Appare impossibile non avere delle aspettative piuttosto elevate per Amedama, il nuovo titolo in uscita il 22 marzo in early access co-prodotto da Acquire, gli esperti sviluppatori dei due Octopath Traveler e delle serie di Tenchu e Way of the Samurai, e da IzanagiGames, i publisher di World’s End Club. Questo concentrato di know-how decisamente interessante prende la forma di un action-adventure a scorrimento orizzontale, ambientato in Giappone, che gioca con concetti particolarmente delicati: reincarnazione e vendetta.
Passato decisamente in sordina nonostante il talento di chi vi ha lavorato, il gioco promette un approccio unico e stilisticamente molto ispirato al genere dei “side-scroller”, introducendo meccaniche in stile sandbox. Le premesse verranno rispettate? Scopriamolo assieme.
Le vicende di Amedama si snodano attraverso un particolare momento storico del Giappone che sempre più spesso ingolosisce le produzioni videoludiche, grandi o piccole che siano. Ci troviamo in pieno Periodo Edo, 19esimo secolo, quando la capitale non si chiamava ancora Tokyo.
Fra scenari cupi e piovosi veniamo introdotti ai due personaggi chiave del gioco: Yushin, l’ex pupillo di un samurai che ora gestisce una bottega di ombrelli, e la sua dolce sorella muta, Yui. Improvvisamente, un gruppo di sconosciuti fa irruzione nel negozio, seminando il caos e rapendo Yui.
Yushin li insegue, giurando di proteggerla e di riportarla a casa, venendo però assassinato durante uno scontro; è qui che scopriamo il suo potere sensazionale: a morire è la sua sola forma fisica che si separa dallo spirito, libero di vagare e di reincarnarsi nei corpi degli altri esseri viventi dopo averli tramortiti, prendendone il controllo.
Comincia così a seguire piste, indizi e tracce che possano aiutarlo, trovandosi ben presto al centro di una serie di complotti più grandi di quanto potesse immaginare. Grazie al suo nuovo potere, Yushin vede la storia da una prospettiva diversa, possedendo i corpi degli abitanti di Aihama, la regione fittizia in cui si svolge Amedama per infiltrarsi all’interno dell’organizzazione di banditi che semina il terrore nella zona, capitanata da Kirikumo, il presunto colpevole del rapimento di Yui.
Quando, però, il suo duro lavoro non porterà al salvataggio della sorella, Yushin realizza di essere intrappolato in un loop temporale della durata di 7 giorni alla fine dei quali, qualora non sia stato in grado di raggiungere il suo obiettivo, la sua anima torna indietro nel tempo.
Le scelte del giocatore, e i personaggi in cui deciderà di incarnarsi mano a mano che ripercorrerà le varie linee temporali, rappresentano l’aspetto più interessante ed appagante del gioco intero: sconfiggendo i nostri nemici e acquisendo alla possibilità di possederli potremo entrare in zone precedentemente inaccessibili, parlare con nuove persone, ed avvicinarci sempre di più a Yui.
Ogni fallimento, ogni finale raggiunto, è in realtà un punto di partenza, che ci fornisce uno spunto per esplorare una nuova diramazione, per prendere una decisione diversa. Vedere le vicende centrali snodarsi ed alterarsi sotto punti di vista sempre differenti rappresenta il pregio più grande del titolo; anche se questo concetto viene implementato in maniera non eccellente all’interno del gameplay come vedremo più avanti, sul piano squisitamente narrativo Amedama è un gioiellino, capace di incastrare perfettamente gli eventi e di farli mutare a seconda della timeline che andremo a percorrere, dando al giocatore l’impressione di poter cambiare le cose e risolvere gradualmente l’intricato mistero.
Lottare contro il destino e capire come cambiarlo è ciò che rende il titolo di Acquire e IzanagiGames un esperimento di storytelling ben riuscito, che più di qualche volta risulta capace di emozionare il giocatore e di farlo empatizzare con Yushin, tanto sfortunato quanto ostinato, che non si arrende mai nemmeno dopo l’ennesimo fallimento, e che anzi decide di ricominciare da capo con un solo unico scopo in mente: salvare Yui e scoprire la verità, sotto l’incessante pioggia di Aihama.
L’aspetto puramente ludico di Amedama è un vero e proprio enigma, perché presenta delle lacune in ogni suo aspetto. Se da una parte la descrizione del titolo ci promette un action-adventure sandbox con un sistema di finali e scelte multiple, dall’altra tutte queste meccaniche sono, all’atto pratico, eseguite in maniera spesso dozzinale, con il rischio di vanificare tutto il buon lavoro fatto con la storia del gioco.
Certo, non mancano delle trovate particolarmente interessanti, che quantomeno contribuiscono a tenere in piedi il comparto del gameplay. Ad esempio, la possibilità di reincarnarsi negli esseri viventi che sconfiggeremo non è un semplice congegno narrativo, ma anzi ha delle ripercussioni non indifferenti; ogni personaggio, infatti, ha delle statistiche ben precise, come attacco e difesa, che faranno la differenza contro i nostri nemici, e ognuno di loro sblocca aree e dialoghi precedentemente bloccati.
Combattere all’interno di un corpo per troppo tempo “esaurisce” la nostra anima (indicata come “Soul Glow”), costringendo il giocatore a trovarne un altro e a pianificare il numero di battaglie che intende affrontare.
