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Call of Duty Modern Warfare 2, la recensione: il ritorno della Task Force 141

Call of Duty Modern Warfare 2

6.7

GAMEPLAY E LONGEVITA'

7.5/10

COMPARTO GRAFICO E SONORO

7.0/10

COERENZA E CURA DEL DETTAGLIO

5.5/10

Pros

  • Tra i gameplay migliori nel genere shooting
  • Grafica e sonoro di buon livello
  • Diverse intuizioni positive

Cons

  • Campagna sconsigliabile
  • Troppe novità sfruttate male
  • Il comparto multigiocatore risente di problematiche relative al bilanciamento e al matchmaking
  • Versione PC non ottimizzata

Chiunque sia abbastanza grande da aver vissuto più generazioni ed epoche videoludiche del passato conosce bene l’importanza del cambiamento e della trasformazione che hanno avuto nel corso dei decenni alcune delle saghe più longeve del medium: ve ne sono altre che, invece, hanno sempre mantenuto la stessa formula ludica, narrativa e strutturale sin dal loro primo capitolo.

Tra queste ultime vi è senza dubbio quella di Call of Duty: la quasi ventennale saga di Activision ha infatti proposto di capitolo in capitolo cambi di contesto storico, modifiche meccaniche isolate e aggiunte di carattere puramente contenutistico , con costanti rifiniture al gameplay e alla grafica.

Dopo il primo soft reboot di Call of Duty 4 Modern Warfare, uscito ormai tre anni fa e di cui trovate la nostra recensione qui, abbiamo assistito proprio di recente all’uscita di quello del suo sequel, che prende il nome di Modern Warfare 2: scopriamo cosa hanno combinato gli sviluppatori di Infinity Ward con quest’ultimo capitolo, nonché diciannovesimo e forse ultimo rilascio annuale consecutivo.

Chi non muore si rivede

A settare le basi contestuali ci ha pensato ancora una volta la campagna a giocatore singolo, al quale teniamo sempre particolarmente a dare una rilevanza primaria.

Il tutto ha inizio qualche tempo dopo gli eventi di Modern Warfare 2019, quando il nostro caro Ghost viene mandato in missione di ricognizione in una zona sperduta e non ben definita del deserto di Al Mazrah: qui, coglierà in flagrante un gruppo delle forze militari iraniane guidate da Ghorbrani nel bel mezzo di una trattativa commerciale con contatti russi per l’acquisto di armi e attrezzature da guerra.

Una volta presa coscienza della gravità e del rischio che il rapporto tra queste due parti può avere, il generale Shepherd e Laswell daranno il via libera per un attacco missilistico sul convoglio, che farà piazza pulita di ogni forma di vita sul posto.

Approfondendo i contatti del leader iraniano, verrà disposta una squadra guidata da Ghost stesso e Soap MacTavish, inviata immediatamente sul campo con l’ordine di  trovare e catturare il maggiore Hassan, braccio destro di Ghorbrani, intenzionato a prenderne il posto.

Durante la missione però qualcosa va storto, non solo non riusciranno a raggiungere l’obiettivo, ma faranno anche un’inquietante scoperta: in uno dei magazzini perlustrati durante l’infiltrazione troveranno un missile di fabbricazione americana, che qualcuno ha venduto agli iraniani stessi in gran segreto.

Con l’intento di scoprire di più su tale rivelazione e interrogandosi sulle intenzioni di Hassan, inizierà una serie di cacce all’uomo che porterà la Task Force 141 a vedersela addirittura con il cartello della droga messicano, oltre che ovviamente con forze militari iraniane e russe.

In termini prettamente narrativi, la storia procede in modo regolare e lineare, ma purtroppo in senso negativo: nonostante non manchino colpi di scena e risvolti particolari, gli espedienti e i tropi narrativi usati per l’esposizione delle vicende affogano in un mare di banalità, tra dialoghi, passaggi e avvenimenti scontati, prevedibili, e che abbiamo già avuto modo di vedere in tutte le salse, ma soprattutto in forme ben più smaglianti di questa.

La pressoché totale mancanza di contestualizzazione geopolitica degli eventi porta la storia a trasformarsi sin da subito in una grande questione personale da risolvere tra i vari personaggi, piuttosto che concentrarsi sull’effettiva storia di guerra e terrorismo, facendo venir meno il senso di pericolo e minaccia globale rappresentata da questo nuovo nemico.

Ciò crea un’inconsistenza narrativa alla base della storia che impedisce al giocatore di immergersi a dovere, dandogli invece una sgradevole sensazione di indifferenza che culmina in uno dei finali sinceramente più sbrigativi dell’intera saga.

