Molto spesso, in TV o sui giornali, si è sentito parlare di un termine tipicamente giapponese, utilizzato per descrivere situazioni in cui dei ragazzi si rinchiudono nelle proprie stanze, rifiutando ogni contatto con il mondo esterno: stiamo parlando degli “Hikikomori”.
Ma chi sono gli hikikomori? Da dove nasce il fenomeno? Si tratta di una malattia? In questo articolo, cerchiamo di spiegarvi questo fenomeno, attraverso le sue origini, le sue caratteristiche e le sue relazioni con videogiochi e internet.
Con il termine “Hikikomori” (che significa letteralmente “tendere a ritirarsi”) vengono indicati gli individui giapponesi, soprattutto adolescenti, che scelgono di rinchiudersi a tempo indeterminato nella propria stanza, rifiutando ogni contatto con il mondo esterno.
Il primo caso associabile a questo fenomeno possiamo ritrovarlo nel 1978, anche se, all’epoca, fu definito come una semplice “neurosi da ritiro”. Il termine Hikikomori fu coniato ufficialmente nel 1998 dal dottor Tamaki Saito, specialista in psichiatria adolescenziale, che si occupò personalmente dello studio di questo fenomeno.
Ancora oggi, medici e studiosi sono divisi sul considerare o meno il fenomeno una patologia derivante da disturbi psichiatrici: alcuni si sono approcciati agli hikikomori somministrando farmaci usati per prevenire sintomi schizo frenici e deliri paranoidi, altri invece, tra cui anche Saito, escludono totalmente il disturbo mentale come causa di questa condizione, nel tentativo di scavare nel tessuto sociale giapponese e delle sue istituzioni alla ricerca delle motivazioni.
Una prima indagine in merito si è svolta tra il 2002 e il 2006, e rivelò come il campione era composto sia da individui che, prima del ritiro, presentavano stati mentali alterati e sia da individui perfettamente lucidi al momento della scelta. Nel 2003, il fenomeno fu anche riconosciuto per la prima volta dal Ministero della sanità giapponese.
La suddivisione tra le due tipologie di ritiro del 2006 spinse molti studiosi a cercare un’interpretazione antropologica al fenomeno. È il caso del giornalista americano Michael Zielenziger che, con il suo testo scritto nel 2007 dal titolo “Non voglio più vivere alla luce del sole” sostiene la tesi secondo cui i casi di isolamento rappresentano una conseguenza di una società permeata da sentimenti di vergogna e orgoglio, soprattutto nelle istituzioni scolastiche e lavorative, che spingono gli individui ad isolarsi.
Tamaki Saito, infatti, riporta che il 90% degli hikikomori sia stato assente da scuola per lunghi periodi prima di iniziare il ritiro.
Di seguito vi riportiamo la testimonianza di Kenji, un ragazzo intervistato da Zielenziger.
La colpa del fenomeno non è da attribuire solo al bullismo, ma anche ai ritmi troppo pressanti in ambito scolastico e lavorativo, questo perché, fin dalla tenera età, molti bambini giapponesi sono obbligati dai genitori a frequentare corsi di studio intensivi finalizzati al superamento di esami di ammissione per le migliori scuole elementari del paese. Questi corsi, tuttavia, nella maggior parte dei casi hanno un effetto controproducente, spingendo gli studenti a voler studiare a casa e successivamente ad abbandonare la scuola.
Secondo lo psicologo Yuichi Hattori, specializzato in disturbi dissociativi dell’identità, all’origine dei ritiri giocano un ruolo fondamentale anche le dinamiche familiare giapponesi.
A sostegno della sua tesi, Hattori ha effettuato un’indagine su un campione di trentacinque autoreclusi, rivelando come ognuno di essi avvertisse un senso di rifiuto da parte dei propri genitori.
Una famiglia giapponese, in generale, tende ad avere delle gerarchie molto rigide: il padre è spesso assente a causa della grande quantità di lavoro, mentre la madre si occupa minuziosamente della gestione della casa e dell’istruzione dei figli.
Per questa ragione, è stato notato che tra madre e figlio si venisse talvolta ad instaurare una relazione di dipendenza reciproca, per cui un individuo si comporta in modo tale da ricevere protezione e approvazione da parte di un altro.
Ad ogni modo, nonostante le riflessioni degli esperti, non possiamo considerare come unica causa del fenomeno l’assetto della società giapponese, come risulta anche sbagliato catalogare il fenomeno a priori sotto il profilo di malattie preesistenti.
Per destreggiarsi meglio all’interno del dibattito ancora oggi in corso, bisogna cercare di delineare il fenomeno facendo riferimento alle definizioni antropologiche di disease (una patologia in senso scientifico) e illness (condizione di sofferenza del paziente, che non deriva per forza da alterazioni organiche del soggetto).
Il secondo caso può insorgere anche senza che si verifichi il primo, per questo potremmo affermare che il fenomeno, almeno dal punto di vista sociale, sia una malattia, poiché risulta evidente la condizione di malessere dell’individuo prima della reclusione, unica causa dello sviluppo in un secondo momento di condizioni mediche gravi associabili a depressione e disturbi ossessivi.
Poi, considerando che questi sintomi non possono essere associati a patologie note, potremmo procedere a considerare il fenomeno come una sindrome culturalmente condizionata, generata da fattori tipici di un’area geografica specifica (questo spiegherebbe come alcuni hikikomori riescano a guarire soltanto stando lontani per un po’ dal proprio paese di origine).
