tra la gioia nel poter sfogare la propria passione e i dilemmi sul proprio futuro .
Vorrei soffermarmi sul titolo del paragrafo, che coincide con quello originale di I colori dell’anima . Da studentessa di giapponese, non posso fare a meno di notare un interessante e profondo gioco di parole : Kimi non è solo il nome di uno dei personaggi del film, ma anche la parola 君 (kimi ), che si traduce con il pronome personale “tu “.
Perciò, il film avrebbe potuto chiamarsi I tuoi colori , suggerendo una ricerca di sé e del proprio percorso di vita , tema cardine attorno a cui ruota l’intera trama del lungometraggio. A ben pensarci, questo titolo rappresenta anche l’obiettivo di crescita di Totsuko, la quale riesce a percepire il colore degli altri, ma non il proprio.
Totsuko come dispositivo narrativo I colori dell’anima ha unicamente due punti di vista: quello di un narratore esterno e quello di Totsuko. La ragazza si pone come un ottimo espediente per inserire lo spettatore all’interno della vicenda: osserva i colori che lei percepisce, sente le emozioni che lei prova, guarda l’ambiente con il suo stesso sguardo.
I tre protagonisti, complice la giovane età e le loro storie, si configurano come dei soggetti in divenire, che tentano di orientarsi in quella cosa così complessa chiamata vita. Ciò si percepisce maggiormente nella nostra narratrice che, senza darlo troppo a vedere, è forse la più confusa e persa tra i suoi amici.
Al di là della metafora dei colori, Totsuko è in grado di entrare in empatia con le persone e aiutarle a tirare fuori il loro meglio, ma è invece in difficoltà quando si tratta di se stessa. Non conosce ancora quale il suo colore e fatica a percepirlo, a causa della sua bassa autostima : dice di sé di non essere particolarmente brava né con il pianoforte né nella danza e trova conforto nella fede e nelle altre persone; in soldoni, negli occhi degli altri .
Nonostante le varie difficoltà e peripezie, Kimi e Rui riescono in definitiva a prendere delle decisioni e ad affrontare la propria vita di petto, senza più scappare dalle conseguenze. Non si può dire lo stesso di Totsuko – o meglio, non entro quello che abbiamo visto. Senza fare troppi spoiler, I colori dell’anima dà alcuni indizi che predicono un suo cammino verso l’individualità , ma sono volutamente lasciati alla discrezione dell’interpretazione dello spettatore.
Mi sono affezionata particolarmente alla protagonista, al suo modo di vedere il mondo e alle sue difficoltà, perché sono esattamente le mie. Ho lasciato la sala piangendo, colpita da quanto I colori dell’anima potesse descrivere così dettagliatamente ciò che provo e sento. Spero che, prima o poi, viviate anche voi un’emozione simile.
Musica, arte e spiritualità come i colori dell’anima Come in ogni opera di Naoko Yamada, il punto forte di I colori dell’anima è senz’altro l’estetica . L’immagine dice molto più delle singole parole, e la regista lo sa molto bene. La pittura diventa uno strumento fondamentale per descrivere la mescolanza delle emozioni dei personaggi, la loro connessione e il loro entrare in relazione.
Ogni singola scena del film sembra tratta da un’enorme tela ad acquerello : come i rapporti umani sono in continuo mutamento e generano sfumature uniche, così l’incontro dei colori percepiti da Totsuko crea una mescolanza di tinte sempre nuove e mai scontate.
Ma la pittura non è la sola forma artistica coinvolta; come secondo marchio di fabbrica del cinema di Yamada, la musica in I colori dell’anima gioca nuovamente un ruolo fondamentale. È la passione che unisce i tre amici, quel fuoco che li porta ad affrontare le loro paure e trovare nelle gioie e bellezze del presente gli elementi per costruire un futuro radioso.
Non importa quali avversità dovranno affrontare: finché esiste la musica, rimarranno per sempre legati , anche nei momenti di separazione o lontananza. Questo perché la musica li trasporta in un’altra dimensione, uno spazio unico che appartiene solo a loro, dove possono sospendere momentaneamente la negatività e ritrovare la speranza .
Da ultimo, mi voglio soffermare sull’importanza del cristianesimo all’interno di I colori dell’anima . Trovo che il ruolo della religione sia perfettamente equilibrato rispetto agli altri elementi e possa dare una chiave di lettura ancora più profonda a quanto ho scritto finora. Al di là delle singole professioni di fede, la spiritualità può offrire un’ulteriore possibilità di trovare quella visione positiva sul futuro tanto agognata dai tre protagonisti.
“Dio, dammi la forza di accettare le cose che non possono cambiare.” è una delle frasi più ripetute da Totsuko, nonché l’assunto base per poter vivere con più serenità. I tre amici crescono insieme e compiono l’importante passo di lasciare andare i propri errori, il proprio passato, accogliendolo come un qualcosa che non può mutare , ma che può porre dei mattoncini per costruire un presente e un futuro radioso e in sintonia con le proprie identità.
Qual è il tuo colore? I colori dell’anima è stato una grande coccola . Non solo è un film visivamente godibile, delicato e pacato , ma è anche un manuale di insegnamenti e riflessioni su cosa significa diventare grandi . Ho lasciato la sala commossa e con numerosi quesiti su di me, sul mio cammino, su quale colore rappresenti.
Non ho ancora una risposta certa e non so se l’avrò mai, ma sicuramente è una pellicola che mi ha trasmesso tanti spunti e messaggi che mi terrò sempre nel cuore e a cui tornerò semmai dovessi avere tentennamenti o momenti di paura. Ringrazio nuovamente Anime Factory per l’opportunità.
Spero davvero che non vi lasciate sfuggire l’occasione di vedere con i vostri occhi questo toccasana per l’anima , al cinema il 24, 25 e 26 febbraio.
Pros
Valore artistico impressionante
Elevato coinvolgimento emotivo
Narrazione complessa nella sua semplicità, grazie alla direzione artistica di spessore
OST memorabile e piacevole da ascoltare post-visione
Cons
Ruolo importante del cristianesimo, che può piacere o non piacere
Trama semplice, in alcuni tratti già nota e vista
Disequilibrio nella gestione dello spazio narrativo tra Totsuko, Kimi e Rui
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