Dall’altro lato invece, abbiamo trovato particolarmente azzeccata la caratterizzazione dei personaggi e del loro rapporto, che oscilla continuamente tra il senso di collaborazione e serietà nel voler portare a termine la missione come squadra e quel filo di ironia e leggera comicità dal quale sprizza confidenza, affiatamento e profonda amicizia.

Quanto cinema e quanto gioco?

Spostandoci sul piano più ludico e di quest design, anche in questo caso la delusione è stata purtroppo dirompente e inaspettata.

Gli schemi di avanzamento che regolano la struttura delle missioni sono tra i più ripetitivi e poco originali della saga: iniziando come missione di infiltrazione e/o incursione furtiva, avverrà praticamente sempre qualcosa di imprevisto (che poi tanto imprevedibile non lo è mai) che darà il via a scontri ben più concitati, per poi concludersi con la fuga/estrazione dal campo di battaglia di turno.

In poche parole, quasi tutte le missioni iniziano, si sviluppano e terminano sempre nello stesso modo, con cambi di ritmo del tutto squilibrati, che portano a una sovrabbondanza di sequenze stealth prive di tensione, e a una mancanza di intensità e spettacolarità in quelle più movimentate.

Inoltre, il gioco prova a differenziare l’esperienza inserendo meccaniche di gameplay uniche e circoscritte a sezioni specifiche che, per quanto esse possano offrire spunti di varietà interessanti, non riescono mai a integrarsi con naturalezza con il resto del contesto e delle situazioni, risultando incastrate a forza al resto del gameplay.

Nella maggior parte di queste fasi (praticamente tutte di natura stealth) saremo pressoché costretti a seguire per filo e per segno le infinite indicazioni che il gioco ci comunicherà, tra scritte in sovrimpressione e personaggi che ci punzecchieranno ripetendoci continuamente quello che dobbiamo fare, rendendo effimera e del tutto fasulla la libertà d’azione che il gioco prova a offrirci.

Al contempo, provare a uscire anche solo momentaneamente da questi schemi di furtività preimpostati porterà il gioco a crollare su sé stesso, con nemici che spuntano dal nulla fiondandosi addosso al giocatore conoscendone già la posizione anche dopo che quest’ultimo è riuscito a nascondersi.

Sia chiaro, questo genere di scomodità è sempre stata presente nella saga sin dai suoi primi capitoli, ma in questo caso la cattiva gestione degli imprevisti culmina davvero in situazioni sgradevoli e davvero poco coinvolgenti.

Diventa immediatamente evidente il fatto che Infinity Ward abbia inserito queste meccaniche come pretesto per introdurle ai giocatori nella neonata Warzone 2.0 e della DMZ, nel quale esse saranno presenti.
Si ha quindi l’impressione che alcune missioni e sequenze siano appositamente state studiate e costruite attorno a esse e non il contrario, il che sembrerebbe lasciar passare la campagna come un tutorial di quello che verrà.

Nonostante tutti questi problemi, siamo convinti che Modern Warfare 2 sia comunque un buon titolo nel suo essere FPS.

Lo shooting continua a essere tra i più piacevoli e divertenti in circolazione grazie alla presenza di diverse armi che riescono a regalare un feedback dei colpi inflitti unico e soddisfacente, così come va riconosciuta la cura per le animazioni sia per quelle relative alla prima persona (ricarica, esecuzioni e micro movimenti) che in quelle degli altri modelli di gioco (nemici, alleati e comprimari).

Inoltre, per quanto le missioni siano sommerse dai già stati problemi ludici, la loro innegabile dinamicità ci porterà ad attraversare una grande varietà di ambientazioni, curate a loro volta con dovizia di particolari (soprattutto gli interni), il che riesce a offrire una buona dose di coinvolgimento quantomeno visivo, estetico e contestuale.

Nemico avvistato

Spostiamoci su quello che per la maggior parte dei giocatori rappresenta il vero piatto principale della saga: il multiplayer e le sue modalità competitive.

Dando la priorità all’analisi delle novità, il cambiamento più grande apportato in Modern Warfare 2 riguarda senza dubbio l’Armaiolo 2.0, ovvero il sistema di gestione dello sblocco delle armi e della loro progressione, questa volta ben più strutturato e profondo.

In poche parole, progredendo con il livello del giocatore sbloccheremo alcune armi basilari, uno schema a forma di albero delle abilità ci indicherà quale livello dovremo raggiungere con queste ultime per sbloccarne le prime varianti, che a loro volta richiederanno un certo progresso per accedere alle versioni più avanzate.

