Il bambino interiore di molti sicuramente ricorda di essersi sentito accusare almeno una volta con parole come queste:
Ma leggi un libro dai, invece di stare lì tutto il giorno sui giochetti .
Non c’è necessità di spiegare il dolore emerso da questo tipo di retorica pienamente assimilabile al “mangia un frutto” quando si ha fame: “Mamma ma io voglio Elden Ring e God of War , non Il Conte di Montecristo ”.
Tuttavia, per quanto strani, questi commenti aprono una porta sul modo in cui concepiamo l’intrattenimento e l’arte . I film, i romanzi e la poesia vengono studiati nelle università e sono elogiati da moltissimi, ma i videogiochi ?
In questo articolo ci occuperemo proprio di questo. Cercheremo di dare ai nostri amatissimi “giochetti ” un posto nel panorama letterario analizzando le caratteristiche che hanno in comune con altre opere simili.
La definizione di “letteratura” Dire che cosa sia la letteratura è un’impresa quasi impossibile, dato che ogni definizione che potremmo dare al termine escluderebbe in parte opere letterarie che invece secondo altre definizioni rientrerebbero come tali. In più, quando pensiamo alla letteratura, di solito ci immaginiamo sempre dei libri ! Perché?
Immaginiamo che Filippo, autore di questo articolo di approfondimento, sia un critico letterario influente. Immaginiamo anche che decida di proporre una sua personalissima definizione di letteratura, come molti prima di lui:
La letteratura è l’insieme di tutti i prodotti di intrattenimento scritti .
(Uno studioso importantissimo, 2025) Questa sarebbe sicuramente una definizione sensata, però presenta almeno tre problemi :
Esclude tutte le opere non scritte dalla letteratura, quindi anche i film; Implica che la letteratura deve essere un prodotto creato per vendere . Di conseguenza, le poesie che scriviamo nei nostri diari personali non sarebbero letteratura; Implica che la letteratura deve per forza intrattenere un pubblico ; quindi, non potrebbe essere fine a sé stessa o avere solo un valore artistico.
Qual è la differenza in valore artistico tra questa foto da Death Stranding 2 e L’Ultima Cena di Leonardo da Vinci? Trovate il sondaggio sulla nostra pagina Instagram.
La confusione si fa sentire? È comprensibilissimo. Per questo ci fermiamo qui con le definizioni e cambiamo focus. Consideriamo la letteratura basandoci su uno degli elementi fondamentali che la caratterizzano: l’intertestualità .
Si tratta di un concetto ideato da Julia Kristeva (lei sì che è un’importantissima studiosa) e secondo il quale ogni testo contiene altri testi, si basa su di essi, o li prende come ispirazione.
Ed è qui che entrano in gioco i nostri “giochetti ”, perché anche loro sono dei testi !
I videogiochi sono testi Un testo, per Halliday e Hasan (1985, p. 10) è “linguaggio/lingua che fa qualcosa in un certo contesto” (la traduzione è mia, ndr ). Attenzione! Il “linguaggio” non è per forza la “lingua”, e può essere anche visivo, un aspetto che sottolineano (con termini diversi) anche i due autori citati. Perciò, possiamo considerare i videogiochi dei testi perché sono composti da linguaggio che fa cose e le fa in un certo contesto.
Per esempio, Red Dead Redemption II è composto da personaggi creati sulla carta usando il linguaggio scritto, che parlano in un linguaggio orale, che esistono in un mondo visuale creato con linguaggi di programmazione, che fanno cose in un contesto (il Wild West), attraverso movimenti e inquadrature (anche loro parte del linguaggio visivo) e accompagnati da una colonna sonora (linguaggio musicale).
Non dimentichiamoci, poi, che molti videogiochi raccontano storie in tutto e per tutto e, grazie alla nostra definizione, possiamo dire che le storie sono… testi !
Abbiamo quindi risolto un dubbio, i videogiochi sono testi . Ma si ispirano ad altri testi? Sono quindi delle opere intertestuali? La risposta è “sì”.
In che senso i nostri videogiochi contengono altri testi? Beowulf in Tolkien Ebbene sì, i nostri “giochetti ” non nascono dal nulla, ma vengono creati partendo da punti di ispirazione, da spunti culturali, da libri, poesie, film, eccetera. In sostanza, nascono da altri testi.
Sembra strano? Succede lo stesso con i genericissimi “libri ”.
Per esempio, lo sapevate che l’avido Smaug e il suo tesoro in Lo Hobbit sono quasi interamente ispirati al Beowulf , il più importante poema medievale scritto in anglosassone, l’inglese antico? Questo è quello che ci spiega Leo Carruthers, nel suo articolo Beowulf as inter-text in Tolkien’s Mythology , pubblicato nel 1998.
