Fumetti

Batman: L’impostore, la recensione: Il Cavaliere più oscuro

Batman: L'impostore

19.00
7.8

SCRITTURA

7.5/10

REGIA

8.5/10

CURA EDITORIALE

7.5/10

Pros

  • Un Batman emotivo ma per nulla stucchevole
  • I layout psicoanalitici di Andrea Sorrentino
  • Una Gotham industriale, poco gotica, ma marcia fino al midollo

Cons

  • Trama lineare e per nulla sorprendente

Batman: L’impostore, miniserie a fumetti scritta da Mattson Tomlin (Project Power, The Batman) e disegnata da Andrea Sorrentino (Gideon Falls, Joker: Killer Smile) con i colori di Jordie Bellaire (Batman, Moon Knight), si presenta fin da subito come una manovra di marketing geniale da parte di DC Comics e Warner Bros.
L’obiettivo era chiaro fin da subito: sponsorizzare l’uscita del film The Batman di Matt Reeves introducendo ai lettori una versione del personaggio molto simile a quella interpretata da Robert Pattinson sul grande schermo, per giunta scritta da uno sceneggiatore che avrebbe lavorato proprio alla stessa pellicola (sebbene non accreditato).
Come ciliegina sulla torta, la miniserie sarebbe uscita sotto l’etichetta Black Label, riservata ai lettori adulti e alle storie fuori continuity, così da non scontentate gli amanti della versione canonica del personaggio.
Sembrava tutto orchestrato a regola d’arte, ma per farlo funzionare c’era bisogno che il fumetto fosse bello, altrimenti i possibili lettori avrebbero nutrito dei forti pregiudizi nei confronti del film.

Un Batman sul fondo. Di nuovo.

Se togliamo il fondamentale apporto di sceneggiatori come Scott Snyder e Brian Michael Bendis, che hanno riportato in auge l’aspetto supereroistico del personaggio a discapito delle connotazioni psicologiche, è innegabile che il destino di Batman sia ormai quello di cadere sempre più in basso.
Nonostante sia il personaggio più popolare della DC Comics, resta comunque una formica tra i giganti, risultando più un pericolo per sé stesso che una salvezza per gli abitanti di Gotham.
Questa criticità editoriale è stata colta in pieno da Mattson Tomlin, che esalta questa doppia valenza del personaggio all’interno della strutta stessa di L’impostore.
La sua Gotham City, priva delle architetture cartoonescamente gotiche e anacronistiche che ne hanno caratterizzato la rappresentazione sin dagli albori, è ostile più che mai al Cavaliere Oscuro, qui presentato come un vigilante giovane, inesperto, mosso più dalla presunzione che dalla metodicità.
Realismo” è la parola chiave dell’approccio di Tomlin, quello stesso realismo solo parzialmente introdotto nella trilogia cinematografica di Cristopher Nolan che qui trova invece il suo apice.
Le azioni di Batman minano gli interessi dei gruppi finanziari che operano illecitamente sottobanco, il suo anonimato può essere sfruttato dai criminali per compiere nefandezze a suo nome (il famoso Impostore del titolo) e le sue motivazioni non possono che essere frutto di una mente tremendamente disturbata.


Con l’aiuto della dottoressa Leslie Thompkins, storico comprimario del personaggio, Bruce Wayne dà voce ai suoi demoni interiori ingaggiando una lotta su due fronti che vede nell’Impostore che uccide decine di criminali a suo nome la proiezione di quelli che sono i suoi aspetti più pericolosi, tra cui quello che da anni divide la fanbase: Batman uccide?
Le premesse di fragilità del personaggio si scontrano però con quelle che sono le pretese del pubblico, il quale non accetterebbe mai che il personaggio preferito cada vittima dei propri difetti, per quanto abnormi essi siano.
Ecco quindi che gli aspetti più fragili del personaggio vengono mitigati da uno stereotipato (ma ben contestualizzato) distacco atto a sancire la superiorità del Cavaliere Oscuro persino sui suoi demoni interiori.
I pochi momenti ben ponderati in cui il personaggio smette di essere fumetto per diventare persona vera sono tra i più alti della miniserie, dimostrando che il Crociato Incappucciato sarebbe di gran lunga più interessante se gli editor gettassero via le sue pretese di machismo per fargli abbracciare una fragilità più autentica.