Quindi, ci toccherà utilizzare man mano una variante fino al livello richiesto per sbloccare quella successiva, e così via fino all’ottenimento dell’arma che vogliamo prendere.

Inoltre, tutti gli accessori che sbloccheremo per una determinata “piattaforma base” saranno poi disponibili anche per le varianti successive della stessa categoria, e non dovremmo riottenerle singolarmente da capo.

Questa struttura riesce a offrire una maggiore eterogeneità d’approccio nell’avanzamento dell’esperienza, invogliando il giocatore a sperimentare armi sempre diverse per sbloccarne relative varianti e accessori.

Nonostante ciò, l’Armaiolo 2.0 porta con sé due problemi tutt’altro che trascurabili: il primo riguarda l’interfaccia utente, composta da menù e sottomenù curiosamente poco intuitive anche al di fuori della personalizzazione delle armi, rendendo quindi la navigazione tra le pagine più confusionaria del previsto; il secondo si riferisce a quello che è il più grande difetto dell’intera componente multigiocatore: l’equilibrio e il bilanciamento di gioco.

Per quanto nobile e apprezzabile sia la volontà di Infinity Ward di variegare il più possibile l’utilizzo delle armi, il divario di efficienza tra di esse è talmente alto da rendere fine a sé stesso questo sistema, portando i giocatori a fiondarsi direttamente sullo sblocco di quelle più potenti, trascurando del tutto molte delle altre.

Quindi, per arrivare a poter utilizzare le armi migliori i giocatori saranno costretti a utilizzarne di altre decisamente più deboli, ponendoli in troppi casi in situazioni di svantaggio eccessivo rispetto a chi invece le ha già sbloccate.

Due pesi e due misure

Ma la più grande perplessità, indipendentemente da ciò, riguarda la gestione dei parametri delle armi nel loro complesso.

Tralasciando la suddivisione delle armi per categoria, le statistiche relative a danni inflitti, gittata, rinculo e maneggevolezza non seguono alcuna logica o coerenza d’equilibrio, destabilizzando completamente qualsivoglia forma di bilanciamento.

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Tale aspetto si riflette durante le partite, nel quale si uccide (e si viene uccisi) senza un criterio logico e nei modi più impensabili e scorretti: morire a causa di qualche misero colpo sparato da lontano con una mitraglietta (che dovrebbe esser efficace negli spazi stretti e soprattutto ravvicinati) dopo aver colpito insistentemente il nemico con un fucile d’assalto (teoricamente, ben più potente dalla distanza) è una sensazione semplicemente sbagliata, avvilente e snervante.

E questo è solo il più vago e generico degli esempi, vi assicuriamo che una volta scesi in campo faticherete a credere a determinate situazioni.

Lo stesso discorso va applicato sia ai vari tipi di granata che agli equipaggiamenti extra: nel caso delle prime, basterà un semplice perk per resistere a qualsiasi esplosione, mentre le varie flashback, stordenti, lacrimogeni ecc. per quanto accechino e stordiscano effettivamente il nemico, non intaccheranno minimamente la stabilità della sua arma.

Quindi, se non doveste riuscire a ottenere punteggi positivi non preoccupatevi, il risultato finale non dipenderà quasi mai da una reale differenza di abilità tra i giocatori (se non giusto per quanto riguarda la mira e i tempi reazione), ma dalle folli e insensate dinamiche che regolano il time to kill, ancora una volta ostinatamente impostato verso il minimo.

Ad aggravare ulteriormente la situazione ci hanno pensato problemi di desincronizzazione dei server, che portano i giocatori ad avere differenti visioni della stessa situazione sul campo di battaglia.

A volte capiterà di avere l’impressione di essere stati uccisi da un sol colpo nemico, eppure basterà guardare la killcam per rendersi conto che dal suo punto di vista vi ha in realtà scaricato addosso una notevole smitragliata, oppure più banalmente di morire anche dopo essersi messi al riparo dietro muri o pareti spesse, rendendo evidente il fatto che in alcuni casi i proiettili arrivano con abbondante ritardo, mentre in altri sembra proprio che non partano nemmeno.

Ma anche quando tutto funziona a dovere, ci pensa il sistema di matchmaking a sovvertire ogni forma di correttezza competitiva: indipendentemente dalle opinioni personali riguardanti lo Skill Based Matchmaking, esso ci farà continuamente rimbalzare tra squadre sbilanciate, che porterà la più forte a vincere praticamente sempre in maniera schiacciante, facendo sentire i giocatori spesso e volentieri “nel posto sbagliato” da entrambi i lati.

