Tra quelle che sono le trasposizioni videoludiche dall’ambito cinematografico, va detto che la saga di Indiana Jones non sia mai stata particolarmente fortunata, tra diversi tie-in dei film e qualche capitolo LEGO dal valore produttivo e creativo sicuramente non esaltante.
Dopo il grande successo di pubblico e critica dei due reboot di Wolfenstein (The New Order e The New Colossus), Bethesda ha incaricato il team di MachineGames di riportare in auge questo importante nome con un capitolo tutto nuovo, che sarebbe stato inoltre uno dei portabandiera principali degli Xbox Game Studios di questa annata.
Considerata l’esperienza sviluppata negli anni con gli sparatutto arcade, come se la sarà cavata lo studio svedese con un titolo di natura spiccatamente adventure? Sarà riuscito a rendere giustizia ad un nome di tale rilevanza? Lo stiamo per scoprire: di seguito, la recensione di Indiana Jones e l’Antico Cerchio.
Il tutto ha inizio nel lontano 1937 presso il Marshall College, un’università del Connecticut dove il nostro caro professor Henry insegna archeologia: in seguito ad una sottospecie di incubo, si risveglierà nel cuore di una notte tempestosa proprio alla scrivania del suo ufficio, e, dopo essersi ripreso, noterà qualcosa di insolito.
Perlustrando i bui corridoi dell’edificio, si renderà conto che è stata commessa un’effrazione da parte di un inquietante uomo dalla notevole statura, colto dinanzi ad una delle teche del museo a blaterare qualcosa in latino.
Nonostante un primo approccio pacifico, l’incontro tra i due si trasformerà in una violenta scazzottata, che porterà inevitabilmente lo strano individuo ad avere la meglio, e Indiana a perdere i sensi.
Risvegliatosi la mattina successiva, analizzando le varie teche prese d’assalto si renderà conto che un oggetto prezioso è stato rubato: si tratta della mummia di un gatto risalente all’epoca dell’Antico Egitto.
Cercando di comprendere le motivazioni ed i moventi dietro ad un furto del genere, troverà un curioso ciondolo appositamente lasciato dallo sconosciuto riportante un simbolo ben preciso, quello della bolla papale.
Senza pensarci troppo, Indiana preparerà le valigie e partirà alla volta di Roma: qui inizierà la sua nuova avventura, che lo porterà in giro per il mondo alla ricerca della verità.
Ovviamente, ben presto tutto ciò si rivelerà solo la punta di un iceberg ben più profondo, che cela sotto la sua superficie misteri, complotti governativi ed una marea di segreti di natura storico-religiosa legata ad antiche credenze, civiltà perdute e lingue dimenticate.
Sotto questo punto di vista, l’esposizione della trama di Indiana Jones e l’Antico Cerchio procede in maniera alquanto classica per il genere, basando quasi del tutto la sua essenza sul senso di avventura, esplorazione e scoperta di antichi segreti celati al mondo, riprendendo a piene mani dallo spirito della saga originale con anche qualche influenza da altre opere come Il Mistero dei Templari e La Mummia.
Di fondamentale importanza sarà, per forza di cose, la condizione politica di quello che è il presente degli eventi: infatti, se la dovrà anche vedere con l‘insieme di instabilità sociali e civili che infliggono le varie nazioni in un mondo in bilico tra un conflitto mondiale e l’altro.
Questo rende evidente la cura a dir poco maniacale riposta dagli sviluppatori di MachineGames in quella che è la contestualizzazione generale delle vicende: oltre ad una ricreazione minuziosa delle ambientazioni e dei costumi, vi sono tutta una serie di documenti, spunti estetici e dettagli di vario genere che catturano alla perfezione l’atmosfera di quel periodo e immergono il giocatore in quel mondo in maniera assolutamente efficace.
A ciò si aggiunge una caratterizzazione dei personaggi, una scrittura dei dialoghi, performance recitative cristalline ed una sceneggiatura ed una regia degne di nota, che raccontano quella storia con la giusta leggerezza narrativa, condita spesso e volentieri da un umorismo ben calcolato e mai invasivo, proprio come avveniva nei film.