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Quando il realismo trionfa su tutta la linea, ossia quando a farne le spese sono i personaggi secondari, assistiamo a scelte a dir poco coraggiose, come l’allontanamento definitivo del Commissario Gordon per via delle sue simpatie per quello che è a tutti gli effetti un criminale, o lo straziante allontanamento di Alfred Pennyworth, disperato per non riuscire a crescere un bambino drasticamente malato come Bruce.
Guarda caso, entrambi sono personaggi privi di qualsivoglia aspetto super-umano, e in quanto tali sono gli unici a subire le conseguenze del mondo marcio e corrotto che li circonda.

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In questo senso la lotta tra i due vigilanti rende Batman: L’impostore è un thriller a dir poco perfetto.
Infatti, a differenza dei gialli, in cui è l’investigatore a braccare il criminale in fuga, nei thriller l’investigatore è a sua volta braccato dal criminale, che ne rappresenta la vera e propria controparte negativa.
Qui però è lo stesso detective a essere controparte di sé, e l’intervallare le sedute di psicanalisi di Bruce e Leslie con l’indagine vera e propria ne è la prova lampante.
Parlando di investigazione, questa ha un ruolo centrale all’interno della narrazione, in quanto tramite tra il lettore e la scoperta di questa Gotham inedita dove i ricchi e i potenti dominano indisturbati, mentre gli ultimi, rappresentati dai malati di mente emarginati, o fanno una bruttissima fine o vengono spinti verso la spirale del crimine.
Bruce funge da collante tra queste due classi sociali: essendo un ricco privilegiato, gode degli strumenti per combattere i suoi simili dall’interno, e in quanto malato di mente è l’unico che può comprendere i disagi degli ultimi e aiutarli.

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I personaggi e le loro sottotrame si incastrano perfettamente tra loro come le tessere di un puzzle, analogia favorita dai layout estrosi di Andrea Sorrentino, il quale spesso divide le tavole in veri e propri puzzle frammentati che rappresentano sia la mancanza di elementi utili alla risoluzione degli enigmi sia i pezzi mancanti nell’interiorità degli attori in scena.
L’inchiostrazione “sporca”, le linee frastagliate e le ampie campiture nere immergono il lettore in una Gotham mai così marcia e degradata, e l’immensa capacità espressiva contribuisce a serrare il ritmo dei dialoghi televisivi di Tomlin, ricchi di veloci botta e risposta e sempre perfettamente equilibrati tra la prosecuzione della trama e l’esposizione dei caratteri dei vari personaggi.
A ciò vanno sommati gli straordinari colori di Jordie Bellaire, che incupisce anche le tonalità più accese per creare un costante senso di apprensione claustrofobia, macchiando le basi fatte di colori piatti con sfumature violacee che ben rendono il travaglio interiore dei personaggi e il loro umore cangiante.

Batman: L’impostore raggiunge perfettamente lo scopo di incuriosire i lettori riguardo il destino cinematografico del suo protagonista attraverso una narrazione serrata e violenta che pecca di una linearità e di una proceduralità eccessive per un thriller investigativo.
Tuttavia, le atmosfere degradate, la violenza selvaggia dei combattimenti e la caratterizzazione certosina dei personaggi valgono da sole il recupero del volume italiano pubblicato da Panini Comics, facendo presagire che anche la sua controparte live action sia altrettanto esaltante.

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Vittorio Pezzella

Cercò per lungo tempo il proprio linguaggio ideale, trovandolo infine nei libri e nei fumetti. Cominciò quindi a leggerli e studiarli avidamente, per poi parlarne sul web. Nonostante tutto, è ancora molto legato agli amici "Cinema" e "Serie TV", che continua a vedere sporadicamente.

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