Come spesso mi trovo a dover dire riguardo le serie animate che vengono distribuite da Netflix, la maggior parte dei loro deficit risiede nel comparto grafico.
Questo perché su Netflix arriva un po’ di tutto da qualsiasi parte del mondo, anche prodotti estremamente di nicchia e circoscritti a determinati luoghi culturali che cercano goffamente di respirare un po’ di quell’aria di globalizzazione che Netflix può offrire.
È il caso di prodotti come Little Singham, serie animata indiana molto celebre in patria, o del nostrano Huntik.
Esistono tuttavia produzioni americane indipendenti con budget non proprio faraonici che possono avere un simile destino.
Questo è il caso di Kulipari: L’Esercito delle Rane e il suo sequel Il Regno dei Sogni, due stagioni di una serie che comprendono rispettivamente di 13 e 10 puntate prodotte da Splah Entertainment (anche nota come Mike Young Production), studio gallese-americano responsabile di produzioni ancora interessanti come il remake del 2002 di He-Man e i Dominatore dell’Universo e altre serie animate su commissione, nonché colpevoli di quell’abominio che è Il Viaggio di Norm.
La serie, uscita nel più totale silenzio, presenta delle caratteristiche che la avvicinano molto agli esperimenti sopracitati, soprattutto per le ambientazioni, ricollegabili all’entroterra australiano e per questo ha suscitato la mia curiosità.
Peccato che non sempre i pacchetti strani racchiudono un contenuto all’altezza.
La serie è un adattamento dei romanzi di Trevor Pryce e tratta di una versione australiana della Batracomiomachia (letteralmente “guerra tra topi e rane”) dell’antica greca.
Anticamente le rane e gli scorpioni del deserto erano in guerra tra loro per il controllo dell’acqua.
Le rane riuscirono a conquistare un’oasi che chiamarono Anfibilandia e dove ebbe luogo l’ultima cruenta battaglia contro gli scorpioni in cui i guerrieri d’elite delle rane, i potentissimi campioni Kulipari, dettero la loro vita per permettere al Re Tartaruga di creare un Velo magico che tenesse fuori dall’oasi gli scorpioni per sempre.
Dopo questa premessa la serie apre su Darel, una giovane rana di bosco figlio di un guerriero Kulipari, ma nato senza l’elemento che fa di un Kulipari quello che è: il veleno.
Nonostante questo Darel si allena col suo amico Gee a combattere come un guerriero incontrando tuttavia l’ostilità degli altri abitanti di Anfibilandia.
Tutto cambia quando Lord Marmoo, leader militare degli scorpioni del deserto, stringe un patto con la Regina Ragno Giarra per distruggere il Velo e conquistare Anfibilandia.
La trama di base sa abbastanza di già visto, ma sono cliché che funzionano sempre piuttosto bene per introdurre a un protagonista coem Darel e permetterci entrare in sintonia con lui e il suo enturage.
Lo sviluppo della stessa è, viceversa, sorprendentemente complesso.
Darel non può competere da solo contro un esercito di migliaia e migliaia di scorpioni, e non è una cosa in stile Dragon Ball in cui il protagonista si allena fino a diventare una macchina di morte, tutt’altro.
La maggior parte delle volte Darel dovrà cavarsela usando il cervello, inventare stratagemmi, ricorrere all’aiuto di altri per combattere e ingannare i nemici con travestimenti e trappole.
La forza di Kulipari è sicuramente quella di riuscire a combinare un racconto di crescita personale e una storia di guerra in maniera credibile, ma al tempo stesso adattarla a misura di bambino.
Il suo voler dare un colpo al cerchio e uno alla botte non permette a nessuno dei due aspetti di svilupparsi a pieno.
La serie si perde in un numero troppo grande di sottotrame da tenere sotto controllo: ora la storia principale che segue Darel prima al salvataggio dell’amico Gee e poi alla ricerca del Re Tartaruga; ora l’addestramento delle rane di Anfibilandia in vista dell’attacco da parte degli scorpioni; ora i dissidi interni tra Marmoo, la regina Giarra e il maggiore Pigu; e più si va avanti nella storia, più aumentano i personaggi, le sottotrame da tenere d’occhio e la serie si trasforma in un violento ping pong di tagli e cambi di ambientazione che spesso stancano.
