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Barbie, cosa significa vivere nel patriarcato?

Barbie è uscito nelle sale da poco ed è già diventato un campioni d’incassi, riscattando un ampio consenso e successo in tutto il mondo. Può sembrare un film leggero e divertente, ma sotto il rosa shocking, lustrini e sorrisi smaglianti troviamo una pellicola pregna di spunti di riflessione circa la società odierna e il patriarcato che la caratterizza. Grazie al suo stile comunicativo ironico e alla ricreazione perfetta del setting idilliaco tipico di Barbie, l’opera della Gerwig ha conquistato il cuore degli spettatori e fatto breccia nei loro animi.

Cosa lo rende così speciale? E che cosa può offrirci? Prendete i vostri Rollerblade: sta per cominciare un sensazionale viaggio verso Barbieland!

Attenzione: il seguente approfondimento potrebbe contenere spoilers.

Quella cosa così complicata chiamata “genere”

Prima di addentrarci nel mondo rosa di Barbie, occorre anzitutto chiarire che cosa intendiamo con “genere”. L’avrete sentito un milione di volte sui social, ma è bene ribadirlo: sesso e genere non sono la stessa cosa. Questo perché il primo è un risultato biologico e genetico dato da una determinata combinazione dei cromosomi X e Y, mentre il secondo è invece un costrutto socio-culturale dato da un insieme di elementi profondamente radicati nei nostri usi, costumi e tradizioni.

Ma cosa significa nel concreto? Significa che ogni genere ha determinate aspettative e performance, strettamente legate alla nostra individualità. Se qualcuno ci chiede per esempio di dare un’immagine o una spiegazione del genere “donna”, noi pensiamo a un determinato prototipo di genere femminile: mamma, donna in carriera, alta, magra, bionda… Il prototipo differisce a seconda della cultura d’appartenenza e possiamo dire che nel caso della mentalità occidentale può generalmente essere benissimo rappresentato dalla nostra Barbie stereotipo.

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Fra le aspettative e la performance c’è però un abisso poiché quest’ultima è l’applicazione ed espressione personale di tutti gli ideali sovracitati, che non sempre corrisponde. Da qui nascono i numerosi scontri fra chi vede la donna come una moglie e macchina procreatrice ed educativa (stereotipo storico che ha le proprie origini dall’oltre 3000 a.C. come ci dice Antropoché) e una nuova idea di donna indipendente e intellettualmente alla pari dell’uomo che si è fatta strada soprattutto nel Novecento. Lo stesso discorso vale anche per gli uomini, ma approfondiremo meglio entrambe le questioni nei paragrafi successivi.

Questo schema molto semplice chiarisce meglio la differenza fra identità, espressione o performance di genere e sesso biologico.

Quello che dobbiamo tenerci a mente quindi è che ogni società ha un proprio culto sul genere e delinea un insieme di regole ascritte a cui tutti noi dobbiamo attenerci per non rimanere escluse. A volte sono norme in cui ci ritroviamo, altre invece sono più complesse e richiedono uno sforzo collettivo per essere cambiate. È un discorso molto più complicato del semplice essere donna, uomo, transgender o non binario, che s’intreccia con la propria individualità e ciò che la nostra cultura impone in quanto animali sociali. Se volete un maggiore approfondimento, vi consigliamo quindi l’ascolto di questo podcast e il follow al suo profilo Instagram, noto per la sua grande semplicità d’eloquio e simpatia nell’affrontare tali questioni.

Vediamo invece come si coniugano a Barbieland.

Essere donna nel 2023 non è facile…

Se a Barbieland le Barbie hanno raggiunto una condizione tale da ricoprire posizioni di potere e decisione, vincere premi Nobel e vivere in maniera indipendente con una casa e una macchina di proprietà, lo stesso non si potrebbe dire per il Mondo Reale. Mattel viene rappresentata come un’azienda diretta da soli uomini, dove le donne sono relegate a ruoli minori senza possibilità di fare carriera.

