Dopo più di trent’anni di spasmodica attesa, Sandman, uno dei fumetti più influenti di tutti i tempi, da uno degli autori più influenti di tutti i tempi, Neil Gaiman, ha finalmente ottenuto la sua trasposizione tanto agognata.
Netflix ha rilasciato la prima stagione della sua nuova serie evento, The Sandman, adattando in formato seriale i primi due volumi (su dodici, senza contare Overture, lo spinoff Death e, se vogliamo essere i nerd pignoli che ci definiamo, The Books of Magic)della saga fumettistica e alcune storie brevi. Con lo stesso Gaiman alla produzione e alla scrittura, la collaborazione di Dave Mckean e un cast di tutto rispetto, The Sandman è riuscito senz’altro a far parlare di sé, diventando la serie più vista del mese di agosto 2022.
Questo grazie ad una buona campagna mediatica e pubblicitaria della serie, alla quale si aggiungono il Maestro e il cast. Ma il risultato ottenuto è quello sperato?
Gli Eterni sono entità sovrannaturali che vegliano e servono gli esseri umani. Tra gli esseri più potenti del cosmo, Morte, Sogno, Destino, Desiderio, Disperazione, Delirio e il non più Distruzione, sono stati creati dalla stessa immaginazione umana, e come tali dipendono dalle stesse persone che dominano. A detta di Distruzione, “Nessuno di loro vivrà più a lungo di questa versione dell’universo”.
Nel 1916 un mago inglese, col tentativo di imprigionare la Morte, attua un rituale che, erroneamente, porta nel mondo reale Sogno, il Plasmatore di Storie, il più enigmatico di tutti gli Eterni. Rimasto impotente per oltre un secolo, alla fine Morfeo riesce a liberarsi dalla sua prigione e a tornare alle Terre del Sogno.
Ma il suo regno è decaduto, i suoi preziosi oggetti, l’Elmo, il Sacchetto di Polvere e il Rubino, gli sono stati sottratti, pochi gli sono rimasti fedeli, e alcune tra le sue creazioni, come il terrificante incubo Corinzio, sono liberi di vagare per il Mondo della Veglia.
Sogno dovrà dunque intraprendere un viaggio tra il Mondo della Veglia e altri piani di esistenza, in una missione in cui onirismo e realtà si mescolano, per raggiungere due obbiettivi principali: ritornare potente come un tempo e ricordare a tutti che lui solo è il Signore dei Sogni. Perché non è mai solo un sogno.
Quando è lo stesso scrittore dell’opera originale ad essere coinvolto nella sceneggiatura della trasposizione diminuiscono notevolmente le possibilità che questa fallisca come adattamento. Certo, ci sono delle eccezioni, ma con Neil Gaiman è sempre una certezza.
Dopotutto stiamo parlando di un uomo che ha dimostrato più volte di essere un autore poliedrico, sia come fumettista (oltre a Sandman pensiamo ai suoi Eterni o a 1602, o, per la DC, Che Cos’è Successo al Crociato Incappucciato?), romanziere (American Gods, Coraline) e sceneggiatore (Doctor Who). Ultimamente si è sempre più costruito la fama di adattatore delle sue stesse storie, in precedenza con Stardust, più di recente in Good Omens e in American Gods. Non ci si dovrebbe meravigliare dell’abbassamento della qualità di quest’ultima serie quando egli è stato sempre meno coinvolto nel progetto.
Come ben sappiamo, in un adattamento non è necessario che ogni scena sia identica alla sua controparte originale. Soprattutto se stiamo parlando di un’opera variegata e complessa come Sandman, è bene che vi siano cambiamenti. Come dice lo stesso Sogno, sia nel fumetto sia nella serie, le storie tornano sempre alla loro origine. Non sappiamo se o quanto durerà il successo di questa serie, ma in ogni caso il fumetto rimarrà sempre com’è stato. Sono sempre benvenute “copia carbone” come Sin City, ma non fa mai male un The Boys ogni tanto.
Durante la produzione della serie, tuttavia, non sono mancate le polemiche anche da parte dei fan per alcune scelte di casting, come il far interpretare Morte da un’attrice nera o l’aver scambiato John Constantine con Johanna. Di quest’ultimo fatto, tuttavia, dobbiamo dar più la colpa ai diritti della HBO, e per questo Gaiman ha dovuto sfruttare un personaggio creato da lui stesso per la DC per rimpiazzare John.
Per quanto riguarda le lamentele continue dell’ormai abusato “politically correct” tipico di Netflix, ci dobbiamo ricordare che sin dagli anni ’80 Neil Gaiman aveva introdotto nel suo fumetto tematiche LGBT senza renderle stereotipate. Insomma già ai suoi tempi Sandman era un fumetto avanti negli anni, Netflix ha solo aggiunto un tocco personale per renderlo più attuale.
