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The Last of Us Parte 2: umanità e responsabilità generazionali

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The Last of Us

Attenzione: l’articolo contiene ovvi spoiler sull’interezza del titolo che si vuole approfondire; se ne sconsiglia la lettura al pubblico che ancora non ha giocato a The Last of Us Parte 2. Su SpaceNerd è stata pubblicata una recensione completamente priva di spoiler se si vuole approfondire il titolo di Naughty Dog senza incappare in alcuna anticipazione.

Buona lettura.

Promesse effimere tra passato e presente

The Last of Us Parte 2 inizia con una promessa. Il riconoscimento e la consapevolezza dei dubbi e dei peccati passati e la determinazione necessaria ad espiarli, anche se ci volesse un’intera vita per farlo.

L’inizio dell’avventura vede la costruzione di un “ponte” figurativo atto a costruire e far sviluppare un profondo simbolismo: la cavalcata per tornare a Jackson evidenzia contemporaneamente il legame e la rottura tra il presente e il passato di Joel Miller.

In medias res viene realizzato scenicamente un “ponte a cavallo” tra il vecchio e spezzato animo di un padre confuso ed arrabbiato per la perdita della figlia (avvenuta tra le sue stesse braccia) e una rinnovata figura paterna piena di speranza, responsabile e colma di amore. Questa connessione tra passati e presenti stati d’animo è ancor più accentuata da Gustavo Santaolalla, compositore dell’intera colonna sonora, attraverso il brano “Unbroken”: la OST riproduce esattamente l’evoluzione della promessa di Joel ed il motivo per cui egli stesso passa dall’essere affranto ad essere un uomo rinato.

Concretamente, il simbolo della rinascita è proprio la protagonista dell’opera stessa, Ellie. Non importa quanto siano state dubbie le azioni di Joel nei suoi confronti fino a questo punto, due cose sono fondamentalmente chiare:

  • lui ama Ellie con tutto il suo cuore;
  • non c’è niente al mondo che non farebbe per lei. Se Joel la perdesse, perderebbe davvero sé stesso, per sempre.

Questa è la promessa di Joel. Quella di far suonare Ellie sulle corde del suo più grande dono per lei, che alla fine collegherà l’animo di entrambi oltre il tempo: oltre passato e presente, con un legame padre-figlia finalmente chiaro ed evidente.

La canzone stessa è anche la promessa di Ellie nei confronti di un uomo nuovo che, nonostante le bugie e le imperfezioni, promette figurativamente di divenire quella figura che la protagonista non ha mai avuto e che ha sempre desiderato.

Ellie e Joel condividono la stessa speranza, ossia che possa finalmente suggellarsi quel legame ostracizzato da orgogli e testardaggine. Purtroppo, il tutto senza fare i conti con una scenografia che mette in risalto, attraverso un mondo devastato da una delle piaghe peggiori dei futuri post-apocalittici, uno scenario nato per cullare un’umanità sempre più brutale: non c’è spazio né tempo per sentimentalismo e promesse. Saranno proprio queste, infatti, a venir vanificate da un imminente disastro.

È facile e naturale, per me, fidarmi inizialmente dei personaggi che il videogioco vuole farmi interpretare, anche se non si conosce ancora nulla di loro. È proprio per questo che la morte di Joel è un tradimento mostruosamente scioccante: mi sono fidato troppo di Abby. Joel si è fidato troppo di Abby. Questo è il prezzo di essere diventato un uomo amorevole in un mondo come quello di The Last of Us.

Non c’è spazio per la crescita dell’empatia o per la redenzione, solo lupi (non a caso) e pecore. Questa diventa l’orribile lezione di Ellie, che dovrà sopportare, ma anche la maledizione da trasmettere agli “altri” colpevoli con il fine di perpetuare un ciclo di vendetta, violenza e distruzione.

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L’entrata di Seattle

Naughty Dog mette nelle nostre mani ogni singolo aspetto di Seattle. Dal primo all’ultimo, ogni giorno è concepito con estrema attenzione ai dettagli. Il primo approccio alla città porta il videogiocatore lungo un’autostrada fatiscente sino all’entrata di Seattle, attraverso una serie di cancelli che, un po’ alla Jurassic Park, simboleggiano il blocco artificiale di un mondo che potrebbe facilmente travolgerci e conquistarci. Può sembrare l’inizio del viaggio di un eroe ma, in realtà, presto si trasformerà in un percorso di decadenza che riuscirà a compromettere seriamente la sanità mentale di Ellie.

La prima area di Seattle è spalancata e “chiede” di essere esplorata sotto un cielo prevalentemente azzurro che splende sui nostri giovani protagonisti, mentre scherzano, avanti e indietro, sui loro sogni, sulle vite che desiderano e sui ricordi che hanno. Viene ad esprimersi e rivelarsi tanta speranza e sincerità, da Ellie a Dina, con talmente tanta intensità che è difficile capire come tali animi possano mai essere corrotti dallo stesso veleno che ha consumato gli assassini di Joel, o ad un certo punto Joel stesso. Tuttavia, una volta iniziati gli omicidi e cancellati i nomi dalla lista, inizia a verificarsi un cambiamento.