Il grosso pregio dell’aver dato un’utilità concreta al “soul shifting”, però, si scontra con un combat system basilare e profondamente inconsistente: esso si basa quasi unicamente sulla parata degli attacchi dei nemici, che viene premiata con un contrattacco che infligge molti danni; esistono combo e “soul specialism” (attacchi speciali, ndr), ma nella sostanza ci si ritroverà molto spesso ad aspettare la mossa dell’avversario in posizione di difesa (con un consumo del vigore molto basso), visto che il metodo migliore per batterlo è semplicemente quello di bloccare e rispondere, senza alcun tipo di profondità.
Il problema è che il gioco abitua all’attesa nelle sue primissime ore, ma ben presto viene fuori il forte sbilanciamento di alcune boss fight, che richiedono un impegno ben più complesso del semplice attendismo e che rappresentano dei picchi di difficoltà assolutamente brutali e frustranti, come nel caso delle battaglie contro Nehan e Suzune.
Amedama è un susseguirsi di alti e bassi, di combattimenti estremamente semplici e di veri e propri muri, che rendono l’intera esperienza incoerente e superficiale, nonostante la buona reattività dei comandi e il sound design soddisfacente.
Bisogna inoltre segnalare un’IA dei nemici particolarmente mal realizzata, visto che spesso saranno loro a rimanere nella posa difensiva fino all’esaurimento della loro stamina, lasciandoli vulnerabili al nostro assalto.
Ancora più inspiegabile è l’implementazione pratica delle varie linee temporali che andremo ad esplorare alla ricerca di Yui. Come già detto, esse rappresentano sicuramente l’aspetto meglio riuscito della trama di Amedama, ma la loro resa effettiva è piuttosto deludente.
Ad ogni run effettuata prenderemo decisioni diverse, sbloccando una nuova diramazione, ma non ci verrà data la possibilità di velocizzare le cose. Ogni volta che il ciclo viene resettato, siamo costretti a percorrere lo stesso tragitto e a combattere gli stessi nemici, fino a raggiungere il punto in cui le due linee si dividono, quello in cui avvengono quindi le differenze tangibili.
Non è possibile ricominciare dal momento immediatamente precedente, in modo da rendere il tutto meno tedioso: se la scelta necessaria per sbloccare una nuova storia si trova nel quinto o sesto giorno, dobbiamo manualmente affrontare scene già viste decine di volte a partire dal primo, cosa che rende l’esperienza ripetitiva già dopo 3-4 ore di gioco.
I boss già incontrati diventano immediatamente disponibili per il soul shifting nei cicli successivi, ma è l’unico assist che Amedama prevede. Un vero peccato, considerata la bontà delle idee: nelle mie 15h di gioco circa, una parte estremamente consistente di queste le ho passate facendo un noiosissimo backtracking, sempre uguale fino al punto in cui la timeline si divide.
La promessa su cui avevo i dubbi maggiori si è rivelata quella più spinosa. Il termine “sandbox”, presente nella descrizione di Steam, non può e non deve essere usato alla leggera, perché presuppone la totale libertà d’azione del giocatore, cosa che Amedama non offre. Ogni corpo ha le sue statistiche, le sue mosse e le sue peculiarità, ma non c’è un’interazione col mondo di gioco tale da poter definire il titolo un vero sandbox.
Non esiste una pluralità di approcci, e per proseguire lungo la timeline selezionata sarà spesso obbligatorio seguire le istruzioni del gioco: per entrare nel quartier generale di una certa fazione, ci si dovrà necessariamente reincarnare in un personaggio che ne faccia parte, e così via.
Siamo di fronte ad un titolo piuttosto lineare, il che non sarebbe un problema se non fosse stato etichettato in maniera opposta: sconfiggere il boss alla fine di una linea temporale, reincarnarsi in lui nella run successiva così da sbloccarne un’altra, attenersi alle indicazioni, ripetere. Decisamente troppo poco per potersi cucire la medaglia del “sandbox” al petto.
Ciò su cui punta Amedama (fin troppo, verrebbe da pensare) è la sua peculiare presentazione: lo stile 2D è estremamente caratteristico, bello da vedere e stranamente immersivo. La pioggia incessante e l’ottima colonna sonora (composta da Yuko Komiyama, ex Capcom) contribuiscono a creare un’atmosfera unica, pregna di mistero e in linea con le tematiche del gioco; il Giappone tradizionale è stato rappresentato in maniera affascinante, ed è lo sfondo perfetto per la storia che viene raccontata.
C’è qualche incertezza sul lato tecnico, con dei cali di frame durante alcune fight e qualche crash, ma niente di troppo grave, sebbene l’assenza di un qualsivoglia tipo di impostazione grafica è quantomeno bizzarra. Tutto sommato, Amedama ha un carisma innegabile, e forse è proprio la radice dei suoi problemi: un gioco confezionato in maniera ineccepibile, i cui contenuti però non sono all’altezza della bella facciata.
Amedama è una vera e propria occasione persa: è un esperimento di storytelling, con una trama interessante raccontata in maniera unica, ma che viene supportata da un apparato ludico carente che non riesce ad implementare quelle che, in fin dei conti, sono delle ottime idee.
Il titolo non è lunghissimo, non vi impegnerà per più di 15 ore, ma l’impressione è che probabilmente duri più di quanto dovrebbe, a causa del tedioso backtracking a cui viene sottoposto il giocatore. Quello che rimane è una vendetta, quella di Yushin, che riesce a scoprire il segreto dietro al rapimento di sua sorella, ma che ha un’inevitabile retrogusto amaro, quello che rimane quando sai di aver appena giocato ad un gioco che avrebbe potuto fare molto di più.
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