Al contempo, va detto che non proprio tutti i procedimenti narrativi funzionano nel migliore dei modi: oltre ad una gestione abbastanza banale dei colpi di scena, che riescono ad esser tali solo ed unicamente in un paio di casi, non si percepisce quasi mai davvero il senso di pericolo ed urgenza.
Volendo essere una vera e propria avventura nel senso più letterale del termine, sarà anche densa di pericoli, ostacoli ed imprevisti: ebbene, indipendentemente dall’entità dei suddetti, il protagonista riuscirà in maniera un po’ troppo conveniente a trovare sempre la giusta soluzione per risolvere gli enigmi ed il giusto metodo per aggirare un problema, avanzando nelle varie spedizioni ed uscendo anche dalle situazioni più critiche con estrema facilità.
Di conseguenza, più che un esploratore/esperto di archeologia Indiana Jones assumerà per la maggior parte dell’avventura il ruolo di un deus ex machina vivente, arrivando a rendere un po’ fine a sé stessa l’intera tensione narrativa, che ruota proprio attorno a questi elementi.
Un’avventura risulta effettivamente tale nel momento in cui i pericoli riescono ad essere tangibili e preoccupanti, cosa che in questo caso non avviene praticamente mai: per quanto tale aspetto sia assolutamente in linea con i film della saga cinematografica, va detto che in questo caso è richiesto un livello di sospensione dell’incredulità un po’ eccessivo.
Tale dissonanza logica rappresenta fondamentalmente l’unico vero neo concettuale del titolo, dato che per il resto Indiana Jones e l’Antico Cerchio porta con sé un invidiabile varietà di situazioni, una personalità ed uno stile unici ed uno studio oculato di tutti quei micro e macro elementi che hanno reso grande la saga originale, e che sono stati trasposti in forma videoludica con grande maestria.
Con tutto questo carattere narrativo, ritrovarsi a scacciare un gruppo di scorpioni con la torcia tra le sabbie di una catacomba egizia o a fotografare la volta della Cappella Sistina vestiti da preti è una sensazione davvero speciale, che riesce a permanere per l’intera durata dell’avventura e che solo un’autentica esperienza a là Indiana Jones avrebbe potuto regalare.
Quando il titolo venne mostrato per la prima volta nelle sue sequenze di gameplay, si era instaurato nelle community un clima di scetticismo riguardante una specifica scelta creativa: l’impostazione della visuale in prima persona.
Secondo molti tale idea era derivante dal fatto che, se avessero deciso di proporre quella in terza sarebbe finito per scimmiottare la saga di Uncharted, anche e soprattutto considerando l’estrema somiglianza di quel genere di avventura tra le due opere.
Ebbene, sono bastate davvero pochissime ore di gioco per permettere a MachineGames di smentire totalmente tutte quelle considerazioni.
Infatti, nonostante avrebbe potuto tranquillamente copiare pressoché ogni formula di gioco presente in Uncharted, ha preferito rinnegare tutta quella linearità in favore di una struttura ben più profonda e stratificata, che mi ha ricordato da vicino quella dei titoli di Arkane Studios, come Dishonored, Prey e Deathloop.
In questo senso l’avventura sarà impostata a stage, ognuno dei quali andrà a proporre uno scenario open map.
Questi saranno a conti fatti dei veri e propri parco giochi a nostra completa disposizione, in quanto se da un lato nessuno ci impedirà di correre direttamente al prossimo obiettivo principale, dall’altro potremo esplorarli in lungo e in largo facendoci guidare dalle numerose attività secondarie presenti.
Tra queste spiccano le “Attività sul campo“, ovvero delle missioni opzionali di stampo narrativo volte non solo ad approfondire storie di contorno, ma anche farci esplorare ed accedere a zone uniche, molte delle quali segrete: a differenza di quanto visto in molti altri giochi, queste riescono ad avere una consistenza di fondo a dir poco invidiabile, sia in quella che è l’entità dei loro racconti che in termini ludici.