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Non è molto distante dalla realtà: benché nel 2021 il 46,8% delle donne nell’UE abbia almeno un livello d’istruzione terziaria e siano mediamente più formate degli uomini, esiste un gender gap molto pesante circa un avanzamento di ruolo e un’equa retribuzione: sempre nel 2021, a parità di mansione, una donna guadagna in media il 12,7% in meno di un suo collega maschio. Capite che sono dati preoccupanti a fronte di un’inflazione pesante e in continuo aumento, poiché se un uomo riesce a malapena a garantirsi una certa indipendenza il sesso opposto invece fatica ancora di più.

Ma al di là delle disuguaglianze a livello lavorativo ed economico che si spera vengano in parte coperte anche grazie ai fondi PNRR, attorno al genere femminile è radicata una discriminazione pesante basata sulla bellezza e sulla sessualità. Barbie ce la mostra perfettamente quando raggiunge il Mondo Reale con Ken e viene molestata, derisa e presa in giro dai passanti per il semplice fatto di esistere.

Se il ragazzo si sente compiaciuto dagli sguardi altrui, lei invece sente “una sensazione di imbarazzo e vergogna verso se stessa” tipica dell’esperienza femminile. L’appropriazione del corpo come un oggetto sensuale e gli standard di bellezza sono elementi che caratterizzano da sempre la società, in funzione dello stereotipo di donna-madre che abbiamo descritto nel primo paragrafo. La donna viene idealizzata, vista come un essere perfetto che deve generare figli, accudirli e accudire anche il proprio compagno, soddisfandolo pienamente in ogni ambito ma soprattutto in ambito sessuale.

E allora ecco il risultato: trauma generazionale, competizione interna fra le stesse donne e perenne sensazione di insoddisfazione. Il genere femminile è vittima di un sistema che le dà già come perdenti e le donne si ritrovano a farsi la guerra fra loro, alla ricerca di una flebile sensazione di soddisfazione che però difficilmente arriva da sé quanto invece dall’approvazione altrui.

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Mamme, nonne e generazioni più anziane provano un senso d’invidia subdolo e inconscio per le giovani, sia perché obiettivamente detengono più diritti e opportunità rispetto a quando loro erano ragazze sia per il loro aspetto perfetto, ceramico, da bambolina. La vecchiaia femminile è ancora un grande stigma proprio perché il corpo viene definito non sessualmente performante o attraente, quasi da buttare, come una bambola rotta. Ecco perché il Sei bellissima che Barbie rivolge alla signora anziana nella fermata del bus e il Lo so di quest’ultima ci hanno colpito molto.

Parleremo meglio della competizione tossica nel paragrafo sul neoliberismo. Nel frattempo, per chiudere questa panoramica, alleghiamo qui un estratto del monologo di Gloria nel film che riassume e centra a pieno le conseguenze di un sistema prevalentemente maschilista e patriarcale come il nostro.

“It is literally impossible to be a woman. We have to always be extraordinary, but somehow we’re always doing it wrong. You have to be thin, but not too thin. And you can never say you want to be thin. You have to say you want to be healthy, but also you have to be thin. You’re supposed to love being a mother, but don’t talk about your kids all the damn time.

You have to be a career woman but also always be looking out for other people. You’re supposed to stay pretty for men, but not so pretty that you tempt them too much or that you threaten other women because you’re supposed to be a part of the sisterhood. But always stand out and always be grateful. But never forget that the system is rigged.

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It’s too hard! It’s too contradictory and nobody gives you a medal or says thank you! And it turns out, in fact, that not only are you doing everything wrong, but also everything is your fault.”

…ma non è facile neanche essere uomini

La sfida di Barbie non è stata tanto empatizzare con le donne, quanto invece avvicinarsi agli uomini. Il film ha fatto un lavoro sublime da questo punto di vista perché è riuscito a descrivere le enormi difficoltà legate alla mascolinità senza prevaricare su quelle legate alla femminilità.

Ken a Barbieland si sente perennemente in ombra rispetto alla sua amata: il suo scopo nella vita è sentirsi visto e ascoltato dalle Barbie, ma capisce che la sua vita non può essere ridotta solo a questo. Entrare nel mondo reale e vedere quanto potere abbiano gli uomini lo ha ispirato al punto da portare il patriarcato a casa sua, con l’idea che così si sarebbe sentito più appagato. Peccato che Ken sia esso stesso vittima di questo sistema; si accorge che non gli si addice e che non vuole competere più con gli altri suoi compagni per avere l’attenzione delle altre ragazze.