Proprio a causa, o meglio grazie, alla bravura di Gaiman come scrittore, The Sandman riesce ad essere fedele allo spirito dell’opera cartacea, lasciando integre le frasi o scene più importanti e, al contempo, addirittura migliorandone altre. Dopotutto è passato molto tempo da quel 1988 in cui si è presentato sugli scaffali quell’albo raffigurante un uomo smilzo, pallido e coi capelli neri arruffati simile al suo autore. La visione dello stesso autore può facilmente cambiare nel corso dei decenni.
Esempio più lampante è probabilmente l’episodio “24 ore”. Nel fumetto è una sequenza che serve a mostrare i poteri del Rubino, ma la sua lunghezza rallenta il pacing della storia, più di quanto lo fa di solito una storia di Neil Gaiman. La serie invece sfrutta il comparto visivo per rendere una delle parti più allungate di Sandman una delle più ricche di pathos. La costruzione del setting, l’uso delle luci sempre meno marcato man mano che si va avanti, il comparto sonoro inquietante e le inquadrature ricche di dettagli e primissimi piani aumentano la tensione, fino al drammatico finale.
Oppure lo scontro che si svolge nel quarto episodio, che per quanto nel fumetto venga reso in maniera accattivante, nella serie è stato modificato per renderlo più epico e integro narrativamente, soprattutto se sappiamo quel che succederà, o che potrebbe succedere, nelle prossime stagioni.
Gaiman sa che sta parlando ad un pubblico assai più variegato di quello dei fumetti, per di più un fumetto degli anni ’80. Per questo si prende molto più tempo per raccontare la sua saga epica weird in maniera visiva. Aggiunge dettagli alla scenografia, allunga il minutaggio delle scene così che lo spettatore s’immerga nella storia, dà più spazio ai silenzi e alle introspezioni dei personaggi. Per parlare in termini più specifici, uno sguardo di due secondi con un sottofondo adatto nel momento giusto può dire molte più cose di un baloon.
La colonna sonora, di David Buckley, spazia da toni epici a cupi e melodrammatici, che accompagnano il comparto visivo in una danza oscura nella quale non è difficile perdersi.
Grande importanza viene data all’ambientazione, tributata con ampi campi larghi e panoramiche, soprattutto quando determinate scene sono ambientate nel Mondo dei Sogni o in altri regni esterni a quello reale. In qualche inquadratura si riesce a intravedere uno sgambetto del green screen, ma se si ricorda dell’importanza data alla “finzione” voluta della serie, la si sa perdonare.
Il cast di The Sandman è talmente vasto e variegato che si dovrebbe spendere un articolo a parte per descriverlo. Ci si limiterà a dire che ognuno degli interpreti si è saputo calare nella sua parte al massimo delle sue capacità e a portare in vita i personaggi che tutti noi amiamo. Ma sarebbe un tradimento in effetti non citare gli attori che più hanno bucato lo schermo.
Tom Sturridge, per quanto sembri a prima vista sottotono come attore, è più che adatto alla parte di Sogno proprio per questa sua voluta freddezza e distacco emotivo da tutto ciò che lo circonda, eventi o persone che siano. Certo, è più giovane di come Sogno viene raffigurato nel fumetto, ma è un incentivo per un’interpretazione a lungo termine.
Chi però ruba la scena in tutta la stagione è naturalmente Boyd Holbrook nel ruolo del sadico Corinzio. L’attore non è nuovo nei ruoli di villain fumettistici (Logan-The Wolverine) e questa potrebbe essere la migliore finora. La sua perversione e il suo comportamento disturbante è qualcosa capace di renderlo un vero incubo sia nella serie sia per noi spettatori.
Kirby Howell-Baptiste mette a tacere tutte le voci contro di lei regalandoci una Morte all’altezza delle aspettative, con un perenne sorriso amichevole e un atteggiamento scherzoso ed empatico verso chiunque incontri.
Menzioni speciali vanno anche a Stephen Fry, che eccelle nel ruolo di Gilbert, Jenna Coleman come Johanna Constantine, Gwendoline Christine come Lucifero e David Thewlis come John Dee.
Credevano fosse impossibile trasporre sul grande schermo Il Signore degli Anelli, finché non è arrivato Peter Jackson con la sua inventiva a sorprendere lettori e pubblico neofita. Opera altrettanto improbabile sembrava una serie TV di Sandman, ma, allo stesso modo di Jackson, Neil Gaiman ci ha dimostrato il contrario. Una saga fantasy epica, dark, weird, che non si limita ad appassionare neofiti spettatori e ad accontentare i lettori, ma a far loro assaporare quasi le stesse esperienze che hanno provato mentre sfogliavano le pagine del fumetto Vertigo.
Si sarebbe preferita una serie animata, magari in rotoscopio come è stato girato Il Sogno dei Mille Gatti, così da aumentare la controparte onirica della storia, con giochi di colori più marcati e animazione dinamica, ma se siamo arrivati a questi livelli, dire che ci accontentiamo è dire poco. Perché Netflix è stato il Materioptikon con il quale Neil Gaiman, plagiando il suo Morfeo, ha saputo rendere reale il suo sogno, la sua storia. E, come dice Matthew, “Dreams don’t fucking die!”
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