Infatti, nel poema, un servo risveglia un drago rubando una coppa dal tesoro che questo custodiva, costringendo così l’eroe Beowulf ad affrontarlo.
Ora tutti ci saremo sicuramente ricordati del passaggio de Lo Hobbit in cui Bilbo deve rubare l’Arkengemma dal tesoro di Smaug . Ecco trovato il riferimento a un altro testo in Lo Hobbit , uno spunto che ci fa riflettere nuovamente sulle caratteristiche della letteratura.
Ma quindi esistono esempi di intertestualità anche nei videogiochi? Vi diamo tre esempi:
Elden Ring; Alan Wake II; Cyberpunk 2077; Elden Ring e l’epica medievale Tutti ricordiamo il poco simpatico Varré e i meme che la community ha lui dedicato per la sua schiettezza nel ricordarci (a inizio gioco) che siamo dei cavalieri single :
“Oh, sì… Senzaluce, eh? Sei nell’Interregno alla ricerca dell’Anello ancestrale? Ma certo… Non c’è nulla di male. Sfortunatamente per te, tuttavia, sei senza fanciulla “.
(Varré, senza filtri, 2022) Nella versione italiana del gioco, “Vergine” è la parola scelta per tradurre il termine maiden , che si riferisce a quei personaggi di Elden Ring che guidano i Senzaluce (e quindi anche noi) spiegando loro i fondamenti della grazia . In soldoni, stiamo parlando di personaggi come Melina .
Tuttavia, non avendo trovato nell’opera alcun riferimento al fatto che queste maiden fossero effettivamente vergini, abbiamo cambiato la traduzione italiana da “vergine” a “fanciulla”, che si addice ancora di più al tema di questa sezione. Ora ne sveleremo il motivo.
Questa parte del dialogo del simpaticissimo Varré non può che richiamare in modo sottile (cioè, quasi urlando) l’amore che molti cavalieri dell’epica medievale e dei romanzi cavallereschi spagnoli provano per le loro amate e che costituiva quasi una parte integrante della loro figura.
È subito cascata di nomi: Lancillotto , Re Artù e Ginevra , Perceval e Blanchefleur … Persino il Don Chisciotte , impazzito dopo aver letto troppi libri di cavalleria, volle inventarsi una fanciulla per sé e darle un nome per diventare a sua volta un “cavaliere”. Ora, in Elden Ring , non ci si riferisce per forza a una fanciulla con il termine maiden , ma il fatto che questi personaggi (nel gioco) siano donne e che fungano da guida per il protagonista non può che richiamare proprio il tipo di relazione instaurata tra i cavalieri e le loro “donzelle” in molte opere letterarie scritte e visive.
All’inizio di Elden Ring quindi, Varré vuole ricordare al giocatore che lui non è un eroe in tutto e per tutto , in quanto ha perso la sua guida, la sua fanciulla, e facendolo sta evocando un’intera tradizione letteraria .
Effettivamente, questa osservazione si incastra perfettamente con la trama del gioco , che si basa sulla quest di un eroe senza infamia e senza lode che deve reclamare l’anello ancestrale e il trono dell’Interregno .
Alan Wake II e la mente come luogo fisico Nel sequel dell’amato Alan Wake , recentemente ripubblicato in versione remastered (trovate la recensione qui ), ci troviamo nei panni della detective Saga Anderson. Una delle caratteristiche fondanti del gameplay di questo personaggio è la “capacità” che possiede di teletrasportarsi con la mente in un ufficio dove ha modo di riordinare le idee sul caso che sta seguendo.
Questa dinamica non può che richiamare la famosa arte della memoria di Simonide di Ceos , un poeta greco secondo il quale la memorizzazione è più semplice immaginandosi uno spazio fisico in cui posizionare i ricordi, come, ad esempio, una stanza .
Ecco, quindi, che Alan Wake II evoca testi antichissimi e li usa per stupirci!
Cyberpunk 2077 – un sottogenere letterario già affermato Un mondo distopico, robot, impianti bionici, corruzione, tecnologia avanzatissima, cybercriminali, droghe, look eccentrici. Queste sono tutte caratteristiche che riconosciamo in Cyberpunk 2077 , uno dei giochi più attesi degli ultimi anni e forse anche uno dei più odiati.
Può sorprendere, però, scoprire che quest’opera porta nel suo titolo il nome di un intero sottogenere letterario della science-fiction . Stiamo parlando proprio del cyberpunk , un genere che ha ottenuto grande fama soprattutto grazie alle opere di William Gibson .
