Dopo altri quattro mesi, Dontnod prosegue il suo processo di sviluppo della sua nuova creatura, pubblicando il terzo episodio di Life is Strange 2, atteso con estremo interesse da parte dei fan in quanto si tratta, chiaramente, di quello centrale dell’intera stagione: senza perderci in chiacchiere inutili, scopriamo quali avventure dovranno affrontare questa volta i fratelli Diaz nella recensione di Wastelands!
Per dovere di cronaca ci toccherà parlare almeno vagamente degli avvenimenti sia del suddetto episodio che di quelli precedenti, quindi vi saranno degli spoiler leggerissimi.
FINALMENTE UN TETTO!
Analogamente a come avvenuto per l’episodio 2 rispetto all’1, dopo il (meraviglioso) filmato riassuntivo, nemmeno Wastelands riprenderà la storia direttamente dalla fine di Rules: dopo qualche settimana dalla fuga da casa dei nonni, i protagonisti incontreranno nuovamente Finn e Cassidy, con i quali decideranno di stabilirsi in un accampamento nel bel mezzo della foresta, accettando di lavorare illegalmente in una piantagione di cannabis, gestita da un’organizzazione non ben definita, con l’intento di accumulare la maggiore quantità di denaro possibile per riuscire poi a raggiungere la fatidica meta finale, Puerto Lobos, in Messico. Qui faranno appunto la conoscenza di tutti gli altri ragazzi, con il quale nascerà una forma di amicizia: le vicende di Wastelands iniziano proprio qui, con i protagonisti già “integrati” nel nuovo gruppo, in una situazione stabile, nel bene e nel male.
Con tali premesse, i protagonisti dovranno ovviamente fare attenzione a gestire il potere di Daniel, e soprattutto a mantenerlo un segreto.
Le settimane trascorse tra Rules e Wastelands sono raccontate nell’ormai iconico “diario” di Sean, che ci permetterà di capire passo per passo cosa hanno fatto in questo tempo: considerando il modo in cui i protagonisti erano “fuggiti” dalla polizia alla fine dell’episodio precedente, avremmo sinceramente preferito che tali eventi ci venissero mostrati direttamente.
La struttura della storia è molto similare a quella degli episodi precedenti: essendo passato del tempo, e trovandosi Sean e Daniel in una situazione totalmente diversa rispetto a prima, il gioco si prende ancora una volta tutto il tempo per mettere il giocatore a proprio agio, con lente fasi di esplorazione delle aree, conversazioni di puro svago con gli altri personaggi (al fine di permettere al giocatore di conoscerli) e procedimenti narrativi prevedibili, fino alla bomba finale, che per la prima volta nell’intero gioco rappresenta un punto di svolta potenzialmente destabilizzante ai fini del viaggio.
Possiamo dire quindi che, anche in questo terzo episodio, gli eventi di trama risultano veramente poco incisivi, ma nonostante ciò vi è probabilmente la più importante fase d’evoluzione dei protagonisti: in tale calma narrativa, saranno circondati da interrogativi, questioni e concetti morali di ogni tipo: è vero, la polizia non sono più alle loro calcagna, non sono più soli, hanno un tetto, del cibo, un lavoro e dei potenziali amici, ma qual è l’altro lato della medaglia? Dovranno avere a che fare con una forma di sfruttamento lavorativo che non lascia assolutamente spazio alla benevolenza o alla sicurezza, con “colleghi” di lavoro che, per quanto abbiano circa l’età di Sean, sono comunque persone molto diverse da loro, che hanno avuto abitudini, stili di vita e crescita quasi opposte alle loro, e che quindi posseggono un carattere che potrebbero non comprendere o apprezzare, il tutto mentre Daniel accresce il suo potere di controllo telecinetico ma ne perde di quello psicologico/emotivo.
Tale miscuglio di tematiche viene affrontato in modo psicologicamente quasi perfetto dal racconto, che evolve di molto il già ottimo livello di empatia instillato negli scorsi episodi: ora potremo finalmente dire di “conoscere i protagonisti”, che hanno un carattere definito proprio dai loro dubbi, timori, paure e ansie ma anche da quelle poche gioie che riescono pian piano ad ottenere, e in questo episodio tale caratterizzazione raggiunge il suo apice.