Le aree attraverso le quali ci porta il nostro viaggio iniziano a restringersi in larghezza e diventano più focalizzate e strette; il cielo inizia a diventare grigio e le battute tra Ellie e Dina diventano sempre più unilaterali e preoccupanti per le intenzioni della protagonista. Quanto più i personaggi sono messi a dura prova tanto più sembrano sovrastati dalla portata sempre più evidente del vero significato ed ambizione della loro ricerca. Il cambiamento si intensifica: quando Dina vacilla, Ellie diventa aggressivamente determinata. Ricorda l’uomo che l’ha portata al museo, il giorno più felice della sua vita.

“Non posso lasciare che quell’uomo muoia per niente”

The Last of Us 2

Ellie: proseguire significa “logoramento”

Dopo il primo giorno, pensavo di comprendere l’importanza del compito di Ellie, la giustificavo persino. Ma il secondo giorno mi ha spinto sull’orlo del baratro. Gli ambienti hanno iniziato a deformarsi davanti ai miei occhi, più congestionati; gli enigmi più difficili da risolvere. Iniziano ad apparire i veri “lupi”. Il WLF comparirà in numeri sempre più grandi, mettendo in atto tattiche sempre più letali. Allo stesso tempo il sistema di recupero e aggiornamento del gioco incoraggia a migliorare le armi, le tattiche di perlustrazione; le bombe fumogene diventano più veloci, più silenziose e furtive: si trasformano in un’efficace macchina da guerra.

Ellie striscia sui propri gomiti attraverso le trincee dei disgregati quartieri di Seattle, paludi fangose, case ed uffici in decomposizione. I tamburi tonanti della musica di Mac Quayle risuonano attraverso il mio cranio, schiacciandomi con ondate di insensibile angoscia: tutto in questa esperienza è progettato per simulare il tumulto interiore di Ellie; quasi come se mi stessi confidando con esso.

Ma per poterlo sentire bisogna cogliere in modo tangibile quanto il design di un gioco possa emulare la sensazione di dolore: non c’è conforto a portata di mano. Nemmeno le sequenze “flashback”, che mettono in luce la crescente distanza di Ellie e la sfiducia nei confronti di Joel, riescono a ridurre l’intensità di un così forte ed emergente odio. Tutto ciò che l’opera vuole costringermi a fare è solo usare il dolore come arma per tagliare il sangue e distruggere il mondo che sta di fronte a me… fino a Nora.

In questa esperienza Naughty Dog incoraggia ripetutamente il videogiocatore ad uscire dalla propria comfort zone e immergersi nel mondo di distruzione di Ellie e, per quanto sia stato fastidioso, niente è stato così insopportabile come la semplice pressione di un pulsante necessario per torturare Nora: lei morirà comunque e soprattutto non è facile essere in disaccordo con la sua difesa per aver ucciso Joel. Ma non importa. Questa ricerca non è guidata dalla logica o dalla comprensione: poche missioni sono motivate da cose del genere in un mondo così crudele come The Last of Us.

Questa ricerca è guidata dall’emozione, da un intorpidimento esasperante del proprio animo, dal dolore.

Non è ancora finita. Il terzo giorno Ellie ha completamente assimilato tutta l’oscurità di Seattle. Il design diventa ancora più insidioso e sviluppato in verticalità, costringendo il videogiocatore a spostarsi in continuazione in alto e in basso, salire e scendere. Crollano pezzi di strada lungo il cammino a causa della pioggia a dirotto.

Sebbene la scrittura delle battute tra Ellie e Jesse sia inizialmente spensierata ed accogliente, l’intera disastrata scenografia di contorno crea un forte contrasto a tal punto da far credere che la sceneggiatura sia sbagliata o, comunque, decontestualizzata in modo davvero inquietante. Questo contrasto è ovviamente voluto e non fa altro che accentuare l’immedesimazione nei panni di un Ellie sempre più mentalmente instabile. Mi ci è voluto un po’ per capirlo.

Arriva il momento in cui Ellie rimane nuovamente sola. Il WLF e gli infetti non sembrano più rappresentare una preoccupazione rilevante: l’acquario è l’unica cosa che conta. Non si tratta più di giustizia. Neanche più di semplice dolore: è pura ossessione. Nessuno può intromettersi per impedire ad Ellie il raggiungimento del proprio obiettivo. L’ultimo “grammo di resistenza” sembra incrollabile: le onde che sbattono contro Ellie, tutte le porte chiuse e persino un cane d’attacco non sono sufficienti. Affrontare tutto questo aiuta a comprendere la disperazione della sua ossessione. A provare a contenerla non sarà Abby bensì Owen e Mel.

Ellie, attraverso questo suo percorso di pura ossessione, diviene il vero “lupo, sterminatrice di un gregge di pecore, indifese di fronte al vassallo di una distruzione consapevolmente vendicativa verso i presunti nemici ed inconsapevolmente corrosiva per l’animo della giovane protagonista: pur di raggiungere il proprio obiettivo sacrifica la propria umanità, distruggendo se stessa. Non conta ciò che potrebbe perdere (Jessie, Tommy e Dina) fintanto che nella mente di Ellie è presente solo quell’immagine che ritrae Joel nei suoi ultimi istanti.