Questo non sarebbe un problema se fosse l’intento della storia dare allo spettatore un reticolato di sottotrame da mettere insieme mano a mano che la visone avanza (come fa Baccano! per intenderci), ma non è questo il caso.
La storia si sviluppa in maniera lineare, seguendo una cronologia precisa e uno sviluppo sia degli eventi che dei personaggi che hanno bisogno di una precisa continuità.
Lasciando da parte i tecnicismi, la forza della serie sta nell’alchimia tra i personaggi, ben caratterizzati e che recuperano i punti migliori dei cliché classici dei party dei giochi di ruolo in stile fantasy.
Darel è il leader carismatico e intelligente, il Re Tartaruga fa le veci del vecchio mago, Ponto è il guaritore, Dingo la ranger, Quoba l’esploratrice, Gee il migliore amico/spalla comica, ma con momenti seri, ecc.
Il problema è che i personaggi sono inseriti in una storia che pretende di portare avanti molte storie in parallelo fallendo miseramente.
La serie funziona davvero bene solo quando le diverse strade convergono, ovvero nelle fasi finali delle due stagioni, mentre per il resto rimangono frammenti di storie confusionarie che a volte funzionano, e volte proprio no.
La regia non è niente di particolare.
Le animazioni fatte con Adobe Flash non permettono movimenti di camera, quindi quello che si può fare lo si fa col montaggio.
Anche in quel caso il risultato è mediocre, con qualche nota di particolare demerito per i combattimenti che si sforzano di apparire dinamici più di quanto siano, risultando persino meno spettacolari di quanto vorrebbero essere resi.
Le animazioni in Adobe Flash sono ottime come concetto, animazioni semplici applicabili a disegni pre realizzati; utili quando si vuol creare un prodotto animato con un budget molto basso e tempi di produzione non proibitivi.
Il contro di questo programma è che è molto limitativo.
Le animazioni possibili sono poche e generalmente adatte a cortometraggi dai disegni semplici, non certo a animazioni di combattimento complesse o ad azioni adrenaliniche o drammatiche.
Considerando questo, l’impegno degli animatori per rendere le animazioni e i disegni quanto più seri possibile c’è e si sente, ma non riesce a risollevare uno strumento tecnico di base modesto.
Kulipari non è una serie molto solida.
Con una idea di base piuttosto interessante, adatta soprattutto ai più piccoli, dei personaggi che sanno farsi apprezzare nonostante siano palesemente recuperati da un party di qualche gioco di ruolo, la serie si perde in mille sottotrame mal bilanciate tra loro, personaggi visti come importanti, ma in generale non necessari, azioni fine a se stesse e una scrittura degli eventi che probabilmente rende meglio nel suo corrispettivo cartaceo.
Nonostante tutto questo ha i suoi momenti di sorpresa e di buona narrativa e una morale di non violenza di fondo che potrebbe essere apprezzabile dai più giovani e soprattutto dai loro genitori.
Fa da contorno, purtroppo, un comparto tecnico assolutamente non all’altezza e una regia per nulla ispirata che si scontra con i limiti tecnici imposti dallo stile scelto.
Il tutto da l’idea di un prodotto realizzato con fin troppo entusiasmo e fretta di essere visto su schermo.
Nonostante la serie riprenda come ambientazioni e iconografia il folklore degli aborigeni australiani, o comunque dell’Oceania (cosa che mi risulta gradita, visto che il Mondo dei Sogni e tutto ciò che ci gira intorno contiene un immaginario di figure e immagini vastissimo e poco sfruttato), la storia presenta delle derivazioni bibliche che in alcuni momenti, uno su tutti l’episodio finale della prima stagione, risultano particolarmente forti e cozzano non poco con l’atmosfera epica della serie nel suo insieme.
Non una serie di gran livello, ma merita quantomeno un’occhiata distratta nel caso voleste vedere qualcosa di un po’ diverso dal solito.
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