The Kaiju Preservation Society, romanzo singolo candidato agli Hugo Awards 2023, è una delle opere più originali di John Scalzi, uno degli scrittori di fantascienza di punta degli ultimi anni. Egli ha saputo conquistare un posto di rilievo nel panorama della fantascienza contemporanea grazie alla sua trilogia Old Man’s War, alla sua vittoria agli Hugo 2013 con Uomini in Rosso e alla trasposizione del suo racconto Tre Robot nella serie Netflix Love, Death & Robots. In Italia, i suoi scritti sono editi da Fanucci Editorie.
Con questo suo romanzo singolo, John Scalzi vuole trarre spunto dai classici film di mostri giganti quali Godzilla, ma adottando un punto di vista più contemporaneo, ambientalista e ottimista, come per mostrare ancora una volta che anche la fantascienza può essere specchio della realtà. Ci è riuscito? Forse per metà.
Siamo in piena era Covid. New York è a un passo dal lockdown, la gente è ansiosa e non c’è lavoro che non stia attraversando un periodo di crisi. Il giovane nerd Jamie Gray è appena stato degradato a ragazzo delle consegne nella start up per cui lavora e non manca molto prima che lo licenzino definitivamente.
Durante la sua attività di “deliverer”, tuttavia, gli capita di avere come cliente il suo vecchio amico di università Tom. Questi, vedendo la situazione precaria di Jaime, gli propone di lavorare con lui. L’impiego sembra promettente e molto remunerativo: trasferirsi per sei mesi all’estero per salvaguardare grossi animali in via d’estinzione.
Jaime accettata la proposta senza starci troppo a pensare. I due si dirigono dunque in Antartide per iniziare il lavoro, ma Tom sembra restio a confidargli troppi dettagli. Giunti sul posto, Jaime scopre la sconcertante verità: le creature da proteggere non sono orsi polari o balene, ma giganteschi kaiju provenienti da un’altra dimensione. La The Kaiju Preservation Soviety, o KPS, si occupa per l’appunto di studiarli e, come dice il titolo, preservarli, impedendo che causino problemi al pianeta o che degli umani senza scrupoli tentino di ucciderli per paura o avidità.
Non c’è alcun dubbio che John Scalzi sappia come attirare l’attenzione del lettore, soprattutto quello di fantascienza: un pitch di partenza intrigante, un titolo che attira l’attenzione, un’impaginazione non eccessiva (poco più di 250 pagine), una scrittura rapida sono tutti ottimi presupposti per un romanzo che si merita la candidatura agli Oscar della fantascienza.
Ebbene, spiace dirlo, ma non c’è molto più di questo. Perché se da un lato è vero che lo stile di narrazione è rapido e scorrevole, al contempo le descrizioni sono ridotte all’osso, fattore assai debilitante in una storia dove numerosi kaiju diversificati la fanno da padrone. Non basta dire semplicemente che una creatura ha le fattezze di un Boeing 747 o di una montagna e fermarsi lì. Non bastano meno di due righe per spiegare come questi cammina o di cosa è rivestito il suo carapace. Un lettore dovrebbe avere più informazioni per immaginarsi creature alte decine di metri e che si nutrono di energia nucleare.
Sembra quasi che abbiano dato a John Scalzi un limite di caratteri nella stesura di questo romanzo, come se fosse un suo primo tentativo di pubblicare in una casa editrice emergente. Ma sappiamo bene che Scalzi non è né un ultimo arrivato né uno scrittore da poche pagine, visti alcuni suoi precedenti lavori.
Se però da un lato le descrizioni lasciano a desiderare, le spiegazioni scientifiche su come funzionino tali kaiju e la dimensione da cui provengono riescono ad essere interessanti. Scalzi non è né un Asimov né un Crichton, ma non finge neanche di esserlo. Non avremo infodumps da parte di personaggi che si scambiano dialoghi lunghi, artificiosi e noiosi su biologia o anatomia: molte saranno le citazioni a opere della cultura pop, dal più classico Jurassic Park al più ricercato Snow Crash.