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Abby: prospettiva rovesciata

Dopo aver trascorso le ultime 10/15 ore sprofondando sempre di più nel mondo di dolore di Ellie, prima perdendo e poi lentamente riacquistando la “risonanza” con le sue motivazioni, l’opera costringe a catapultarsi, piuttosto bruscamente, nei panni dell’assassino di Joel.

Anche dopo aver ucciso dozzine di lupi e infetti, essere stati costretti ad intraprendere le azioni moralmente ambigue di Ellie e sguazzare nella perpetua disperazione di Seattle, questo in qualche modo mette il pubblico molto più a disagio di qualsiasi cosa abbiano sperimentato fino a questo momento. Ed è proprio questo il punto: ognuno di noi, proprio come Jessie o Dina, sostiene le azioni orribili di Ellie solo fino al punto in cui possiamo perdonare il nostro stesso disagio con l’ignoranza intenzionale di come stiano realmente le cose. Ma quando si tratta di simpatizzare con il nemico, indipendentemente dal motivo, si traccia inevitabilmente un limite.

Inoltre, la fiducia in Abby è messa a dura prova già dagli eventi iniziali. Diviene tutto molto più complicato, sia a livello sentimentale che mentale: ed è qui che Neil Druckmann, con la mano ferma d’autore, mostra ai propri spettatori una verità che probabilmente nessuno dei videogiocatori aveva mai considerato: Joel ha uscciso il padre di Abby.

Nel contesto della nostra esperienza con Ellie nella sua vendetta e nella narrazione di The Last of Us Parte 2, il momento in cui ci troviamo a interpretare Abby rappresenta una svolta significativa nel gioco. È un momento che ci consente di applicare rapidamente la comprensione acquisita con Ellie al personaggio di Abby. Questo creerà un ponte istantaneo che ci riporterà al momento della morte di Joel, ma ora attraverso gli occhi di Abby.

Tuttavia, attraverso la straordinaria performance di Laura Bailey, non troviamo alcuna risoluzione chiara o espressione soddisfacente sul volto di Abby in questo momento. Non riusciamo a identificare esattamente cosa stia provando, ma è evidente che non è ciò che si aspettava di provare. Questo non solo cambia la prospettiva sulla storia di Abby, ma anche sulla trama generale di The Last of Us Parte 2.

Da qui veniamo catapultati indietro al primo giorno a Seattle. Ritorniamo a vagare per i corridoi e le stanze dello spazio operativo del WLF, che sembra essere stato precedentemente uno stadio dei Seahawks. È un’ambientazione in cui persone comuni sollevano pesi, pranzano nella mensa, conversano su film e ragazze, e ci sono bancarelle con cibo fresco. Ci sono persino cani con cui giocare. Tutti sembrano condurre vite normali, e questa visione contrasta fortemente con le persone da cui abbiamo faticosamente cercato di scappare insieme a Ellie.

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Questa situazione non corrisponde affatto alle nostre aspettative nei confronti dei Lupi, ma in realtà riflette esattamente ciò che ci aspetteremmo dalla vita quotidiana delle persone comuni. Qui, i cani sono adorabili, le relazioni sono sane e le persone hanno interessanti passatempi. Questo solleva una domanda: perché dovremmo sentirci colpevoli per le vite di queste persone che abbiamo potenzialmente rovinato nei giorni trascorsi con Ellie? Questo è un conflitto interiore che ogni giocatore sperimenta in questa parte del gioco.

Tuttavia, a dispetto di questa dissonanza cognitiva tra la nostra lealtà iniziale verso Joel ed Ellie e la realtà che stiamo vivendo con Abby, continuiamo a seguire la sua storia. Abbiamo una curiosità più profonda, che va oltre la fedeltà a Ellie e Joel. Vogliamo capire Abby, anche se fatico io stesso a non ammetterlo apertamente. Quindi, attraversiamo i commenti taglienti di Abby sulle cicatrici del fanatismo, esploriamo la sua storia romantica non corrisposta con Owen e assistiamo ai suoi disperati sforzi per sopravvivere.

Solo alla fine del primo giorno otteniamo una risposta sorprendente alla dissonanza cognitiva sia di Abby che nostra. Quello che inizialmente potrebbe sembrare una scena di sesso improvvisata si rivela invece la perfetta risposta. Questa scena rivela quanto Abby abbia rinunciato per inseguire la vendetta. Il legame con Owen, il suo aspetto vulnerabile che un tempo aveva in comune con lui e l’interiorità compassionevole che suo padre aveva plasmato in lei emergono con chiarezza.

Questa è una confessione di debolezza, il primo momento del genere nel gioco. Questa scena sottolinea che noi, come giocatori, non dobbiamo necessariamente essere governati dalle forze violente e apatiche che dominano il mondo del gioco. Possiamo essere di più, come dimostrato dal suo atto di salvare Yara e Lev. Nel mondo di Abby, non ci sono particolari meriti che rendano queste due persone più degne di essere salvate rispetto ad altre. L’importante è l’atto stesso del salvataggio.