Possiamo quindi dire che sì, un hikikomori può incorporare sensazioni di disagio e ansia dovuti da scuola e lavoro, ma dobbiamo anche considerare che a questi vanno a mescolarsi anche elementi interni ed esterni, come traumi e aspetti caratteriali, senza poter stabilire con certezza quale di questi possa aver maggiormente influito nella decisione di isolarsi.
Fare queste considerazioni ci permette di avere una visione d’insieme migliore, evitando di cadere negli stereotipi che caratterizzano questo fenomeno, come dare per scontato che il fenomeno derivi da disturbi psichiatrici o dalla pigrizia di alcuni ragazzini svogliati.
Solitamente, questo fenomeno sociale è soggetto a generalizzazioni, come quella di confondere gli hikikomori con gli otaku, una subcultura giapponese che può isolarsi per dedicarsi ai propri hobby.
Col tempo, il Giappone sta man mano prendendo coscienza dello stato di isolamento in cui si trova un numero importante di suoi cittadini, favorendo la nascita di associazioni no profit, come la New Start e la Free Space Wood, che si occupano di aiutare hikikomori intenzionati ad uscire dalla loro condizione, reintegrandoli gradualmente alla vita sociale che avevano abbandonato.
In Italia, il fenomeno non è presente, nei numeri, come nel paese nipponico, tuttavia, se andiamo a guardare i dati, possiamo notare di come questi siano in aumento, soprattutto durante il periodo della pandemia.
Ad oggi, nel nostro paese si contano circa 100.000 ragazzi chiusi nelle proprie stanze, ma si tratta di un fenomeno sommerso e quindi i casi potrebbero essere molti di più. A differenza del Giappone, qui la fascia d’età colpita scende ed è compresa tra i 14 e i 30 anni. Il periodo più delicato è quello del passaggio dalle scuole medie alle scuole superiori, con i primi segnali che, in media, iniziano a manifestarsi intorno ai 15 anni.
La psicologa Maria Sofia Longe ci spiega come il fenomeno vada oltre la normale necessità di un adolescente di rimanere solo nel periodo che è considerato uno dei più difficili, conseguendo l’insurrezione di disturbi psicologici che possono ampliare le paure che hanno portato questi individui ad isolarsi.
Sul sito gestito dall’associazione Hikikomori Italia, vengono dati anche dei consigli ai genitori che si trovano in casa uno di questi casi, tra cui: non forzare ed evitare di giudicare i propri ragazzi e fare di tutto per non perdere i contatti con loro, rimanere uniti, per fare in modo che il ragazzo possa trovare in loro un punto di riferimento e un aiuto per uscire da questa condizione.
Il loro stile di vita presenta un sonno-veglia invertito: dormire nelle ore diurne e dedicarsi alle proprie passioni di notte. Tra queste troviamo spesso riferimenti alla cultura orientale, per esempio manga, anime, videogiochi e l’utilizzo della rete. In questo caso, la rete può rappresentare una finestra aperta verso il mondo esterno, che può consentire loro di mantenere relazioni e contatti con altri, anche se, tuttavia, alcuni decidono anche di non utilizzare internet, isolandosi completamente.
C’è da dire, però, che anche se un hikikomori possa impiegare la maggior parte del proprio tempo sui videogiochi o su internet, la dipendenza da questi ultimi e il ritiro sociale presentano due condizioni totalmente differenti. Non bisogna comunque escludere il fatto che questi due possano anche coesistere, sovrapponendosi e contribuendo all’aggravarsi dell’uno o dell’altro.
Lo stato di isolamento infatti può spingere a rifugiarsi nel mondo virtuale per usarlo come ponte verso il mondo esterno o come mezzo di svago o di intrattenimento, allontanandosi dal mondo reale, ma ciò può rappresentare una conseguenza dell’isolamento, e non una causa.
Quando invece è l’uso prolungato di internet o dei videogiochi a causare un progressivo disinteresse verso le normali attività quotidiane, e quindi un allontanamento dalla vita reale, avviene il processo inverso, dove l’abuso o la dipendenza di questi possa portare ad uno stato di abbandono della vita lavorativa o scolastica, e ad un conseguente ritiro sociale.
Ci sono, tuttavia, alcuni casi in cui non sia l’abuso dei videogiochi a comportare l’isolamento, ma essere vittima di flame, ossia ricevere offese dirette attraverso internet, consci del fatto che queste possano essere ascoltate o lette anche da altre persone. Negli individui deboli questo non può che causare effetti più o meno gravi, come ansia, depressione, ma anche isolamento. Abbiamo parlato di questo fenomeno in un altro articolo, che vi riportiamo qui.
In entrambi i casi, sia che avvenga in maniera spontanea, sia che avvenga come conseguenza di un uso sconsiderato della rete, il ritiro sociale è spesso sinonimo di una difficoltà nel rapportarsi con la realtà esterna e le aspettative dettate dalla famiglia o dalla società odierna.
A genitori o a ragazzi che si trovano vicino all’essere hikikomori, ciò che consigliamo è di chiedere aiuto, rivolgendosi ad associazioni specializzate, come Hikikomori Italia.
Il principale scopo di questa associazione nata nel 2013 è quello di sensibilizzare e tentare di accendere una riflessione critica sul fenomeno, oltre al fornire ai ragazzi in difficoltà, o ai genitori che hanno un figlio in queste condizioni la possibilità di potersi confrontare attraverso spazi online dedicati, o in presenza all’interno di gruppi di aiuto psicologico a genitori e ragazzi.
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Bellissimo articolo, scritto in modo chiaro ed esaustivo, complimenti a tutto il gruppo