Esso è costituito da romanzi che fanno emergere le contraddizioni del mondo attraverso rappresentazioni di società distopiche che restano, tuttavia, verosimili.
Pensiamo quindi a V, il protagonista dell’avventura targata CD Projekt Red . A seguito di un colpo finito male con lo scopo di rubare un avanzato biochip , egli si ritrova costretto a doverlo installare nel proprio cervello per evitare di danneggiarlo. Presto, però, V scopre che questa installazione implica che la sua coscienza e personalità vengano sovrascritte da quelle di Johnny Silverhand , un irriverentissimo rocker ribelle interpretato da Keanu Reeves .
Inutile ricordare quante volte, durante la storia principale, V cada a terra o svenga dopo dei sovraccarichi dovuti al chip nella sua testa.
È proprio il sovraccarico uno dei temi prettamente cyberpunk che Dani Cavallaro descrive nel suo libro Cyberpunk and Cyberculture: Science Fiction and the Work of William Gibson .
In questo testo, l’autore ci spiega come il sovraccarico sia un tema ricorrente nel genere e come spesso si rappresenti attraverso il dark humor.
Serve ricordare che Johnny Silverhand, l’autore di tutti i sovraccarichi di V, è uno dei personaggi con lo humor più dark di tutto il gioco? Non crediamo. Ecco una sua citazione a dimostrazione di questo:
“V, se potessi vedere il futuro non sarei un fantasma in un chip dentro la cazzo di testa di un cadavere”
(Johnny Silverhand, senza filtri, 2020; la traduzione è mia) Quindi, i videogiochi sono letteratura? Il supporto Con il termine “supporto ” ci riferiamo all’oggetto fisico su cui viene prodotta un’opera letteraria o artistica di qualsiasi genere. In poche parole, il supporto dei romanzi sono i libri . Quello dei videogiochi sono i PC, le console .
Forse è proprio questo aspetto che rende questi ultimi meno accettati nella società italiana dei giorni nostri. Il libro esiste da millenni, è affermato e socialmente accettato, mentre le console e i PC hanno ancora della strada da percorrere. È quindi probabilmente anche questa una caratteristica che distingue i videogiochi da quella che normalmente chiamiamo “letteratura”.
Dunque. Il nostro “trauma ” da videogiocatori non è solo una battuta. Invece di chiamarlo “trauma”, però, chiamiamolo “disappunto ”.
Come videogiocatori, ci sentivamo in disappunto perché i nostri “giochetti ” non venivano considerati parte di un universo letterario elogiato da tutti. Non c’era chi potesse competere con i libri . E quindi noi ci vergognavamo (e ci vergogniamo ancora) di dire ai nostri parenti che giocavamo (e giochiamo ancora!) ai videogiochi, semplicemente perché chi gioca, secondo loro, resta bambino.
La contraddizione di fondo resta, perché il problema non è il giocare in sé: tutti giocano , chi a carte, chi a calcio e chi ai videogiochi. Il problema è sempre stato il tipo di gioco : se il tuo gioco è socialmente accettato , ci va bene, altrimenti no. Per fortuna, però, sembra che le cose stiano cambiando. Con ogni giorno che passa, sempre più persone riconoscono la validità culturale e artistica dei videogiochi, anche grazie a un processo di normalizzazione dato dalla presenza sempre più assidua di giocatori che si espongono come tali.
Detto questo, come abbiamo dimostrato, i videogiochi sono testi e possono definirsi tranquillamente opere letterarie , grazie soprattutto alla loro importanza culturale e al modo stesso in cui vengono creati. Forse, quindi, ora sta a noi prendere la palla al balzo e dimostrare fierezza quando parliamo della nostra passione per i “giochetti ”. Chi lo vorrà, ci capirà. Alla prossima!
INFORMAZIONI AUTORE ALTRI SUOI ARTICOLI
Il mio viaggio nel mondo dei videogiochi è iniziato quando avevo solo otto anni, nella cameretta di mio cugino, dove PS1, PS2 e Xbox 360 coesistevano pacificamente. Ho amato alla follia titoli come Gears of War, Devil May Cry, Medievil, e Bioshock, tra tanti, senza mai smettere di giocare un secondo nel corso degli anni. Mi appassionano particolarmente i giochi ricchi di narrativa, ma mi dedico ai multiplayer competitivi allo stesso modo. Oggi scrivo di videogiochi su SpaceNerd e insegno inglese, spagnolo e italiano. Ho una formazione in critica letteraria, e all'università ho scritto una tesi sull’uso di Minecraft come risorsa per insegnare lo spagnolo. Metto quindi le mie conoscenze al servizio della mia grande passione videoludica su questa rivista, con lo stesso entusiasmo, ma in una cameretta diversa e più adulta.
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