Il nostro viaggio attraverso questi ponti sospesi rappresenta un confronto diretto con la causa per cui Lev si batte. C’è una connessione significativa tra i Lupi e gli altri sopravvissuti. Ma questa connessione deve ancora essere completamente compresa. Fino a questo punto, Abby non aveva mai vacillato nel suo comportamento indomito. Tuttavia, dalla mattina del secondo giorno in poi, iniziamo a vedere sempre più chiaramente le sue vulnerabilità.

Questo diventa evidente quando deve attraversare lo sky bridge, dove la musica di Mac Quayle risuona attraverso la stratosfera, mentre il sound design cattura il vento che soffia e il leggero scricchiolio dei tubi e del compensato che calpestiamo. Questi dettagli contribuiscono a immergerci completamente nell’ambiente di gioco e ci fanno sentire parte di esso. In particolare, l’equilibrio di Abby durante il gioco trasmette un senso di libertà d’azione al giocatore, rendendo l’esperienza coinvolgente e intensa.

Tutto ciò si traduce in un coinvolgimento emotivo profondo da parte del giocatore. Sentiamo come se i coltelli fossero affilati nei nostri polsi, simboleggiando la tensione e l’emozione che accompagnano l’evoluzione del personaggio di Abby. Questo ci fa capire quanto ci teniamo a lei come protagonista della storia.

Quando la peggiore paura di Abby diventa realtà, cioè quando affronta le conseguenze delle sue azioni passate, tutti noi, come giocatori, siamo disposti ad accogliere la possibilità del suo riscatto. Da questo momento in poi, The Last of Us Parte 2 si trasforma in una storia di improbabile redenzione, in cui Abby impara la compassione e il perdono. Questo cambio di prospettiva ci fa riflettere sul potere del cambiamento e della crescita personale, rendendo la trama ancora più coinvolgente ed emozionante.

La redenzione di Abby ci trascina attraverso estremi di gioco, dalle profondità del confronto con il Rat-King sotto l’ospedale, all’intricata isola “figurativa” che rappresenta il boss “di alto livello” del terzo giorno. Questo percorso ci porta a molti dei più implacabili incontri di combattimento del gioco. Tuttavia, attraverso questa discesa nell’oscurità, si paga un prezzo autodistruttivo.

La strada per uscire dall’oscurità può essere altrettanto insidiosa. Proteggere Yara e Lev ci costringe a uccidere persone che una volta consideravamo famiglia, proprio come i Lupi erano un tempo parte di noi stessi. L’unica ragione per cui comprendiamo questo è grazie al primo giorno di Abby.

Non si è mai trattato di incolpare il giocatore per le persone che ha ucciso, com’è stato per Ellie. Si trattava di capire chi sono i Lupi per Abby e di cosa è disposta a rinunciare per sfidarli. E noi, come giocatori, facciamo lo stesso ragionamento per i Serafiti, anche se continuiamo a ucciderli per proteggere Yara e Lev. La morte di questi individui non è mai leggera, ed è per questo che il terzo giorno della storia di Abby rappresenta un giorno di sacrificio.

In questo giorno, ciò che viene sacrificato sono le amicizie e le famiglie di Abby e Lev, oltre alle lealtà alle fazioni e all’ego sia della nuova protagonista che del giocatore. Questo è il prezzo che si paga per “scegliere” l’empatia in un mondo apatico, e lo pagheremo fino alla fine. La fuga dall’isola è un evento storico in ambito multimediale, ma rappresenta anche una terrificante dimostrazione di emozioni oscure che conducono a una violenza efferata.

Sappiamo che entrambe queste fazioni, Lupi e Serafiti, sono capaci di mostrare amore e comprensione per le persone che li circondano. Tuttavia, così tante vite vengono sprecate in nome di una campagna di pura distruzione. Questo ci fa riflettere sulla capacità degli esseri umani di compiere atrocità terribili in nome di cause che dovrebbero essere benevoli. Anche in un mondo in cui lavorare insieme per sopravvivere è cruciale, sembra che finiamo per ripetere gli stessi errori, ancora e ancora.

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Ellie e Abby: lo scontro

Abby e Lev devono fuggire dalle loro vite, attraversando una fuga selvaggia che li porta fuori dall’oscurità. Questo percorso ci aiuta a dimenticare ciò che è successo solo dieci ore prima. Questo è il prezzo di essere una persona amorevole in un mondo come “The Last of Us”. I pensieri di vendetta tornano in mente ad Abby come un veleno, costringendola a fronteggiare le forze cruente che una volta la guidavano. Ancora una volta, ci troviamo a “recitare” questa tragedia, tornando al teatro dove è avvenuto lo scambio, e dove poi dobbiamo affrontare l’inevitabile scontro con Ellie.

