Chiunque abbia seguito i percorsi di sviluppo di Dontnod sa bene quanto lo studio francese abbia quasi sempre spinto l’acceleratore su una narrazione principalmente basata su tematiche precise, e dando un focus secondario al racconto vero e proprio della trama (specialmente gli ultimi due suoi giochi, Tell Me Why e Life is Strange 2): si sentiva quindi la necessità di tornare a concentrarsi su un reale intreccio narrativo, che potesse mozzare il fiato del giocatore con suspance e colpi di scena inaspettati (come fece il primo Life is Strange, insomma).
È così che nasce Twin Mirror, un thriller investigativo non episodico che avrebbe invertito le parti sopracitate: ecco la nostra recensione!
Il protagonista è Samuel Higgs, un giornalista investigativo che, a causa di una serie di questioni personali e lavorative, lo portarono a trasferirsi lontano da Basswood, sua città natale.
Dopo due anni di lontananza però, si sentirà moralmente costretto a farvi ritorno a causa della morte di Nick (colui che fu il suo migliore amico), nonostante a lui non vada granché a genio come idea. Il suo ritorno in città non è dei più accoglienti, in quanto la sua agrodolce fama da giornalista lo ha portato a farsi odiare da molti dei cittadini, mentre coloro che gli erano sempre stati vicini videro con un occhio decisamente negativo il suo improvviso ed inaspettato allontanamento di allora.
Durante la veglia notturna post-funerale però, l’astio creatosi con alcuni dei presenti e qualche bicchierino di troppo lo fecero coinvolgere in una zuffa da bar: il mattino successivo, praticamente privo di memoria riguardo la sera precedente a causa dell’eccessivo alcool assunto, si ritroverà invischiato in un delitto dalle tinte piuttosto inquietanti, che lo porteranno a sospettare dell’incidente che costò la vita a Nick, in quanto piuttosto anormale.
Quindi, tramite le sue capacità investigative, dovrà addentrarsi nuovamente nei meandri cittadini di Basswood per celarne alcuni dei più oscuri segreti e svelare la verità sulla morte del suo migliore amico.
Dalla sua, avrà a disposizione due “capacità” quasi sovrannaturali: la prima è rappresentata dalla presenza nella sua mente di un personaggio misterioso, una sorta di seconda coscienza indipendente ed autonoma, con il quale Sam potrà confidarsi e scambiare determinate idee su alcune delle scelte da prendere, mentre la seconda riguarda il Palazzo della Memoria, un luogo astratto (sempre della sua mente) nel quale convergono in modo più o meno lucido i suoi ricordi più importanti (oltre che, ovviamente, il suo incredibile intuito ed abilità investigativa).
Tutto ciò rappresenta la fonte principale della caratterizzazione del protagonista, nonché un riuscitissimo escamotage narrativo che ci porterà a capire tutto di lui, dal suo passato complicato ai rapporti con alcuni personaggi, dalla sua forma mentis al suo carattere riservato ecc.
La struttura ludica è quanto di più semplice ci possa aspettare da Dontnod, con davvero poche novità: vi sono molti dialoghi (principali e non), un’esplorazione circoscritta a determinate aree mentre l’interazione ambientale è minima e di puro contesto.
Immancabile anche il solito schema di scelte caratteristico di Dontnod, che avranno conseguenze moderate su determinati dialoghi e spunti narrativi: in molti casi, dovremo scegliere ad esempio se prendere una decisione solo ed esclusivamente con la nostra testa o se dare retta a quella “seconda coscienza” di cui sopra, oppure di rimanere a lungo a sentir parlare un determinato personaggio piuttosto che interromperlo per cambiare discorso o dire qualcosa a nostra volta.
A tutto ciò si uniscono, ovviamente, alcune fasi di investigazione piuttosto prive di originalità: dopo aver esplorato per filo e per segno tutti gli angoli di una potenziale scena del crimine per scovare ogni indizio, dovremo cercare di ricostruire logicamente come sono andate le vicende in quello specifico frangente.
Non solo gli indizi sono sparsi a caso e scollegati concettualmente tra di loro (non ci è mai capitato di carpire immediatamente le logiche dietro ad un avvenimento, siamo stati bensì costretti a cercare fisicamente tutti indizi qua e là per poi provare ad immaginare la scena) ma vi è anche un piccolo problema di natura tecnica per il quale, per interagire con un determinato dettaglio, dovremo essere alla giusta distanza e con la giusta inquadratura (spesso ci siamo persi elementi dello scenario proprio per colpa di questa imprecisione).
Anche narrativamente parlando, queste indagini non funzionano proprio nel migliore dei modi: oltre ad essere generalmente banali, anche i collegamenti logici che porteranno Sam a risolverli risulteranno forzati, a causa di alcune soluzioni concettuali fini a loro stesse e a tratti prive di coerenza.
Un’altra componente di gameplay riguarda la gestione degli attacchi di ansia del nostro protagonista: nelle situazioni di tensione più elevate (o comunque quelle nel quale Sam si agita), dovremo affrontare delle brevi ma intense sequenze di gioco in una dimensione astratta nella testa del protagonista, volte al fargli tornare una certa lucidità mentale, tra fughe da figure oscure, labirinti scomposti e altro.
Per quanto suggestive ed interessanti siano tali parti, risultano anch’esse un po’ stagnanti, poco ispirate e dall’impatto quasi esclusivamente scenografico.