A ciò si andranno ad aggiungere una notevole quantità di incarichi minori, enigmi segreti da risolvere, collezionabili da raccogliere e una serie di altri spunti di interazione, volti all’ottenimento di denaro, giornali e punti avventura, ovvero delle valute con il quale potremo migliorare passivamente alcuni aspetti del nostro personaggio.
Ebbene, tutto ciò funziona talmente bene da rendere la risoluzione delle suddette attività ben più soddisfacenti dell’ottenimento delle relative ricompense.
Dall’inizio alla fine ci si ritrova così profondamente coinvolti in quelle ambientazioni e in quei contesti da esser quasi inconsciamente stimolati a volerne approfondire ogni singolo aspetto, in uno stato esplorativo nel quale le suddette attività si incastrano e amalgamano tra loro alla perfezione, senza dare mai la sensazione di risultare come una banale check list da compilare.
Il tutto inserito in mappe estremamente variegate tra di loro sia nella loro atmosfera che nella loro struttura, che si sviluppa sia in ampiezza che in verticalità, dove passaggi e scorciatoie si collegano per permettere al giocatore di muoversi agevolmente e di prendere confidenza con il level design.
Ovviamente un’avventura non sarebbe tale senza un abbondante dose di azione: infatti, molti dei passaggi principali saranno ben più lineari, movimentati e spettacolari, tra corse contro il tempo, fughe al cardiopalma, combattimenti intensi ed una serie di altri momenti ad alta tensione.
Anche in questo caso, MachineGames è stata a dir poco meticolosa nel dare anche ad essi quello stile e quella personalità unici di Indiana Jones, e che di conseguenza in altre opere anche dello stesso genere non avrebbero mai funzionato così bene.
Ma come ogni grande avventuriero, Indiana porterà sempre con sé diversi strumenti dalla varia funzionalità.
La vera protagonista sarà senza dubbio la frusta, che potremo sfruttare interagendo con alcuni elementi ambientali non solo per arrampicarci lungo alcune pareti o come slancio per superare burroni e punti vuoti, ma anche per attivare meccanismi e interruttori dalla distanza, alcuni funzionali alla risoluzione di un enigma e altri per lo sblocco di aperture e passaggi vari.
Oltre a questa, avremo a disposizione anche un accendino, una fotocamera e, dulcis in fundo, il leggendario diario: esso sarà infatti un raccoglitore di informazioni dove potremo consultare in ogni momento oggetti, mappe, documenti e lettere raccolti ma anche fotografie e scoperte fatte, accompagnati spesso e volentieri da considerazioni, deduzioni e approfondimenti storici fatti dal nostro Indiana.
In tutto ciò, ci ritroveremo in svariate occasioni a dover attraversare una serie di aree che saranno sotto il controllo delle forze naziste, come accampamenti o avamposti militari.
Per procedere, potremo ricorrere ad un approccio furtivo sfruttando le varie opzioni di movimento per passare inosservati, raccogliere una numerosa quantità di oggetti come padelle, pennelli e bottiglie ma anche aste, scope e chitarre da lanciare per distrarre i nemici oppure per sorprenderli alle spalle e metterli fuori gioco.
In caso in cui venissimo scoperti, il combattimento sarà inevitabile: anche in questa situazione, potremo utilizzare i suddetti strumenti come arma contundente ma anche come oggetti da lancio utili a stordire momentaneamente i nemici.
Al contempo, grazie alla frusta potremo anche fargli perdere l’equilibrio e/o disarmarli dalla distanza: seppur la maggior parte degli scontri saranno corpo a corpo, potremo anche raccogliere ed utilizzare delle armi da fuoco, necessarie in alcuni casi per sfuggire dalle situazioni più critiche.
Nel caso in cui dovreste ritrovarvi privi di opzioni, vi dovrete affidare all’arma più fedele di tutte, i pugni: con questi potrete effettuare attacchi leggeri ed attacchi pesanti ma anche parare quelli nemici o effettuare prese, facendo sempre attenzione alla stamina, che, nel caso in cui dovesse terminare vi oscurerà la visuale ed inibirà i movimenti.