Nonostante il rischio intrinseco nell’invitare il giocatore a uccidere la protagonista, questa dinamica funziona in modo impeccabile, e gran parte del merito va al fatto che ora conosciamo l’intera storia. Ellie, da questa prospettiva, emerge come il “cattivo” della storia di Abby, ed è lei che stiamo per sfidare come “boss finale“. Le tonanti composizioni di Mac Quayle ritornano con forza, richiedendo tattiche astute e aggressive per abbattere Ellie. Le scene tagliate tra le fasi del combattimento, mentre entrambi questi personaggi si feriscono e si affrontano, trasmettono una profonda intensità.

Questo momento non riguarda più la scelta di schierarsi da una parte o dall’altra. Il giocatore sa che dopo l’isola, la narrazione è incentrata sulla cruda confusione del dolore e su come esso possa portarci a compiere azioni oscure e orribili l’uno contro l’altro. È un’esperienza che richiede una voce amorevole per calmare la frustrazione.

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Grazie Joel! – Non esiste solo vendetta

Dopo venti brutali ore di gioco a Seattle, sia i nostri protagonisti che il giocatore meritano una pausa. Questa sosta ci porta alla fattoria, dove Ellie e Dina stanno cercando di vivere una vita tranquilla, crescendo il figlio di Jesse. La casa in cui si trovano riflette chi sono Ellie e Dina e le vite che desiderano, ma in qualche modo appare vuota. Questa è la logica conclusione del viaggio di Ellie, ma non quella emotiva.

L’ossessione, il trauma, l’orribile passato inevitabile, l’odio che una volta ha guidato Ellie, si sono consumati fino a diventare puro terrore. Dopo tutto ciò che ha passato, Ellie potrebbe scoprire che seppellire l’ossessione di vendicare Joel non è sufficiente. La sua ossessione è scatenata come un’onda distruttiva divorante, e più tempo passa in questa fattoria, più mina la sua felicità, la sua sicurezza, la sua fiducia e, alla fine, il suo amore. Ogni motivo che aveva per vivere qui viene cancellato dall’ossessione di vendetta nei confronti di Joel.

Anche se sappiamo che tutto ciò non è vero, possiamo capire perché Ellie lo crede. Il suo diario è pieno di disegni di falene, il simbolo sulla chitarra di Joel (il suo regalo per lei) e le promesse che si sono scambiati. Ma ora, le promesse non possono più essere mantenute, e Joel non può essere riportato in vita. È giunto il momento di un ultimo atto di distruzione.

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Santa Barbara rappresenta l’esatto opposto di Jackson, il paradiso figurato in cui è iniziato il nostro viaggio in The Last of Us Parte 2. Ma Ellie non è estranea a questo caos, e in un certo senso, la concentrazione di rabbia profonda, odio letale e dolore incontenibile che ribolle dentro di lei è molto più potente di qualsiasi cosa questo luogo possa scagliarle addosso. Questo momento rappresenta il culmine della violenza nel gioco, con frecce esplosive, mine, sparatorie e sangue, il tutto che lascia dietro di sé una scia di annientamento mentre Ellie si dirige verso la spiaggia con intenzioni oscure.

Ma poi, c’è un momento di esitazione. Abby è determinata a proteggere Lev in modo molto simile a come fece Joel con Ellie, e ciò fa sorgere domande profonde. Abby è davvero così diversa da Ellie? È così diversa da Joel? La risposta diventa meno rilevante in questo momento. È una confessione di dolore, con musiche martellanti, pezzi di carne e sangue che fuoriescono dai protagonisti. È un film horror, e stiamo interpretando l’orrore. Possiamo resistere al dolore quanto vogliamo, ma alla fine, porterà alla distruzione, consumandoci irrimediabilmente.

Ellie spende ogni ultimo pezzo della sua anima in questo momento: un atto finale di distruzione. E proprio quando le nostre peggiori paure per Ellie e Abby sono sul punto di realizzarsi, Joel ci salva.

Rinunciare alla vendetta in un momento cruciale è una scelta profonda e significativa. Ci chiediamo perché, nonostante tutte le vite distrutte, gli amici persi e gli errori commessi, Ellie possa abbandonare il desiderio di vendetta. Abbiamo compreso che far uccidere Abby significherebbe sprecare la preziosa opportunità di Ellie di capire Joel in un modo completamente nuovo.

Joel emerge come un uomo paziente e amorevole che ha salvato Ellie non per egoismo, ma per puro amore disinteressato nei suoi confronti. Questa rivelazione aggiunge una nuova dimensione al personaggio di Joel, ricontestualizzando l’intera storia. Durante tutto il gioco, Ellie ha cercato di perdonare Joel, di comprendere il suo scopo più profondo e il motivo per cui credeva così fermamente in lei. La confusione e il dubbio che Ellie prova riguardo al fatto che Joel non avrebbe voluto che lei cercasse vendetta, ma piuttosto che preservasse il suo sacrificio, è una tematica centrale.

Questa confusione è alimentata dalla tragedia che ha colpito Joel, una tragedia che è stata in gran parte scatenata dalla sua stessa azione di non derubare Ellie della sua capacità di perdonarlo in primo luogo. Questa è la complessità che circonda il personaggio di Ellie. Solo nel momento in cui la comprensione di Joel è messa in gioco in modo così diretto, Ellie trova finalmente chiarezza.