L’incipit narrativo è tra i più interessanti mai creati dalla software house francese, grazie a spunti di partenza che pongono immediatamente i puntini sulle i su determinati aspetti, come un contesto ambientale chiaramente ispirato a Twin Peaks, toni ben più oscuri e seri rispetto al passato e delle tematiche di natura puramente psicologica.
Purtroppo, l’avanzamento della trama risulta senza dubbio il tasto più dolente dell’intera produzione: nonostante le premesse iniziali siano d’impatto, più proseguiremo nel gioco e più ci renderemo conto di quanto l’intreccio narrativo sia scontato, piatto e infinitamente più banale di quanto ci saremmo aspettati.
I colpi di scena, per quanto presenti ed anche d’effetto, hanno conseguenze prive di mordente, lo sviluppo degli eventi è raccontato con superficialità ed il finale è quanto di più frettoloso ci sia capitato di vedere da Dontnod.
Per quanto paradossale possa sembrare, siamo convinti che tutto ciò sia dovuto alla struttura lineare non episodica dell’opera: nonostante Tell Me Why e Life is Strange 2 siano divisi in episodi (in modo tutto sommato riuscito), riteniamo che quelle storie avrebbero potuto essere raccontate tutto d’un fiato, in quanto prive di una reale sequenza di eventi dall’intensità progressiva.
Per quanto riguarda Twin Mirror, essendo una storia letteralmente opposta a quella delle opere sopracitate, siamo convinti che una suddivisione strutturale in più parti sarebbe stata infinitamente più azzeccata: colpi di scena piazzati a dovere, sviluppo psicologico del protagonista (di fondamentale importanza in questo caso) ben distribuito ed un intreccio di eventi un po’ più elaborato avrebbero reso l’opera decisamente più profonda, dando respiro al racconto con più dettagli, dialoghi ed interazione.
Questo è senza dubbio un enorme peccato, in quanto tutto ciò che ruota attorno alla storia è, a nostro avviso, di altissimo livello: l’atmosfera che si respira dall’inizio alla fine è senza dubbio la più suggestiva che Dontnod abbia mai sviluppato, che riesce a mantenere sempre alto il livello di tensione nonostante gli scivoloni narrativi qua e là.
Nonostante la frettolosità del racconto, la caratterizzazione dei personaggi riesce ad avere il giusto spazio (in base al loro coinvolgimento nella storia) e a generare una struttura relazionale e comportamentale notevole tra ognuno di loro: grazie ad una sorta di Codex (simile al diario dei Life is Strange, ndr.) avremo continuamente aggiornamenti e, conseguentemente, informazioni su considerazioni, valutazioni ed opinioni che Sam avrà su di essi, andando ad approfondirli in un modo semplice ma perfettamente funzionale.
Menzione d’onore per Sam che, essendo il protagonista, subirà la più importante serie di processi di caratterizzazione umana e psicologica, che ci farà empatizzare con lui in ogni situazione e facendoci comprendere le sue paure, il suo scetticismo e la sua riservatezza.
A migliorare ulteriormente l’esperienza ci pensa un comparto grafico che, per la prima volta nella storia di Dontnod, riteniamo davvero di alto livello: tutto è molto più dettagliato che in passato, tra modelli, riflessi, illuminazione e cura generale dei dettagli che rendono il colpo d’occhio molto più sensazionale di quanto non ci si potrebbe aspettare ad un primo sguardo; ci dispiace solamente che, seppur anche i volti siano ben realizzati, la mimica facciale (animazioni, espressioni, labiale ecc.) sia curiosamente sottotono, e considerata l’importanza dei dialoghi tra personaggi è un difetto che ci dispiace particolarmente dover riportare.
A sostenere l’impatto visivo ci pensa un’estetica ancora una volta d’impatto, che dona ad ogni ambiente il tono freddo e cupo del quale la narrazione ha bisogno, distaccandosi dalle colorazioni calde che hanno sempre caratterizzato le opere di Dontnod; persino la colonna sonora si adatta alla sfumatura noir della produzione, essendo unicamente composte da tracce strumentali d’atmosfera nelle fasi più tranquille, e più incalzanti in quelle dalla tendenza action.
Twin Mirror è come un imponente aereo di linea che, dopo aver avviato i motori e spinto in avanti l’acceleratore, invece di decollare e spiccare il volo perde il controllo di sé stesso, come se un guasto interno lo avesse costretto a rallentare bruscamente, fino a fermarsi alla fine della pista di partenza: indipendentemente da quanto confortevole, potente e grosso questo aereo possa essere, dal momento in cui non riesce ad alzarsi in volo, il suo reale compito non può considerarsi nemmeno iniziato.
Nonostante le premesse più che positive, la storia si perde in sé stessa a causa di una quantità eccessiva di banalità, semplificazioni e sviluppi narrativi scontati che non vengono sicuramente aiutati dalle componenti ludiche, completamente prive di qualsivoglia forma di originalità o spunto interessante.
Eppure, la caratterizzazione dei personaggi, l’atmosfera, il contesto e il comparto visivo dipingono una cornice ed uno sfondo tra i migliori della storia di Dontnod, e riescono a rendere quantomeno godibile l’esperienza generale della produzione.
Speriamo con tutto il cuore che Dontnod possa mettersi ad un tavolo, riordinare le idee e prendersi il suo tempo per scrivere un intreccio degno del primo Life is Strange, che possa essere al contempo sorretto da tutte quelle componenti che ci hanno fatto capire grazie a Twin Mirror che Dontnod è in grado di comporre, e anche molto bene.
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