In questo paragrafo ci concentriamo fondamentalmente su due aspetti che il film ha messo in luce: l’ideale del rispetto e il tabù circa la salute mentale maschile.

Per parlare del primo tema è utile riferirci alla definizione del termine che ci offre la Treccani, che categorizza come tale ogni “sentimento che porta a riconoscere i diritti, il decoro, la dignità e la personalità stessa di qualcuno, e quindi ad astenersi da ogni manifestazione che possa offenderli“. Tutte le società, per poter funzionare adeguatamente, hanno alla base questo concetto sia in riferimento alle norme legislative che la regolano sia in riferimento a ciò che viene considerato come autorità. Quello che a Ken stupisce nel mondo reale è il fatto che viene considerato autorevole per il solo fatto di essere un uomo, tanto da elettrizzarsi quando una donna le ha chiesto le ore.

Se ci pensate bene, il rispetto e l’onore sono concetti storicamente associati alla mascolinità: i rapporti fra vassalli e feudatari, quelli fra i vari cavalieri, sono tutti regolati dagli stessi precetti. E quali sono i nemici principali che ledono alla reputazione di un uomo? Le donne. Come già citato nel monologo di America Ferrera, le mogli sono moralmente obbligate a rispondere della condotta dei propri mariti e a trovarne giustificazioni o al contrario si prendono colpe che non hanno. Questo perché è inimmaginabile che un uomo perda la reputazione e le staffe; deve essere sempre forte, composto e valoroso.

E qui ci colleghiamo così al secondo tema. Proprio perché vige un’idea di mascolinità tossica, cioè di radicalizzazione dell’espressione della propria virilità, sembra che ai maschi non sia concesso esprimere emozioni. Esse sono erroneamente associate alla sfera femminile e, quindi, ridicolizzate. Secondo questo studio, benché il 77% dei partecipanti pensa che parlare delle proprie sensazioni sia utile e anzi fondamentale per il proprio benessere, in pochi lo fanno. Il 58% del campione infatti sente delle pressioni esterne che lo chiamano a essere forte, serio, distaccato e ad arrangiarsi da solo. Per questo motivo quando si tratta di problemi emotivi gli uomini faticano a trovare una modalità di comunicazione sana, preferendo piuttosto nascondere i problemi fino all’esaurimento.

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Alla fine del film vedere Ken piangere e sfogarsi con Barbie, comunicando i suoi sentimenti a cuore aperto e lamentandosi di quanto sia brutto il patriarcato, è un traguardo epocale. È un primo passo che può portare a un grande cambiamento nelle idee legate alla sfera emotiva degli uomini. Non dimentichiamoci quindi che tutti siamo Kenough.

Patriarcato e neoliberismo, ma anche anticonformismo

Che legame ha il patriarcato con la cultura occidentale neoliberista attualmente in vigore? Possiamo tranquillamente affermare che è una sua conseguenza indiretta. Con l’avvento dell’economia capitalista e la nascita di un mercato libero, le aziende faticano a ottenere e mantenere il proprio posto e sono costrette a competere nel tentativo di ottenere più soldi. Tale conflittualità si è riflessa anche in ogni ambito della nostra società, portando così le persone a confrontarsi perennemente fra loro.

Il neoliberismo culturale è caratterizzato dai seguenti elementi:

  • Illusione di avere una libertà totale, salvo poi rimanere disorientati dalla vasta gamma di possibilità che abbiamo di fronte;
  • Materializzazione dei valori, privilegiando quelli che possiamo ritenere utili e pratici;
  • Scientismo, cioè tendenza ad assumere la scienza e il progresso tecnologico come elementi fondamentalmente positivi a prescindere dalle conseguenze e da dubbi di natura etica;
  • Meritocrazia, cioè riconoscimento del merito di un individuo rispetto a un altro e sua elevazione;
  • Autoimprenditorialità, cioè constatazione che ognuno è responsabile dei propri successi e insuccessi e continua convocazione al miglioramento;
  • Individualismo e de-collettivizzazione a favore di uno stile di vita completamente in solitudine.