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Tutto si riduce a una lezione che Joel aveva già imparato nel primo The Last of Us e che Abby aveva compreso in precedenza: questo gioco riguarda l’amore. Non è solo l’amore che Ellie può ricevere, ma anche l’amore che può donare al mondo. Questo è il suo vero scopo.

Anche se Ellie potrebbe non conoscere Abby come noi, il gesto di risparmiarla dopo averla quasi uccisa è molto distante da quello che la maggior parte delle persone definirebbe amore. Tuttavia, questa decisione rappresenta il momento in cui Ellie decide di lasciar andare il suo ego, anche in un momento di evidente superiorità, e finalmente accetta e comprende che Abby non è poi così diversa da lei. Questa convinzione può radicarsi solo in un luogo di profonda empatia.

Sempre più spesso, non solo i giocatori, ma anche il pubblico e i consumatori di varie forme d’arte e media desiderano un finale che susciti una forte reazione emotiva, che faccia pensare loro: “wow, è stato un gioco fantastico”. Oppure che li faccia commuovere fino alle lacrime, permettendo loro di immergersi nella bellezza dell’esperienza. Tuttavia, The Last of Us Parte 2 è un’opera che sfida deliberatamente queste aspettative, presentando un finale che può sembrare insensibile ma che è stato intenzionalmente concepito per far riflettere, profondamente.

Responsabilità generazionali: sceneggiatura complessa per temi complessi e significato di “The Last of Us”

Il finale del gioco è molto potente perché il protagonista attraversa un percorso che lo porta dalla ricchezza di emozioni e possedimenti alla perdita quasi totale. La perdita è affrontata in modo così realistico che può essere difficile trovare una reazione emotiva adeguata. Il brano di Gustavo Santaolalla intitolato “Beyond Desolation“, nei titoli di coda, è perfettamente appropriato per la sensazione che il finale trasmette, una sensazione che sfugge a una semplice definizione emotiva.

Nonostante la vacuità apparente del finale, è importante riconoscere che l’intera esperienza di gioco ruota attorno a temi profondi come l’amore, la sfida e le conseguenze dell’ossessione e della faziosità. Il gioco esplora come queste forze possano spingere gli esseri umani a compiere azioni orribili. Pertanto, il finale non mira a soddisfare le aspettative tradizionali di un lieto fine, ma piuttosto a stimolare la riflessione sulle tematiche affrontate.

Tuttavia, alla fine, la domanda principale che emerge è “perché?” Perché questa storia è stata raccontata in questo modo?

La decisione di Neil Druckmann e Halley Gross, i principali autori e sceneggiatori di The Last of Us Parte 2, di raccontare la storia in modo così intenso e impegnativo riflette la loro volontà di esplorare temi complessi e provocare una risposta emotiva e una riflessione profonda nei giocatori. Non si trattava di raccontare una storia facile o convenzionale, ma di creare un’esperienza che sfidasse le aspettative tradizionali e affrontasse temi profondi e universali.

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Avendo compreso sin da subito la complessità della scrittura, ho iniziato a setacciare l’opera in tutte le sue sfaccettature. Questo è quanto: esplorare i dettagli del mondo di gioco, cercare oggetti da collezione, dialoghi opzionali e sfumature nella stessa animazione/messa in scena può arricchire notevolmente l’esperienza di The Last of Us Parte 2. L’attenzione ai dettagli mi ha permesso di scoprire connessioni e significati nascosti all’interno del gioco, consentendomi di apprezzare appieno la complessità della storia e dei personaggi.

Ho persino trovato stimolante riflettere sul significato stesso del titolo dell’opera. Riguardo al perché l’opera è chiamata letteralmente “Gli Ultimi di Noi” e chi rappresentano gli “ultimi” in questo contesto di apocalisse, è interessante notare che il titolo può essere interpretato in diversi modi: potrebbe riferirsi agli ultimi esseri umani sopravvissuti all’apocalisse o ad una generazione specifica che si trova in una situazione di “ultimo atto” nell’evoluzione dell’umanità.

Nel contesto della storia, gli “ultimi” potrebbero rappresentare Ellie e Abby stesse, insieme a tutte le altre persone che hanno attraversato l’apocalisse. Sono le protagoniste principali, le cui scelte e azioni guidano la trama del gioco e che rappresentano due prospettive diverse in un mondo che sta affrontando una svolta critica.

Letteralmente, “l’ultimo/a di noi” potrebbe tranquillamente rappresentare l’ultima speranza per l’umanità. Questo scenario susciterebbe un profondo senso di inquietudine. Tuttavia, ritengo che questa interpretazione sia eccessivamente ampia e forse troppo nichilista rispetto alla vera essenza dell’opera “The Last of Us” nel suo complesso. Potremmo considerare “gli ultimi di noi” come un gruppo demografico o un sottoinsieme dell’umanità, forse una generazione.