Il “dove” e il “come”

E come per ogni Call of Duty che si rispetti, le mappe di gioco assumono ancora una volta una rilevanza primaria, se non addirittura il ruolo di protagoniste.

Nel caso di Modern Warfare 2, esse vantano un’ottima varietà sia nel loro level design che, dopo il sistema a tre corsie visto in Vanguard, tornano a svilupparsi anche in lunghezza e in larghezza tutt’intorno a determinate aree centrali, dove si consumano la maggior parte degli scontri.

Questa struttura circolare è composta da numerosi collegamenti e interconnessioni che intrecciano i vari segmenti della mappa con porte, scale e corridoi (con giusto qualche timido accenno di verticalità) che alternano spazi stretti ad altri più ampi, permettendo al giocatore di muoversi più liberamente intorno alla mappe e di eseguire manovre di aggiramento.

Quindi, la complessità strutturale fa bene il suo lavoro ma purtroppo non in tutti i casi: un paio di esse infatti si tirano inspiegabilmente fuori da questi schemi, proponendo un design ridicolmente piatto, che lascia poco spazio a ogni interpretazione, come se fossero state create in fretta e furia.

Inoltre, la maggior parte di esse presenta un’estensione un po’ eccessiva, la concentrazione dei punti di interesse nelle zone centrali porta troppo spesso i giocatori ad appostarsi nei loro pressi (alcune finestre, balconcini e terrazzi sembrano fatti apposta per favorire il camping), trascurando del tutto le zone più esterne, praticamente vuote e poco frequentate.

Eppure, nonostante l’esistenza di queste ultime, vi sono comunque molti problemi relativi ai punti di respawn, spesso troppo vicini alle zone più movimentate, il che rende evidente la mancanza di attenzione di Infinity Ward nella gestione degli spazi.

Anche dal punto di vista del setting esse vantano una buona varietà estetica, se da un lato alcune risultano tendenzialmente banali e prive di carattere, altre riescono a essere ben più originali non solo nel concept ma anche nel modo in cui esso viene posto al servizio del level design, il che rappresenta probabilmente l’aspetto creativo più ispirato e particolare dell’intera produzione.

Quindi, nonostante qualche sbavatura di sviluppo siamo rimasti soddisfatti dalle mappe di gioco, nel complesso più interessanti e studiate rispetto a quelle dei Call of Duty più recenti.

Anche quest’anno abbiamo visto l’arrivo di qualche piccola aggiunta contenutistica in termini di modalità, Soccorso prigionieri e Invasione rappresentano una variante rispettivamente di Cerca e Distruggi e Guerra Terrestre: per quanto non spicchino in originalità, offrono quel po’ di varietà alternativa che non delude mai.

Interessante anche il filtro “Moshpit Terza Persona“, nonché un insieme di modalità classiche da giocare però da un punto di vista diverso, ovvero da dietro le spalle del nostro personaggio.

Nonostante le basi del gioco non siano state ovviamente studiate per questo, tale cambio di prospettiva riesce paradossalmente a funzionare abbastanza bene, e a offrire conseguentemente un approccio agli scontri ben diverso e in un certo senso strategico: non ci dispiacerebbe vedere più in là magari uno spinoff della saga o un DLC appositamente costruito per esso.

Dall’altro lato però, vi sono determinate assenze ingiustificabili, come le modalità Veterano e quelle di svago come Gioco delle Armi o i party game, ma anche elementi basilari come le medaglie, la caserma e il registro delle battaglie, il che impedisce al giocatore di consultare le proprie statistiche.

Ma andando al sodo, anche l’esperienza relativa al multigiocatore in generale riesce a essere divertente e stimolante: le mappe variegano di molto il flusso e l’intensità dell’azione rispetto alla modalità, andando a differenziare l’andamento delle partite che, nonostante la natura piu “realistica” rispetto a Cold War e Vanguard, non farà mancare momenti di caos e adrenalina.

Ovviamente, bisogna essere disposti a chiudere un occhio e mezzo su tutti i problemi di natura tecnica e di bilanciamento, sperando che possano essere risolti nel minor tempo possibile. Se non doveste riuscire a farlo però, potreste trovare l’esperienza multigiocatore tra le più sbagliate, frustranti e indisponenti degli ultimi anni.

Coordinazione ed efficienza

L’ultima ma non meno importante attività proposta da Modern Warfare 2 è rappresentata dalla Modalità Cooperativa: si tratta di un totale di tre missioni prettamente PVE da affrontare assieme a un compagno di squadra ed è esattamente l’equivalente delle vecchie Operazioni Speciali, che vennero introdotte al tempo proprio con l’originale Modern Warfare 2.