Per quanto tutte queste opzioni rendano il gameplay abbastanza divertente e portino ad una serie di situazioni a dir poco esilaranti, non si può non notare una certa imprecisione nelle hitbox, a causa di animazioni che non si collegano bene tra loro e che non riescono a rendere a dovere il senso di interattività degli impatti tra i modelli.
Questo rende il combattimento un po’ impacciato ed il flusso degli scontri scostante e poco fluido, oltre che ad esser generalmente poco vario ed approfondito nelle meccaniche.
Ma la vera nota dolente del gameplay e probabilmente dell’intera produzione riguarda l‘intelligenza artificiale: se nelle fasi di combattimento non brilla sicuramente, in quelle furtive risulta a dir poco disastrosa, in quanto i nemici avranno routine comportamentali estremamente basilari, ritardi nelle capacità reattive e svariati problemi di vista ed udito.
Quindi, la presenza di minacce rappresenta più un ostacolo di percorso che un effettivo spunto di sfida o difficolta: una volta capito l’andazzo, vi passerà del tutto la voglia di stare ad attuare strategie o metodi di approccio particolari per superare una certa zona, bensì andrete avanti a muso duro senza pensarci troppo.
A voler esser del tutto onesti, un altro elemento che stona parecchio riguarda la gestione dell’inventario: per quanto il diario rappresenti a conti fatti uno dei migliori esempi di “codex” degli ultimi anni, va detto che consultarlo e sfogliarlo risulta alquanto scomodo, a causa di una rete di menù ed interfacce poco immediata ed intuitiva, al quale non ci si riesce mai davvero ad abituare anche dopo ore di gioco.
Parlando invece del comparto tecnico, Indiana Jones e l’Antico Cerchio vive di alti e di bassi: nonostante una notevole pulizia visiva, un impatto generale con i fiocchi ed un ottimo utilizzo dell’illuminazione e delle fonti di luce, se ci si sofferma su determinati dettagli si possono notare texture un po’ spalmate ed in bassa risoluzione, modelli non propriamente rifiniti e qualche problema di rendering di troppo.
Discorso similare per quanto riguarda i volti e le animazioni facciali: se da un lato quelle dei comprimari (e di Indiana in particolare) riescono ad essere ampiamente espressive, quelle dei nemici o degli NPC generici saranno a malapena abbozzate.
Purtroppo, anche in termini di ottimizzazione non se la cava proprio benissimo: nonostante non vi sia alcuna forma di fotorealismo o chissà quale livello di dettaglio maniacale, vi è una gestione delle risorse computazionali da parte del software un po’ infelice, che mi ha fatto incappare in svariati problemi di performance come framerate ballerino, evidenti stutter e persino crash.
Assolutamente intoccabile invece la colonna sonora, che riprende i temi originali di John Williams e li rielabora in maniera praticamente perfetta in una serie di tracce che si adattano alla grande a praticamente ogni sequenza di gioco.
Indiana Jones e l’Antico Cerchio rappresenta una delle più oneste, sincere e spontanee lettere d’amore che il medium videoludico abbia mai fatto a quello cinematografico, che dimostra la passione riposta da MachineGames non solo nei confronti della saga di riferimento ma anche in quello che è lo sviluppo videoludico stesso.
Quindi, oltre ad aver trasposto quelle atmosfere con grande cura e rispetto per il materiale originale, le ha anche impiantate in un sistema ludico ben più elaborato e profondo del previsto, proponendo un’avventura autentica, ben calcolata nei ritmi, nei contenuti e nella varietà di gioco, che cela a sua volta una qualità narrativa, estetica e di design di fondo quasi insospettabile.
Nonostante ciò, qualche scivolone qua e là è stato comunque commesso: oltre ad una inspiegabile cattiva gestione dei menù, spiccano un’intelligenza artificiale deficitaria, piccoli difetti grafici ed alcune imprecisioni nei combattimenti, oltre che ad una ottimizzazione del software non proprio brillante.
In definitiva, Indiana Jones e l’Antico Cerchio è uno dei più chiari esempi per il quale si può tranquillamente chiudere un occhio sulle problematiche tecniche, in quanto i suoi valori creativi e la visibile passione riposta dagli sviluppatori le scavalcano ampiamente.
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