Anche i nuovi personaggi sono ben studiati: seppure alcuni abbiano più spazio di altri, si riescono comunque a intravedere e a comprendere le relazioni d’amicizia tra tutti loro, che delinea un gruppo realisticamente affiatato ma non troppo, in quanto ognuno di loro si ritrova in quella situazione per motivazioni differenti, chi per scelta, chi per costrizione, chi per svago ecc.
In poche parole, chi si aspettava un intreccio narrativo degno del primo Life is Strange dovrà rassegnarsi: Wastelands rappresenta la conferma (quasi) definitiva del fatto che Dontnod stia puntando ogni sua risorsa per rendere il viaggio di Sean e Daniel il più empatico possibile, concentrandosi del tutto sui personaggi, tralasciando l’importanza degli eventi di pura trama per focalizzarsi sull’effetto collaterale psicologico che essi hanno su di loro, sul loro rapporto e sul loro viaggio verso il Messico.
Sia chiaro, “qualcosa” succede, e anzi, tali eventi, per quanto veramente ma veramente pochi regalano scene dall’impatto audio visivo veramente forte, ma rimangono comunque circoscritti alla linearità narrativa dell’avventura e che quindi, una volta vissuti, perdono d’intensità.
Anche il finale, per quanto emotivamente coinvolgente ed effettivamente “forte”, risulta moderatamente prevedibile ma, per la prima volta, cambia le carte in tavola del viaggio di Sean e Daniel, sperando che ciò possa rendere almeno gli ultimi due episodi tanto intesi quanto potevano esserlo gli ultimi del primo gioco.
BUTTERFLY EFFECT?
Un’altra considerazione che deve essere fatta riguarda lo sviluppo del sistema di scelte: nella recensione di Rules parlammo di come fosse persistente quella sensazione che si distacca dal semplice “se scegli A, otterrai la conseguenza A” e che si evolve in qualcosa di più aperto, collegato anche alle reazioni di chi ci sta intorno (e alle scelte delle conseguenti loro azioni) o alla semplice decisione del giocatore di interagire o meno con determinati elementi; in Wastelands possiamo vedere un ulteriore passo evolutivo di questo concetto: partendo dal semplice accettare o meno di fare qualcosa di puro svago che ci viene proposto da alcuni personaggi, per finire dal fatto che, completando o meno alcuni “obiettivi secondari” (li chiamiamo così per cercare di rimanere sul vago, ma non è che lo siano letteralmente), il tutto continuando a tenere sempre conto delle azioni di Daniel causate dalla maturazione (ma anche dalla Non maturazione) che esso ha avuto (e sta avendo) proprio grazie a Sean durante l’intero arco narrativo, si creeranno situazioni ancor più specifiche ma ben distinte tra di loro che ci faranno veramente venir voglia di “sapere cosa sarebbe successo se avessimo agito diversamente”, molto di più che in passato.
Tutto ciò converge anche in questo caso nella scena finale, che può mettere i punti esclamativi su determinate questioni e lasciarne di interrogativi su altre.
Le ambientazioni invece, per quanto ancora dettagliate, bellissime e atmosfericamente sensazionali, sanno un po’ di già visto, ma ciò non rappresenta chissà quale male, in quanto saremo talmente tanto coinvolti dalla tesa situazione che ci faremo caso solo relativamente.Solito discorso invece per la colonna sonora, che si attesta ancora una volta su livelli decisamente alti.
CONCLUSIONI
In conclusione, Wastelands rimane sullo stesso binario di Roads e di Rules, ed è la rappresentazione pratica definitiva di come Life is Strange 2 continui a voler essere un racconto introspettivo ed empatico rinnegando l’intreccio che rendeva il primo gioco qualcosa di incredibilmente speciale.
L’involucro del racconto continua a diventare più solido che mai, tra sistema di azione/reazione ancor più stratificato, trattamento di tematiche ben pensato e crescita emotiva dei personaggi sempre più approfondita.
Quindi, ci piace? Sicuramente non ci dispiace, ma dobbiamo ammetterlo: essendo Life is Strange una storia veramente speciale, avremmo preferito che anche il 2 avesse seguito la sua scia.
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