Ma quale generazione potrebbe essere? Potrebbe essere la generazione di Ellie, coloro nati dopo l’apocalisse, oppure la generazione di Joel, coloro nati prima dell’apocalisse. Considerando l’attenzione data agli anziani nel primo gioco e la focalizzazione sui giovani nel secondo, entrambe le interpretazioni sembrano plausibili. Dopo aver riflettuto sul significato non solo della seconda parte, ma anche della prima, posso affermare con certezza che con “l’ultimo/a di noi” si fa riferimento alla generazione di Joel. Ecco il motivo:

L’apocalisse rappresentata in questi giochi non è semplicemente il frutto di sfortunate circostanze. Piuttosto, il mondo di The Last of Us è il risultato di una serie di cattive decisioni generate dai fallimenti dell’umanità. Si tratta di una realtà inevitabile, plasmata dal vizio umano e dalla totale indifferenza di una generazione senza speranza.

Il disastro che si abbatte su Joel mette alla prova non solo lui, ma anche personaggi come Bill, Henry, Tommy e tutti gli altri sopravvissuti del primo gioco. Questo non è semplicemente un evento straordinario, ma diventa la loro nuova realtà. Non solo devono affrontarla, ma anche accettare la responsabilità di garantire la sopravvivenza dell’umanità in questo mondo ostile. La responsabilità di insegnare come sopravvivere in questa nuova realtà cade sulle loro stanche spalle. Devono anche imparare dagli errori del passato per creare un cambiamento duraturo e sbloccare il futuro che è stato loro sottratto in modo così ingiusto.

Nel gioco, la missione è quella in cui Joel diventa un punto di riferimento per una generazione di adulti apatici. Ellie rappresenta la prossima generazione, simbolizzando la speranza, sia letteralmente che figurativamente, per il futuro dell’umanità. La sua immunità offre alle Luci la speranza di creare una cura, ma poiché è nata in un mondo post-apocalittico, un giorno erediterà la responsabilità di risolvere i problemi del mondo.

Questo compito è enorme, e questa dinamica è ciò che rende il viaggio nel primo gioco così coinvolgente. Joel trasmette ciò che ha imparato alla generazione successiva e la protegge con tutte le sue forze, nonostante le critiche o le opposizioni, culminando in una decisione finale in cui decide di salvare Ellie, anche a costo di distruggere le Luci e condannare l’umanità.

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Al tramonto della prima parte e per gran parte della seconda, le azioni di Joel sembravano estremamente imprudenti. Non solo ha condannato il futuro della sua stessa specie, ma ha anche tolto la vita a dozzine di persone e ha impedito che una possibile cura fosse sviluppata. Nel flashback finale della seconda parte, Joel dice con orgoglio a Ellie che rifarebbe tutto da capo. Questo può sembrare difficile da comprendere, dato che sembra difendere con fermezza le sue azioni malvagie e non mostra alcun rimorso per le vite che ha preso.

Mi ci è voluto del tempo per capire questo aspetto, ma ho comunque iniziato a vedere Joel sotto una luce completamente nuova a causa di quel momento. La scoperta più importante di Joel nel corso del primo gioco è stata capire che se Ellie fosse morta, la speranza per le future generazioni sarebbe morta con lei. Anche se una cura fosse stata sviluppata, le cose non sarebbero cambiate in meglio in un mondo così spietato, pieno di individui egoisti e senza cuore pronti a distruggere chiunque minacci il loro ego e la loro sicurezza.

Joel ha vissuto in isolamento estremo e ha visto l’oscurità nel cuore dell’umanità, rappresentata da individui come coloro che hanno attrezzato trappole esplosive in tutta la città o da persone come David, che aveva ingannato Ellie per nutrire la sua comunità.

Per Joel non esiste la possibilità di un ritorno verso un mondo tradizionale pre-apocalisse. L’umanità doveva convivere con la sua bruttezza, ma salvando Ellie e consentendole di utilizzare i suoi doni per ispirare e cambiare la vita degli altri, lei avrebbe potuto contribuire a un futuro veramente migliore. Sarebbe stata la sua generazione a portare un cambiamento positivo nel mondo. Quindi, letteralmente, “The Last of Us” non si riferisce all’ultimo dell’umanità, ma piuttosto all’ultima generazione a deludere l’umanità.

La generazione di Ellie sarà la prima a risorgere e a portare un cambiamento. Sarà quella a portare avanti la lotta generazionale per un mondo migliore, con un cast di personaggi quasi interamente giovani nel secondo gioco. Tutte queste persone, Jesse, Owen, Dina, Mel, Manny, Abby ed Ellie, non hanno mai conosciuto un mondo senza infetti.

Apparentemente, sono stati condizionati ad accettare la violenza e la mentalità del clan come norme quotidiane, considerandoli aspetti necessari della vita nella società post-apocalittica. Nonostante la bontà e l’affinità di cui sono capaci questi giovani, come vediamo sia a Jackson che nello Stadio dei Lupi, sono solo capaci di riprodurre i cicli di violenza che gli sono stati tramandati dai loro antenati, dalla generazione di Joel.