Esso seleziona quindi i soggetti “migliori” in base a quanto vengono incarnati tali precetti. È così che la disparità fra uomini e donne non solo non si è riparata, ma si è addirittura allargata. I maschi hanno oggi un ruolo molto privilegiato perché sono definiti più produttivi delle femmine: nello stereotipo comune non perdono tempo a creare una famiglia, né si preoccupano della cura della casa. E si sa, il tempo è denaro e denaro è capitale.

Sì, ma cosa c’entra tutto questo con Barbie? Guardiamo un attimo il quadro del Mondo Reale. Abbiamo una grande azienda, la Mattel, i cui ruoli di potere sono rivestiti solo da uomini. La povera Gloria è solo una semplice dipendente con una vita molto stressata e soprattutto frenetica, rispettando i tempi celeri dettati dal neoliberismo.

Mentre il CEO di Mattel e i suoi colleghi sembrano non avere troppe preoccupazioni prima dell’arrivo di Barbie, Gloria deve pensare al lavoro, alla casa e al suo conflittuale rapporto con la figlia Sasha. Suo marito viene poi rappresentato come uno scansafatiche che studia spagnolo su Duolingo per passare il tempo. L’ironia della sorte è che la Mattel è stata co-fondata da una donna, Ruth Handler, la quale in Barbie ha un piccolissimo ufficio relegato al piano terra.

Abbiamo infine accennato alla competizione nei vari paragrafi. Essa esiste perché il successo viene visto come un premio a discapito di qualcuno o qualcos’altro. Il raggiungimento del profitto a ogni mezzo si coniuga culturalmente in una perenne vita “in guerra” con se stessi e con gli altri. Barbie rappresenta perfettamente le dinamiche e gli scontri che nascono sia fra i due generi sia all’interno dello stesso genere. I Ken lottano fra loro all’ultimo sangue per ottenere l’attenzione delle Barbie, le Barbie dopo l’avvento del patriarcato sfidano i loro limiti per accontentare i propri uomini. E nel Mondo Reale?

Nel Mondo Reale viene rappresentata una forma di competizione sottile, ma vigente, fra donne. È il caso di un conflitto generazionale vigente fra nonne, mamme e ragazze che si perpetua come un trauma che appartiene strettamente al genere femminile. Poiché il neoliberismo punta alla perfezione e all’essere la miglior versione di se stessi, l’aspetto fisico delle donne diventa un elemento fondamentale per capire se puoi essere rispettata o marginalizzata. Più non segui gli standard, più rischi di non esistere agli occhi della società. Basta aprire Instagram e vedere tutti quei video sull’aesthetic that girl per capire quanto le ragazze siano spinte a rispettare un determinato stile di vita e a essere un determinato tipo di fisico.

Oltre all’aspetto esteriore, le donne competono anche perché il neoliberismo le posiziona automaticamente come antagoniste. È una lotta fra persone già svantaggiate in partenza che, riconoscendo la loro posizione sfavorita, cercano di ottenere la condizione più accomodante. Se sentite dire che il nemico peggiore delle donne sono le donne stesse, è proprio per questo motivo: interiorizzano la loro situazione scomoda, ma al contempo faticano a trovare un modo di emergere senza nuocere agli altri o ribaltare completamente i valori con cui sono state educate.

Eppure esistono delle eccezioni, che nel film sono rappresentate da Barbie Stramba e Allan. La prima è una Barbie che chiaramente non rispetta i canoni di bellezza di Barbieland e viene giudicata molto buffa per questo, eppure è dotata di una saggezza tale da riuscire a salvare la propria città dal patriarcato e aiutare la nostra Barbie stereotipo; il secondo invece non si conforma alla filosofia dei Ken e si preoccupa invece di supportare incondizionatamente le ragazze nelle loro imprese. Questi due personaggi sono, assieme a Gloria, gli eroi del film e gli anticonformisti all’interno di un sistema patriarcale che per funzionare necessita di soggiogare le persone.

Barbie ci mostra quindi che dobbiamo essere in grado di riconoscere l’esistenza e le dinamiche del neoliberismo, ma al contempo non dobbiamo conformarci a esse: dobbiamo vivere come noi stessi.