Nella creazione del protagonista è innegabile che John Scalzi abbia voluto creare l’everyman nerd: Jaime è il classico lettore di libri di genere, un laureato con una tesi sulla fantascienza che però non lo sta portando molto lontano, che cita in continuazione film e romanzi fantascientifici vecchi e nuovi in ogni sua frase. Una persona gentile e al contempo sarcastica, che a questo punto della sua vita vuole solo arrivare a fine mese sperando di divertirsi nel farlo.
Stessa cosa dicasi per i suoi colleghi di lavoro, primo fra tutti suo amico Tom. Peccato però che abbiano quasi tutti il suo stesso modo di parlare: frasi taglienti, riferimenti, battute sardoniche condite con umorismo millennial e tutto ciò che sta nel mezzo.
Se vogliamo aggiungere altro, per chi nella realtà lavora come dipendente in un’azienda dove è a stretto contatto con un numeroso personale, potrebbe sembrare un po’ improbabile che quasi tutti i lavoratori del libro sappiano anche cosa sia Hamilton, figuriamoci averlo visto.
Il tipo di comicità precedentemente citato è presente in praticamente ogni pagina. Da una parte mantiene lo stile goliardico moderno di John Scalzi. Dall’altra, alla lunga sviluppa un sapore annacquato. Dopo aver consumato già 4-5 capitoli, ci si stanca a ritrovare l’ennesima battuta “that happened” o “Non te l’ho detto perché non me l’hai chiesto”.
Contrapposti al comportamento amichevole dei nostri eroi sono ovviamente gli antagonisti: i classici CEO d’azienda filoreppublicani irredimibili che vestirebbero tranquillamente pantofole in pelle di quokka se servisse ad accrescere il loro reddito. Vi è la solita morale “i veri mostri sono gli umani” o “li odiate perché non li capite”. Questo è un altro classico esempio di come una buona, anzi ottima, idea non basta per una storia. Lo sviluppo è ciò che la rende intrigante. E quando lo sviluppo che ci viene presentato è uguale a decine di altri prodotti che consumiamo da decenni, allora l’interesse non può che calare da dopo il primo terzo della storia.
C’è però qualcosa che potrebbe giustificare tutto ciò che finora è stato assodato come lato negativo del romanzo. Qualcosa che non si trova nella storia in sé, ma nella nota dell’autore dopo di essa. Se ci prendiamo il disturbo di leggere quelle sei pagine finali, scopriamo che John Scalzi ha voluto elaborare questo scritto come valvola di sfogo proprio durante il Covid. A detta sua:
The Kaiju Preservation Society, John Scalzi, Fanucci Editore, febbraio 2023, p. 267“The Kaiju Preservation Society non è, e lo dico assolutamente senza volerlo sminuire, una sinfonia malinconica di romanzo. È una canzone pop. Vuole essere leggero e coinvolgente, con tre minuti di motivetti e ritornelli da accompagnare cantando, dopodiché hai finito e continui la tua giornata, spero con un sorriso in faccia.”
Se ci pensiamo, John Scalzi aveva dunque bisogno di scrivere questo romanzo, soprattutto dopo un periodo pesante come quello del Covid. Aveva bisogno di svagarsi e far svagare i lettori, con una scrittura non troppo impegnativa, ma col puro e semplice scopo escapista. Dobbiamo per forza biasimarlo per questo?
Non tutti, dopo aver subito una pesante delusione da un periodo che – come molti credevano – ci avrebbe reso “persone migliori”, avrebbero avuto dal loro canto voglia del prossimo Ciclo di Rama o della nuova Fondazione.
Forse non era neanche destino che The Kaiju Preservation Society venisse candidato agli Hugo. Non bastano di certo una scrittura semplice, una trama prevedibile e situazioni comiche non troppo ricercate, per quanto questa fiumana scaturisca da da una premessa intrigante. Forse a far sì che accadesse è stato il motivo che ha spinto a scriverlo.
Giunti a questo punto non possiamo certo tornare sui nostri passi, cancellare le nostre opinioni e dire che è uno dei libri di fantascienza più importanti degli ultimi anni, perché sarebbe una bugia. Ma possiamo almeno fare spallucce e dire: “Ma sì, almeno non è un brutto libro”. Peccato, per onestà intellettuale, non poter fare di più.
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