Nella prima ci ritroveremo a fiondarci con il paracadute in una specie di villaggio, sfruttando il favore del buio e del visore notturno dovremo agire furtivamente per mettere in sicurezza alcuni dispositivi radioattivi sparsi nella mappa di gioco, muovendoci in essa come meglio preferiamo.

La seconda è una missione abbastanza classica che andrà a presentare vari step di avanzamento, il nostro obiettivo sarà quello di distruggere diverse torrette SAM lungo una serie di percorsi da attraversare ad armi spianate oppure stealth, spostandoci tra le zone anche con l’ausilio di veicoli.

La terza e ultima riprende appieno il concept della modalità Sopravvivenza, giunto direttamente da Modern Warfare 3: in questo caso, ci toccherà difenderci con le unghie e con i denti (ma soprattutto, con le armi e gli equipaggiamenti a nostra disposizione) dall’arrivo di ondate nemiche di difficoltà crescente.

Ebbene, nonostante possano dare l’impressione di essere un micro contenuto fine a sè stesso, queste attività riescono ad avere invece un loro gran perchè, proponendo un design delle mappe elaborato e una libertà di approccio ben più aperta rispetto a quelle della campagna e un sistema di progressione unico.

Purtroppo, la loro estensione non è gestita nel migliore dei modi, dato che vi saranno alcune aree totalmente prive di alcuna minaccia mentre in altre ve ne saranno troppe e tutte assieme, mancando inoltre in termini di prestazioni da parte dell’intelligenza artificiale.

Inoltre, non sarà possibile provarle in solitaria, dato che avviandole in singolo il matchmaking ricercherà automaticamente un compagno da affiancarci.

Cosa ne pensano occhi e orecchie?

Dal punto di vista grafico, Modern Warfare 2 si attesta su livelli buoni. Le ambientazioni continuano a essere dense di dettagli, mentre le armi e le animazioni in generale regalano una sensazione di realismo che abbiamo apprezzato: meno convincenti sono invece i volti dei personaggi, più piatti e meno elaborati rispetto al passato.

Discorso similare per la componente sonora, le tracce musicali richiamano appieno le atmosfere di guerra di Modern Warfare del 2019, mentre l’effettistica relativa al fuoco delle armi, alle esplosioni, ai passi dei giocatori e a tutti i suoni “secondari” evidenzia ancora una volta la cura riposta dal team di sviluppo nel sound design.

Non si può sicuramente dire lo stesso per quanto riguarda l’ottimizzazione tecnica: durante le svariate ore trascorse sulla versione PC (con un hardware di fascia medio alta), oltre ai numerosi e fastidiosi freeze (a tratti persino di diversi secondi), siamo incappati in brutali crash durante la campagna, navigando tra i menù di gioco, tra i caricamenti e ovviamente anche nel bel mezzo delle partite multigiocatore, il che evidenza una pesantezza e un’instabilità del software che, nel 2022, non ci sentiamo di giustificare.

Conclusioni

Modern Warfare 2 rappresenta un esempio lampante di “vorrei, posso ma non riesco“: la campagna pecca gravemente di originalità sia nel mordente narrativo che negli aspetti ludici, provando a inserire piccole novità qua e là che risultano però forzate e mal implementate, che fanno inoltre singhiozzare il ritmo in modo sgradevole.

Anche il multiplayer, per quanto riesca a essere divertente nel proporre buoni spunti creativi e intuizioni interessanti, risulta frustrante in termini di bilanciamento e matchmaking.

Per il resto, c’è poco da dire: il gameplay rimane senza dubbio tra i più soddisfacenti in circolazione: gli innegabili valori produttivi gli permettono di avere una base solida in termini di grafica, sonoro e cura complessiva per i dettagli, nonostante l’ottimizzazione non svolga benissimo il suo lavoro.

In definitiva, siamo convinti che i margini di miglioramento ci siano tutti e speriamo con tutto il cuore che Infinity Ward riesca a valorizzarne il potenziale: forse è davvero giunta l’ora che Activision permetta a questa saga di prendersi una pausa, dando più tempo agli sviluppatori per curare maggiormente gli aspetti più cristici del gioco.

Non è questo il futuro che Call of Duty si merita, non è così che lo vogliamo ricordare e siamo sicuri che Modern Warfare 2 potesse essere molto di più, quantomeno al suo lancio.

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Mattia Mariano

Salve a tutti, sono Mattia, e da circa 18 anni ho un'intesa passione per il mondo dei videogiochi, e con essa mi porto dietro una forte propensione alla discussione e al dialogo il più discorsivo possibile riguardo questa incredibile arte.

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