Ebbene si, dopo un anno e qualche mese e una sequela di avvenimenti ed imprevisti, siamo davvero giunti alla fine di questo lungo ed intenso viaggio in compagnia dei fratelli Wolves, meglio conosciuti come Sean e Daniel Diaz: i quattro episodi rilasciati finora hanno composto, delineato e definito l’avventura dei protagonisti, mentre Wolves, rilasciato lo scorso 3 Dicembre, ne è stata la conclusione.
Però, una premessa dobbiamo farla: tale recensione sarà più corta e meno articolata delle altre (che potete leggere cliccando qui), in quanto mancheranno ovviamente presupposti, aspettative o idee per il proseguimento delle vicende.
Scopriamo dunque nella nostra recensione se tale episodio finale ha reso giustizia al nome di Life is Strange, o se si è invece rivelata una delusione!
Dopo il lieto fine moderatamente toccante dell’episodio numero 4, la situazione di base di Sean e Daniel tornerà ancora una volta in uno stato di pace e tranquillità, essendosi riuniti con Karen (la loro madre) in una sorta di piccolo villaggio sperduto nei pressi di un Canyon in Arizona, dove “campeggiano” insieme a loro altri individui dalla reputazione non propriamente definita.
Qui avranno tutto il tempo per ricostruire (per quanto possibile) un rapporto instabile con Karen e, soprattutto, concentrare ogni loro forza per organizzare il loro ultimo, fondamentale e complesso passo della loro grande fuga, il raggiungimento del Messico tramite il superamento dell’imponente muro che fa da confine tra i due stati.
Purtroppo però, questa base non ci ha dato alcuna forma di stupore o curiosità nei confronti dell’episodio 5, in quanto, a differenza del finale di Wastelands, il tutto è molto più basilare, comprensibile e tutt’altro che sorprendente: infatti, narrativamente parlando, Wolves rappresenta probabilmente il punto più basso del gioco, proprio perchè essendo il capitolo finale, ci saremmo aspettati qualcosa di estremamente epico e movimentato, ma ci siamo invece ritrovati a vivere eventi ancor più prevedibili che in passato, sia nel contesto che nella pratica.
In poche parole, si giunge dinanzi alla grande difficoltà finale senza il minimo di pathos, con il gioco che prova con tutto sè stesso a colpire il giocatore al cuore con momenti intensi nella forma artistica, ma completamente privi di mordente a livello narrativo, il che distrugge pressochè del tutto un coinvolgimento che avrebbe potuto lasciare il segno; eppure la resa conclusiva dei finali veri e propri (post-scelta finale) ci hanno convinto proprio grazie al loro “essere i puntini sulle i” che definiscono il destino dei fratelli lupi in modo netto, dove l’applicazione della scelta finale e il tipo di educazione che Sean ha dato a Daniel circoscrive le loro future vite a un forte vincolo psicologico e sociale dovuto a questa incredibile e traumatica esperienza vissuta assieme, nel bene e nel male (non ci saranno finali buoni o finali cattivi, ma solo finali malinconici).
Anche le tematiche trattate continuano ad essere sempre le stesse, con un’analisi superficiale dei problemi sociali relativi al muro stesso, al razzismo e a quelle solite cose: è come se ancora una volta Dontnod avesse provato a sensibilizzare il giocatore ponendo i protagonisti (e altri personaggi) dalla parte del giusto solo ed esclusivamente perchè vittime indifese di tali problematiche, tramite delle forzature di sceneggiatura e uno sbadato utilizzo di stereotipi che rende tutt’altro che realistico l’approfondimento sociale della questione, e sempre meno credibile il messaggio che vogliono trasmettere.
Anche dal punto di vista del gameplay non abbiamo troppo da dire: ormai Daniel farà di testa sua, e salvo la decisione finale (che sarà comunque fortemente influenzata dal comportamento di Daniel), non abbiamo sentito in alcun modo il peso delle scelte (semplicemente perché ve ne saranno veramente poche da fare), anche perché essendo questo letteralmente l’ultimo segmento di un viaggio lineare dove le conseguenze sono piuttosto relative, la sensazione spontanea che si ha dinanzi ad esse sarà quella del “eh vabbé tanto tra poco finisce tutto, quindi cosa mi interessa?”, che pone sulle vicende e sui personaggi secondari un velo di indifferenza veramente poco gradito.
Con il trascorrere degli episodi iniziammo a sentire una certa mancanza di interesse e di coinvolgimento, e Wolves, in qualità di finale, non fa altro che sottolinearla, evidenziarla e esclamarla: l’episodio 5 è la perfetta rappresentazione dell’intero Life is Strange 2, e quindi di un viaggio fine a sè stesso, dove la coerenza e le tematiche faticano a galleggiare in un mare di eventi prevedibili e poco interessanti.
Gli unici elementi a salvarsi sono sempre gli stessi, dal comparto artistico/sonoro alla resa forte e d’impatto delle scene più intense (anche in questo caso, solo nella forma), il che non può bastare nemmeno lontanamente a porre l’opera sullo stesso piano degli altri due giochi: sia chiaro, Wolves non è un disastro, e Life is Strange 2 non è un brutto videogioco, ma arrivati a questo punto, rimpiangiamo le avventure di Max e Chloe e speriamo che quella di Life is Strange 2 sia stata una semplice parentesi di instabilità creativa da parte di Dontnod, nel quale noi, con il cuore in mano, speriamo che essa si sia aperta e chiusa qui.
Addio, Sean e Daniel: ci mancherete, ma non così tanto.
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