In molti modi, hanno solo ereditato i fallimenti delle generazioni precedenti e non trovano alcuna soluzione per porvi rimedio. L’empatia, la compassione e il compromesso non sono valori che hanno ereditato. Il mondo intero sembra “oscuro” per questo motivo. Ma ciò non significa che non ci siano coloro che hanno cercato di fermare questa tendenza.

Sia Joel che il padre di Abby, Jerry, vivono i loro ultimi giorni con amore, essendo esempi di tutto ciò che la loro generazione non è stata per i giovani. Forse attraverso il loro esempio, possono piantare i semi dell’amore che sperano di vedere nel mondo e creare un cambiamento duraturo. Il potere e l’importanza di noi, gli ultimi, emerge nella seconda parte, vedendo come Ellie e Abby imparano da quegli esempi.

Loro, Ellie in particolare, iniziano a seguire le orme dell’uomo distrutto che Joel era quando lo hanno incontrato per la prima volta. Alla fine del gioco, hanno praticamente camminato per un miglio nei suoi panni, vivendo così tanti dei suoi errori e momenti. In entrambi i viaggi, Ellie ed Abby non riescono mai a sopravvivere o ad estraniarsi dagli esempi di amore nelle loro vite. È una contraddizione confusa, disordinata e talvolta traumatica con cui sono alle prese.

Le azioni nate da quella “confusione” finiscono per costare loro gran parte della loro identità e della loro felicità.

The Last of Us 9

Ma alla fine, gli esempi amorevoli nelle loro vite diventano più potenti dell’oscurità che li circonda.

Epilogo: riflessioni

È un’affermazione rassicurante e piena di speranza. Nonostante il gioco sia costernato dalla negatività dei vizi umani, penso che ci siano barlumi di speranza nel finale del gioco.

Ciò suggerisce che i fini confusi e ossessivi di Ellie potrebbero esserle costati tutto, ma non l’amore che Joel le ha mostrato. Quando si allontana dalla fattoria, lontano dalla chitarra di Joel nell’ultima inquadratura del gioco, credo che stia andando figurativamente verso un auspicabile nuovo mondo, per trovare la sua redenzione. Finalmente realizzerà il suo scopo come esempio di empatia e cambiamento in un mondo tetro ed oscuro. È una promessa. Ma a differenza di quella iniziale, questa è così grande e pesante che non può essere suonata come tutte le altre sulla chitarra di Joel.

Con tutto quello che è stato detto, credo che Naughty Dog volesse raccontare la storia nel modo in cui l’ha affrontata affichè pensassimo a ciò che la nostra generazione può fare per cambiare il domani. Come possiamo agire non spinti dalla rabbia o dall’aggressività, ma con empatia e compassione per creare un mondo veramente migliore.

Per le generazioni videogiocatrici più anziane, che hanno vissuto importanti esperienze di vita nei sette anni trascorsi dall’uscita del primo gioco, è una responsabilità essere un esempio positivo per i giovani. Per le nuove generazioni, che probabilmente sono cresciute guardando una proiezione di “The Last of Us” su YouTube (o recuperando la remastered della prima parte), diviene esasperante la responsabilità di ereditare ed affrontare i problemi derivanti dalle generazioni precedenti: disuguaglianza razziale, disparità economica, diritti delle donne, salute mentale e la battaglia senza fine contro l’apatia e l’ignoranza.

Questo è il messaggio generazionale di “The Last of Us”.

Personalmente, ritengo non esista una singola opera d’arte o media che abbia catturato in modo così efficace ciò che sembra il puro orrore di diventare un adulto nel 21° secolo. Sicuramente non meglio di The Last of Us Parte 2. In più, viceversa, a causa dell’onestà del gioco verso questa “ansia di veglia sociale“, poche opere d’arte mi hanno impresso così tanta sicurezza: so che esiste un modo e che ho uno scopo. Non importa quanto possa essere confuso, non importa quale ossessione velenosa offuschi i miei pensieri come una falena in fiamme o quanti errori faccio, posso sempre riprovarci.

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Questa è l’inconfondibile umanità di The Last of Us. So che è difficile, ma possiamo scegliere di essere felici. Sì, ci è permesso essere felici.

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The Last of Us Parte 2: umanità e responsabilità generazionali 11

Iniziò tutto all'età di tre anni, quando per la prima volta trovai il coraggio di premere il pulsante di accensione di quella "catapecchia" che, un tempo, era il "non plus ultra" della tecnologia. Era il mio tutto: la mia attrezzatura nell'esplorazione di antiche tombe dimenticate nei panni di un'atletica archeologa, la mia auto tra le strade di San Francisco e Miami nei panni di un ex pilota di auto da corsa diventato poliziotto, fino ad essere la mia cara Normandy a spasso tra le stelle della Via Lattea. Questi viaggi, che non dimenticherò mai, mi hanno reso, grazie ai loro valori e messaggi intrinseci, la persona passionale, curiosa e caparbia che sono oggi. La scrittura è il mio unico strumento per trasmettere i principi positivi che questo percorso infinito mi ha lasciato, e questo "Spazio" è l'Infinito che mi permette di condividerli. Ti andrebbe di proseguire questo cammino insieme? E ricorda: "la meta è partire" (Giuseppe Ungaretti).

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