Considerazioni personali su Barbie

Adesso vi parlo a nome di Elisabetta e non a nome di SpaceNerd.
Barbie per me è stato un film rivoluzionario ed estremamente commovente. Sono una normalissima ragazza di vent’anni che ha già vissuto parte delle problematiche affrontate dal film e si sta preparando ad affrontarne altre, relative soprattutto al mondo degli adulti.

Per tutta la mia vita ho fatto estremamente fatica ad adeguarmi agli standard di bellezza di questa società, specialmente dopo la diffusione dei social e la mia precoce esposizione a internet. Non sono mai stata una bambina che giocava alle Barbie; anzi, salvo i film, provavo anche un certo disprezzo perché inizialmente erano le classiche bamboline bionde stereotipo in cui io non mi ci rivedevo.

Non capivo come potessi sentirmi Barbie se ero una bimba capelli castani, occhi verdi e un’insana voglia di coltivare hobbies comunemente definiti “maschili” come i videogiochi. A causa di quest’ultimo punto faticavo anche a trovare punti in comune con le mie coetanee, le quali mi consideravano stramba (esattamente come Barbie Stramba) e non degna della loro amicizia.

Durante il periodo delle medie provavo una certa rabbia nei confronti del mio genere, perché sentivo di esserne esclusa per il mio fisico e per le mie passioni, ma non mi sentivo neanche parte dell’essere maschio. Mi trovavo in sintonia più con i ragazzi che con le ragazze, ma non mi faceva stare bene. Sentivo dentro di me una sensazione di insoddisfazione, a cui però non riuscivo a dar rimedio. La conseguenza più immediata è la fatica che facevo (e faccio) a stringere legami duraturi, a essere in piena armonia con chi ho davanti.

Barbie mi ha dato diversi punti di vista e risposte che oggi, con la maturità di una ragazza ventenne, sono riuscita a comprendere e interiorizzare. La rabbia che provavo nei confronti delle mie coetanee era giustificata fino a un certo punto: ogni donna ha il proprio peso alle spalle, proprio per il fatto di essere donna.

È come se avesse applicato un gigantesco cerotto rosa sul mio cuore: non è colpa mia, né colpa delle altre; è colpa di un sistema che ci vuole sempre perfette, sempre impeccabili e sempre omologate fra noi. Il diverso crea paura proprio perché il patriarcato non ci educa a un confronto con gli altri e qual è la difesa più immediata alla paura? L’attacco.

Barbie sarà anche una trovata geniale a livello di marketing e un film realizzato appositamente per gli incassi, ma i messaggi che manda sono veri e validi per tutti, uomini e donne.

Conclusione

Per concludere, vi abbiamo chiesto in questi giorni tramite un piccolo questionario la percezione che avete rispetto all’essere uno o l’altro genere. Il campione preso in considerazione è per la maggioranza maschile (61,5% per l’esattezza).

Abbiamo deciso di raccogliere le parole chiave delle opinioni che ci avete lasciato in questi due schemi, rispettivamente per il genere maschile e femminile.

Come potete vedere, abbiamo due immagini ben differenti e una community consapevole della propria posizione. Per soverchiare il patriarcato la soluzione ideale, come insiste anche l’antropologo Ferrara che abbiamo citato all’inizio dell’articolo, sarebbe quella di riconoscere le problematiche e lavorare insieme alla parità. Spesso donne e uomini tirano l’acqua al proprio mulino, senza stabilire veramente un dialogo funzionale a entrambi. Questo è invece un passaggio necessario e fondamentale affinché si possano ridurre (o utopicamente eliminare) le disuguaglianze di genere.

Il nostro viaggio a Barbieland si conclude qui. Speriamo che sia stato piacevole e che vi abbia dato degli spunti di riflessione e miglioramento, in vista di un futuro più equo e radioso.

Take my hand. Close your eyes. Now, feel.
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Elisabetta Giardi

Sono cresciuta con pane, videogiochi, anime e arte. I miei studi e la mia passione verso le scienze umane mi permettono di guardare e giocare con uno sguardo diverso, riuscendo a cogliere molte scelte stilistiche e ad attribuire loro un significato più profondo.

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Elisabetta Giardi
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